In Islanda decine di migliaia di donne hanno partecipato martedì 24 ottobre allo sciopero generale contro il “divario di retribuzione tra uomini e donne”, ovvero contro il cosiddetto gender pay gap, e contro le violenze. A guidare la protesta è stata il premier dell’Islanda, Katrín Jakobsdóttir, che ha detto di voler “mostrare solidarietà alle donne islandesi”.
Lo sciopero di un giorno ha visto sia un’interruzione del lavoro retribuito che di quello non retribuito, che comprende il lavoro domestico e di cura in ambito familiare, che spesso ricade sulle donne. La protesta, prima del suo genere per il numero delle partecipazioni, che oltre alla capitale Reykjavík ha coinvolto una decina di maggiori centri abitati islandesi, è stata preceduta da un grosso lavoro politico a cui hanno preso parte più di 30 partiti e organizzazioni sociali.
Riguardo al divario di retribuzione tra uomini e donne, in Islanda c’è una legge, varata nel 2017 che impone alle società e alle aziende di certificare che lo stipendio di uomini e donne sia uguale a parità di mansioni lavorative. Inoltre, secondo uno studio sul gender pay gap, elaborato dal World Economic Forum che ha analizzato la situazione in oltre cento Paesi del mondo, negli ultimi 14 anni l’Islanda è sempre stato il Paese “più vicino al raggiungimento della parità di genere”. Le organizzatrici dello sciopero femminile hanno fatto notare però che in alcune professioni il divario di retribuzione tra uomini e donne raggiunge ancora il 21 per cento.
Al discorso sulle discriminazioni economiche si è legato a quello sulle violenze contro le donne. Drífa Snædal, una delle organizzatrici della protesta femminile, ha detto al quotidiano Guardian che “la violenza contro le donne e il lavoro sottopagato sono due facce della stessa medaglia e hanno effetto l’una sull’altra”.
L’ultimo sciopero generale delle donne durato un giorno intero risale in Islanda al 1975.