Google è “alla sbarra” negli Stati Uniti, l’accusa è di aver violato le disposizioni Antitrust. Il colosso dell’hi-tech, nonché popolare motore di ricerca nato nel 1998 la cui storia coincide con lo sviluppo di massa del web, è sotto accusa perché avrebbe “soffocato la concorrenza”.
A Google viene contestato il fatto di aver acquistato il diritto di essere impostato come motore di ricerca predefinito su numerosi dispositivi, a partire dagli iPhone di Apple per arrivare agli smartphone di Samsung, LG, etc. fatto che indurrebbe gli utenti a utilizzare Google anziché optare per le alternative. La causa era stata avviata dal dipartimento di Giustizia quando c’era ancora Donald Trump come presidente mentre il processo è iniziato il 12 settembre a Washington. L’attuale amministrazione democratica ha continuato con convinzione ciò che era stato iniziato dai repubblicani nella passata legislatura.
L’attenzione su questo processo è particolarmente elevata perché da queste settimane potrebbe dipendere non solo il futuro di Google ma in generale lo sviluppo di internet e la modalità con cui si cercano le informazioni. La situazione è delicata per la stessa politica statunitense perché se da un lato è necessario regolamentare le “big tech” e le loro pratiche monopolistche, dall’altro si sta agendo contro un colosso che vale 1.700 miliardi di dollari (più del PIL della Spagna, per intendersi). La domanda è questa: lo Sherman Act, varato nel 1890, che ha funzionato negli USA contro monopoli e cartelli nei settori del tabacco, dell’oil&gas, dell’acciaio … funzionerà anche con il più complesso mondo dei giganti tecnologici della Silicon Valley?
Secondo il dipartimento di Giustizia, Google avrebbe impedito la libera concorrenza pagando 45 miliardi di dollari all’anno a vari produttori di device per garantire che il suo motore di ricerca risultasse quello predefinito, questo, oltre a svantaggiare i competitor avrebbe consolidato la posizione dominante sul mercato diminuendo le possibilità reali di scelta ma anche inibendo l’innovazione.
Gli avvocati dell’accusa, secondo quanto riporta Il Sole 24 Ore, sostengono che “ai tempi della causa contro Microsoft, Google sosteneva che le pratiche di Microsoft fossero anticoncorrenziali, eppure, ora, Google utilizza lo stesso schema per sostenere i propri monopoli”. Proprio la citata Microsofost è il grande precedente nel settore: nel 1998 l’azienda fondata da Bill Gates venne accusata di aver sfruttato illecitamente i vantaggi legati al fatto di offrire il sistema operativo largamente più diffuso per imporre il browser Explorer a danno, tra gli altri, di Netscape.
Google attualmente ha una quota di mercato che supera il 90% negli Stati Uniti e ricavi per 283 miliardi di dollari nel 2022. Sundar Pichai, CEO del colosso di Mountain View, si difende sostenendo innanzitutto che i motori sugli smartphone sono liberamente modificabili dagli utenti e poi che non è stato creato un “ambiente” che impedisse ai competitor di svilupparsi, come effettivamente hanno fatto, seppur con quote di mercato residuali.