Amazzonia, il prezzo altissimo dell’oro

Le miniere sfregiano la foresta pluviale, i cercatori d'oro scacciano e spesso uccidono gli indigeni. Un dramma che dopo gli anni cupi di Bolsonaro l'amministrazione Lula fa fatica a contenere

Tra il 2022 e il 2023, l’Amazzonia e il mondo sono stati testimoni di drammatiche crisi, umanitaria e ambientale, generate dal confronto tra le popolazioni indigene e i minatori illegali che si sono stabiliti nell’area protetta del popolo Yanomami, nel nord del Brasile. Si stima che gli impatti ambientali diretti e indiretti colpiscano il 30% di quel territorio, che è la più grande riserva indigena del Brasile, dove vivono circa 27 mila yanomami, che rappresentano il 2,47% della popolazione indigena totale del Nord del Brasile. Occupando parte degli stati brasiliani di Roraima e Amazonas, l’area totale demarcata come Terra Indigena Yanomami è di 96.646,94 km², più grande di paesi come il Portogallo (92.212 km²) e l’Ungheria (93.030 km²).
L’invasione dei minatori in questo territorio va avanti da decenni, ma è aumentata notevolmente durante il governo Bolsonaro, provocando gravi impatti sociali e ambientali per gli yanomami. Nel 2022 si è registrato un aumento della deforestazione del 54% rispetto al 2016, raggiungendo un’area equivalente a 314mila campi da calcio. Si stima che il 90% degli yanomami abbia livelli di mercurio superiori a quelli raccomandati dall’OMS (derivanti dalla contaminazione dei fiumi dovuta all’estrazione dell’oro). Un bambino su 4 ha livelli di mercurio che possono causare danni allo sviluppo neurologico. Rispetto al 2016 si è registrato un aumento del 78% dei casi di malaria e del 30% dei casi di malnutrizione infantile.
Negli anni ’70 la pressione sul territorio yanomami si intensificò con l’invasione dei minatori in cerca di oro. L’esplorazione illegale ha contaminato i fiumi con il mercurio e decimato circa il 20% della popolazione indigena della zona. Dopo anni di lotte, il territorio è stato finalmente demarcato nel 1992, un risultato considerato una pietra miliare nella protezione dei diritti degli indigeni e nella preservazione della foresta amazzonica. Ma nell’agosto del 1993 i minatori illegali massacrarono la popolazione del villaggio di Haximu, il numero reale delle vittime resta tutt’ora incerto. Nonostante la demarcazione, dunque, il territorio ha continuato a essere bersaglio di invasioni e pressioni esterne e oggetto di ulteriori violenze.
L’aumento dell’attività mineraria durante il mandato presidenziale di Jair Bolsonaro ha provocato, nel 2023, una serie di azioni da parte della società civile e della comunità internazionale. Diverse ONG, entità indigene e artisti si sono uniti in campagne per fare pressione sul governo affinché adottasse misure più efficaci per proteggere gli yanomami e il loro territorio. L’anno scorso il governo federale ha lanciato l’Operazione Yanomami per combattere l’estrazione mineraria illegale e ha dichiarato lo stato di emergenza sanitaria pubblica. Nel marzo 2023, un rapporto delle Nazioni Unite ha denunciato la grave situazione dei diritti umani nel territorio. Il documento evidenziava la violenza, la contaminazione da mercurio e la mancanza di accesso alla sanità e all’istruzione come i principali problemi affrontati dalle popolazioni indigene. Nell’aprile 2023, il Senato federale ha istituito una Commissione parlamentare d’inchiesta per indagare sull’estrazione mineraria illegale in Amazzonia, comprese le Terre Indigene Yanomami. Tuttavia molti osservatori ritengono che le misure proposte nel rapporto finale non siano sufficienti per combattere il problema.
La maggiore presenza dello stato nel territorio yanomami ha portato anche i minatori a escogitare alternative per sfuggire alla vigilanza. Hanno iniziato, ad esempio, a lavorare di notte per evitare di essere catturati dalle immagini satellitari. Cresce contemporaneamente la preoccupazione per un possibile cambiamento nella legislazione brasiliana, con l’autorizzazione dell’attività mineraria su larga scala nei territori indigeni, che rappresenterebbe una grave minaccia per gli yanomami e le altre popolazioni indigene del Paese.
Perché questo accanimento? Il territorio yanomami possiede una grande ricchezza mineraria. Si stima che contenga una riserva di cassiterite di 100mila tonnellate (la più grande riserva brasiliana è stimata in 340mila tonnellate), 283mila tonnellate di stagno e da 280 a 850 tonnellate di oro (la più grande riserva aurea del Brasile è stimata in 357 tonnellate). Ci sono anche riserve di diamanti e altri minerali.
La quantità di oro già estratto dalla regione è stimata tra le 28 e le 57 tonnellate, ma ha già attirato un gran numero di minatori illegali. Si stima che nel territorio yanomami vi siano tra i 10.000 e i 20.000 minatori. Considerando la dimensione media di una famiglia nella regione, ciò significa una popolazione totale compresa tra 38.000 e 76.000 persone dipendente da questa attività: più numerosa della stessa popolazione indigena. Ciò spiega, in parte, la mancanza di interesse di molti politici eletti nella difesa del territorio indigeno. Oltre agli aspetti economici, c’è un fattore elettorale: i minatori e i loro associati garantiscono un contingente significativo di voti.
Gli indigeni sono attualmente circa il 6% della popolazione totale della regione settentrionale del Brasile, la zona della foresta amazzonica. Quelli al di sotto della soglia di povertà, di tutte le etnie, rappresentano il 25,4% di questa popolazione. In altre parole, per ogni indigeno povero dell’Amazzonia brasiliana ci sono circa tre poveri non indigeni (neri, bianchi o di discendenza mista). Per queste persone, i diritti concessi alle popolazioni indigene sembrano privilegi ingiusti che tolgono loro opportunità e risorse alle quali hanno diritto. Significativamente, i conflitti che coinvolgono le popolazioni indigene sono associati alla demarcazione dei loro territori. I 4 stati brasiliani con il maggior numero di conflitti che coinvolgono le popolazioni indigene sono tra quelli con la zona delimitata più estesa: Pará, Amazonas, Mato Grosso e Maranhão.
È una questione di equilibrio tra politiche sociali universali – che servono tutti i gruppi sociali – e politiche sociali mirate, rivolte a gruppi storicamente fragili ed esclusi. Sebbene le politiche mirate siano necessarie per raggiungere la giustizia sociale, è necessario che siano incluse in un processo più ampio e universalista che garantisca i diritti di tutti.
Questo è uno dei grandi problemi sia della conservazione ambientale che del riconoscimento dei diritti dei popoli indigeni: le popolazioni urbane spesso dimenticano o idealizzano le difficoltà dei poveri che abitano la foresta (soprattutto quando non sono indigeni). Invece di stimolare lo sviluppo socio-ambientale alternativo, causano maggiori conflitti. Una soluzione adeguata per la foresta amazzonica e la sua popolazione implica uno sviluppo socio-ambientale integrale, che comprende sia lo sviluppo umano di tutti gli abitanti sia la conservazione e il buon utilizzo delle risorse naturali.
Molti immaginano che l’esplorazione senza regole, prevalente in questo momento, possa essere una valida alternativa per lo sviluppo della Regione Nord del Brasile. In particolare, l’attività mineraria non regolamentata o scollegata dallo sviluppo socio-ambientale della regione si è già rivelata molto più disastrosa che prospera. Il più famoso produttore di oro dell’Amazzonia, “Eldorado” de Carajás, ha vissuto un’esplosione di attività estrattive illegali negli anni ’80 e ’90, con la proliferazione di malaria, leishmaniosi e malattie sessualmente trasmissibili; prostituzione minorile; omicidi tra minatori, indigeni e contadini; morti per infortuni sul lavoro; inquinamento da mercurio nei fiumi della regione con conseguenze anche per le popolazioni remote che consumano pesce.
Negli anni la regolarizzazione dell’attività mineraria e lo sviluppo regionale hanno ridotto questi problemi. Tuttavia, a sud, il Minas Gerais, la regione mineraria più tradizionale e strutturata del Brasile, ha visto recentemente due grandi tragedie ambientali: Mariana e Brumadinho, con oltre 250 morti e perdite ambientali per oltre 20 miliardi di dollari. I processi contro i responsabili e per i risarcimenti sono ancora in corso.
Persiste un problema politico e culturale. C’è un’ideologia nazionalista che difende l’occupazione e lo sfruttamento dell’Amazzonia, come esercizio della sovranità nazionale. Mentre i dati dimostrano che l’estrazione mineraria, soprattutto nelle terre indigene, è quasi sempre un errore che porta profitti a pochissimi e perdite e tragedie a quasi tutti.

Coordinatore del Centro Fede e Cultura della Pontificia Università Cattolica di San Paolo

Francisco Borba Ribeiro Neto