Africa, partita persa per l’Occidente?

Il ritiro della Francia dal Sahel apre nuovi scenari. In un continente in ebollizione le dinamiche post-coloniali si incrociano adesso con lo sviluppo di un sistema a vocazione multipolare.

Il ritiro della Francia dal Sahel apre nuovi scenari. In un continente in ebollizione le dinamiche post-coloniali si incrociano adesso con lo sviluppo di un sistema a vocazione multipolare. L’accelerazione del declino della presenza francese nell’Africa occidentale (Mali, Burkina Faso, Nigeria, Gabon…) è particolarmente sorprendente perché avviene in ritardo. In sostanza, la “Françafrique” neocoloniale è durata circa sessant’anni. Un periodo lungo.

La Gran Bretagna, l’altra grande potenza coloniale del continente africano, è riuscita a ritirarsi con discrezione, pur mantenendo i legami con il Commonwealth. La Francia è invece ancora saldamente  radicata negli ex possedimenti coloniali sul piano finanziario, economico e militare. Due date segnano l’inizio della svolta in corso, la cui traiettoria non si è ancora conclusa. La prima coincide con la crisi finanziaria e economica americana, detta dei “subprime”, che ha chiuso il periodo di egemonia senza rivali degli Stati Uniti, iniziato dopo il crollo dell’URSS. La seconda è di poco successiva: nel 2010 la Cina diventa ufficialmente la seconda economia del mondo.

Su un piano più locale, nel 2011 si registra la fallimentare operazione militare in Libia, condotta da Sarkozy e dal premier inglese Cameron sotto la copertura degli Stati Uniti. L’obiettivo ufficiale era quello di proteggere la popolazione di Bengasi, minacciata dal colonnello Gheddafi. Ma il vero scopo di questa azione era quello di sbarazzarsi di un personaggio particolarmente preoccupante per il presidente Sarkozy. In realtà il regime libico teneva con il pugno di ferro gli oppositori politici, islamisti e tuareg, e questi alla caduta del regime si infiltrarono nel Mali, costringendo la Francia, guidata da François Hollande, a intervenire (Operazione Serval del 2013). Tuttavia, ben presto l’operazione militare, nome in codice “Barkhane”, si bloccò, nonostante le dichiarazioni ottimistiche delle autorità militari francesi.

Nel frattempo il mondo stava diventando multipolare. Gli Stati Uniti erano alle prese con dei fallimenti politici (Iraq, Afghanistan) e le truppe francesi segnavano il passo in Africa.

La presenza della Francia diventava impopolare. Un effetto dòmino sembrava mettere in fila i colpi di Stato. Si assisteva nel frattempo alla moltiplicazione delle presenze militari, politiche e economiche: quella russa, quella turca e, più discretamente, quella cinese. I cinesi, infatti, costruiscono infrastrutture in cambio di influenza politica, creando un po’ di occupazione.

Per evitare di impantanarsi, il presidente Macron stava preparando un ritiro graduale. Parallelamente, ma in maniera massiccia, l’islamismo militante portava avanti la sua lotta e riceveva sussidi dai Paesi del Golfo. Si prevede che questa pressione continui verso il Ciad come sul Sud non mussulmano, per sfociare probabilmente in uno scontro con gli evangelici che hanno molto lavorato in Africa negli ultimi due decenni. Le truppe francesi hanno lasciato il Niger, dove la loro permanenza aveva portato a una resa dei conti, mentre – viceversa – il franco CFA resta per adesso la moneta di quattordici paesi dell’Africa occidentale.

Quanto ai regimi emersi a seguito di colpi di Stato, sembrano essere altrettanto corrotti di quelli che hanno rimpiazzato. Sullo sfondo di questo rigetto della presenza francese si sta attuando una ridistribuzione delle risorse, secondo criteri politici, il cui risultato non sarà la crescita economica.

Gli avvenimenti recenti che riguardano la presenza francese hanno riportato l’attenzione su una parte dell’Africa occidentale, ma dobbiamo concentrarci sulla crescente instabilità nella nazione più popolosa dell’Africa, la Nigeria, che ha una popolazione che si avvicina ai 300 milioni. Il governo non controlla più un Paese diviso tra fazioni rivali, siano esse islamiste o, il più delle volte, criminali. Infine, perché il quadro non sia troppo incompleto, dobbiamo ricordare le avanzate degli islamisti in Somalia, il disordine nel Corno d’Africa e in Sudan, e la progressione degli islamisti in Mozambico. Quanto alla Repubblica del Congo, non smette di essere un campo di battaglia da molti decenni. Anche a causa della politica portata avanti dal Ruanda e complicata dalla presenza di mercenari provenienti da diversi Paesi europei.

Dall’indipendenza ad oggi la demografia africana è raddoppiata, il che spiega gran parte delle tensioni. All’inizio del secolo scorso la popolazione sfiorava i 140 milioni di abitanti (compresi Egitto e Paesi del Maghreb); in poco più di venticinque anni, nel 2050, supererà i 2 miliardi di persone, ovvero più di un quarto dell’umanità.

Le città traboccano di manodopera senza lavoro, di disoccupati che non hanno altra prospettiva se non quella di emigrare. Le classi medie sono prosciugate, e l’istruzione e la formazione professionale insufficienti.

A breve termine, il destino dell’Africa è quello della violenza, ravvivata dagli antagonismi religiosi, con lo spettro della carestia e delle epidemie.

GEOPOLITOLOGO E STORICO DELLA GUERRA, AUTORE DI ATLAS STRATÉGIQUE (2022)

Gérard Chaliand