I combattimenti a Gaza tra le forze di difesa israeliane e il movimento islamista Hamas non si fermano. Ma anche la situazione geopolitica internazionale diventa ancora più complicata dopo il “no” degli Stati Uniti a una risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite su un cessate il fuoco immediato.
“Condanno le violenze di Hamas, ma non si può giustificare la punizione collettiva del popolo palestinese”, ha dichiarato prima del voto il Segretario generale dell’ONU, Antonio Guterres, che per la prima volta nel suo mandato ha usato la facoltà, prevista dall’articolo 99 della Carta delle Nazioni Unite, di convocare una riunione straordinaria del Consiglio di sicurezza. “Il mondo e la storia ci guardano, è ora di agire”, ha sottolineato Guterres, invitando i 15 Paesi-membri del Consiglio a “votare unanimemente per un cessate il fuoco immediato nella Striscia di Gaza”.
L’inazione del Consiglio di sicurezza dell’ONU, i veti degli Stati membri “e in particolare degli Stati Uniti” lo rendono “complice del massacro in corso”, aveva affermato Médecins sans frontières in un comunicato diffuso prima del voto.
La risoluzione, redatta da un gruppo di Paesi arabi con la partecipazione della Turchia e presentata dagli Emirati Arabi Uniti, e stata appoggiata in tutto da circa 100 Paesi del mondo, il cui peso è stato “neutralizzato” dagli Stati Uniti. L’ambasciatore statunitense presso l’ONU, Robert Wood, ha annunciato che Washington è contrario allo spirto e alla lettera della risoluzione “perché ritiene che fermare i combattimenti in questo momento favorirebbe Hamas”. Al momento del voto, Washington ha usato il diritto di veto e ha bloccato la risoluzione, che tra l’altro chiedeva la “protezione dei civili e il rilascio di tutti gli ostaggi”. E questo nonostante il fatto che dei 15 membri del Consiglio di sicurezza, 13 hanno votato a favore, mentre la Gran Bretagna, uno dei membri permanenti, si è astenuta.
La decisione americana di gettare nel cesto la risoluzione su un cessate il foco a Gaza si è trovata al centro dei colloqui a Washington tra il segretario di Stato USA, Antony Blinken, e una delegazione dei ministri degli Esteri di alcuni Paesi arabi e della Turchia. Come scrive la stampa internazionale “l’amministrazione del presidente, Joe Biden – presa fra l’incudine delle pressioni internazionali e il martello della politica interna – moltiplica gli appelli all’alleato israeliano affinché riduca le vittime civili, ma con scarso successo”.
Secondo i dati dell’agenzia dell’ONU per i rifugiati palestinesi (UNRWA) il bilancio dei morti dall’inizio dell’offensiva israeliana, aggiornato a venerdì 8 dicembre, “ha superato i 17.500 morti, in grande maggioranza donne e bambini”. La situazione umanitaria nella Striscia di Gaza, dove gli aiuti internazionali fanno sempre più fatica ad arrivare, è a dire poco “catastrofica”. La popolazione civile, ha detto il direttore dell’UNRWA, Philippe Lazzarini, “viene sospinta in spazi sempre più ristretti dai continui ordini di evacuazione emanati dalle forze armate israeliane”. L’ONU stima che l’85% degli abitanti della Striscia, ovvero 1,9 milioni di persone, siano già stati costretti a lasciare le proprie case.