In Ungheria il verdetto della Corte penale internazionale “non avrà alcun effetto”
Il primo ministro ungherese, Viktor Orban, il cui Paese attualmente detiene la presidenza di turno dell’Unione europea, ha annunciato che “inviterà il suo omologo israeliano, Benyamin Netanyahu, per protestare contro il mandato di arresto emesso dalla Corte penale internazionale” (CPI).
“Non abbiamo altra scelta che sfidare questa decisione. Inviterò Netanyahu a venire in Ungheria, dove posso garantirgli che la sentenza della Corte penale internazionale non avrà alcun effetto”, ha dichiarato Orban in un’intervista alla Radio statale ungherese.
Le dichiarazioni di Orban hanno fatto seguito alla decisione della Corte penale internazionale di spiccare i mandati di arresto per crimini di guerra e contro l’umanità commessi nella Striscia di Gaza dopo il 7 ottobre del 2023. Su richiesta del procuratore capo, Karim Ahmad Khan, (di nazionalità pakistana e sotto inchiesta per le presunte “molestie sessuali”), la CPI ha emesso i mandati d’arresto nei confronti del premier israeliano, Benyamin Netanyahu, e il suo ex ministro della Difesa, Yoav Gallant, nonché il capo militare di Hamas, Deif, che però Israele ritiene di aver ucciso in un raid a Gaza.
Immediata è stata la reazione indignata dello Stato ebraico, secondo cui dall’Aja è arrivata “una decisione vergognosa e apertamente antisemita” degna di “un nuovo processo Dreyfus”. Al fianco di Israele si sono subito schierati gli Stati Uniti e l’Argentina. L’amministrazione del presidente uscente, Joe Biden, ha fatto sapere di “respingere categoricamente” la decisione della CPI, dicendosi “profondamente preoccupata” e non riconoscendo la giurisdizione della Corte “su questa questione”, mentre per il presidente argentino, Javier Milei, così si “ignora il legittimo diritto di Israele a difendersi dagli attacchi costanti di Hamas e Hezbollah”.