Siria: è stata aperta una fase di ulteriore incertezza per il Medio Oriente

La Russia concede asilo al presidente siriano, Bashar al Assad, e alla sua famiglia per “ragioni umanitarie”. I soldati statunitensi restano in Siria. Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite discute della crisi siriana.

Bashar al Assad

La caduta del presidente siriano, Bashar al Assad, segna una “scossa di proporzioni tettoniche” per i già precari equilibri strategici nel Medio Oriente, mentre gli Stati Uniti “dopo anni di disimpiego” possono influenzare “poco o niente” gli sviluppi sul campo.  Queste sono le idee centrali dell’editoriale, pubblicato lunedì, 9 dicembre, dal quotidiano statunitense “Wall Street Journal”, che pone l’accento sull’estrema incertezza delle prospettive regionali e sui rischi per i Paesi vicini.

Lunedì pomeriggio, su richiesta della Russia, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite discuterà della situazione in Siria in una riunione a porte chiuse. In precedenza si è saputo che la Russia aveva concesso “per ragioni umanitarie” l’asilo politico al fuggito ex presidente della Siria, Bashar al Assad, e ai suoi famigliari. Dalle facciate dell’Ambasciata della Repubblica Siriana a Mosca e del Consolato generale a San Pietroburgo sono state tolte le bandiere siriane. Mosca ha annunciato che “con i ribelli jihadisti sarebbe stata raggiunta un’intesa riguardo alla sicurezza della base dell’aviazione militare russa a Khmeimim e della base navale a Tartus. Ciononostante nei giorni scorsi la flotta russa, dislocata a Tartus ha lasciato gli ormeggi del porto siriano e si è diretta alla volta delle acque nel nord-est del Mediterraneo.

Daniel B. Shapiro, assistente vicesegretario alla Difesa degli Stati Uniti per il Medio Oriente, ha dichiarato che la presenza militare USA continuerà in Siria ma “solo per garantire la sconfitta dello Stato islamico e non avrà nulla a che fare con altri aspetti di questo conflitto”.

“Chiediamo a tutte le parti coinvolte nella lotta in Siria di proteggere i civili, in particolare quelli delle minoranze, di rispettare le norme militari internazionali e di lavorare per raggiungere una soluzione politica”, ha detto Shapiro.

Recep Tayyip Erdogan

Secondo i media internazionali è la Turchia, vincitrice nel cambio di regime a Damasco. Per molti anni Ankara ha dato sostegno politico ed economico all’opposizione siriana, che oltre a lottare contro Assad, ha dato sporadicamente guerra anche alle milizie curde. Un problema molto serio per la situazione economica della Turchia rappresentano i milioni di profughi siriani. Gli osservatori politici internazionali sono d accordo che il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan (nella foto), cerchi di “modellare a seconda degli interessi della Turchia il nuovo Governo di Damasco e di rimpatriare gli sfollati, partecipare alla ricostruzione della Siria, ottenendo dai nuovi padroni di casa l’accesso alle immense risorse petrolifere del Paese, e sfruttare i nuovi equilibri per indebolire ulteriormente i curdi, sostenuti dagli Stati Uniti e presenti nel nord della Siria”.

Secondo “Wall Street Journal” i prossimi sviluppi strategici in Siria “dipenderanno molto dall’andamento della transizione di potere”, e in particolare da quanto i ribelli islamisti e le numerose altre fazioni siriane – incluse le minoranze curde e alawite – saranno in grado di evitare ulteriori conflitti. “Assistiamo a un enorme cambiamento nella regione. La Turchia è diventata più forte, l’Iran e la Russia sono diventati più deboli”, ha dichiarato al “Wall Street Journal” il politologo siriano, Badr Jamous, secondo il quale  “saranno i siriani a giocare un grande ruolo ora, non come prima”.

Abu Mohammad al Jolani

Anche per l’analista politico, Riccardo Redaelli, professore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, “per molti anni la Siria si è trovata in uno stato di stabilità precaria” sostenuta soprattutto dall’esterno: “Dalle milizie di Hezbollah, dagli aiuti iraniani e da quelli russi”. Situazione che negli ultimi anni è cambiata, con la “Russia impegnata in Ucraina, l’Iran indebolito ed Hezbollah decimato dagli attacchi israeliani”.

Al potere ora ci sono i ribelli di Hayat Tahrir al-Sham (HTS), capeggiati da Abu Mohammad al Jolani, che si presenta come moderato. Secondo Redaelli “in Medio Oriente molti sono moderati finché non ottengono il potere. Al Jolani viene da Al Qaeda, è un salafita jihadista fortemente integralista cresciuto in una cultura che nega la diversità culturale religiosa e che ha sempre creduto nella violenza”.

Il regime di Assad è crollato come un castello di carte con enormi problemi per l’Iran, la cui ambasciata a Damasco è stata saccheggiata immediatamente dopo la presa dei ribelli: Teheran ha perso il suo principale alleato nel cosiddetto “asse della resistenza” e la connessione terrestre vitale con il partito militante sciita Hezbollah in Libano. Non per caso Israele ha immediatamente spostato le sue truppe più in profondità in Siria lungo le Alture del Golan e ha ottenuto un successo strategico con lo smantellamento dell’“asse della resistenza” guidato per molti anni dall’Iran.

“Anche la Russia – scrive ‘Wall Street Journal’ – che a lungo ha vantato di non abbandonare mai i suoi alleati, diversamente dagli Stati Uniti in Afghanistan o in Vietnam, ha subito una sconfitta, che mette in dubbio il futuro delle sue basi aeronavali nel Mediterraneo”.

Dire cosa succederà ora è difficile, quasi impossibile: “In Siria sono in gioco molte forze, alcune sono ancora difficili da capire, ma dietro di esse ci sono spesso attori regionali e internazionali”. Secondo Redaelli, se questi si impegneranno per il bene della Siria, e non unicamente per i loro interessi, allora potrebbe esserci speranza per il Paese. Altrimenti la Siria ripiomberà “nel disastro della guerra civile”.

Per “Wall Street Journal” le onde d’urto del terremoto siriano potrebbero in fin dei conti colpire anche i “sostenitori dei vincitori”, avvero la Turchia. “La frammentazione dell’unità politica della Siria – scrive il quotidiano americano – potrebbe portare all’emergere di uno proto-Stato dell’entità curda, con il probabile sostegno degli Stati Uniti e di Israele”. A differenza della milizia dell’Esercito nazionale Siriano apertamente sostenuto da Ankara, nelle ultime settimane i ribelli jihadisti di HTS hanno perlopiù evitato di combattere i curdi. Il gruppo ha permesso alle milizie curde di evacuare in sicurezza da alcune zone di Aleppo e ha menzionato la necessità di proteggere la diversità etnica e religiosa della Siria.

Infine le monarchie del Golfo Persico, come l’Arabia Saudita e il Qatar, che un “tempo finanziavano i ribelli siriani”, tenteranno di assicurare che la caduta di Assad “non scateni una nuova ondata di disordini contro i Governi della regione e una rinascita di movimenti estremisti come lo Stato islamico, emersi a seguito della Primavera araba del 2011”.