Tra timori e aspettative il continente sudamericano si prepara alla strategia del nuovo inquilino della Casa Bianca. Preoccupazione per migranti e esportazioni. Ma anche valutazione dei rischi per Washington in caso di stretta troppo drastica
Donald Trump, con il suo approccio “America first”, anche se mira a far crescere l’egemonia nordamericana in America Latina, non sembra intenzionato a rilanciare il forte interventismo politico nordamericano nella regione, in vigore negli anni ’60 e ’70. In pratica, questa politica interventista implica costi economici che non aiutano a raggiungere gli obiettivi che Trump ha fissato per la sua politica attuale.
Ci sarà, senza dubbio, un sostegno ideologico ai leader di destra, loro alleati, come Bolsonaro in Brasile e Millei in Argentina. Ci si può anche aspettare una maggiore opposizione a quella che chiama la “Troika della Tirannia” (Cuba, Nicaragua e Venezuela). Ma saranno soprattutto azioni retoriche, all’interno di una diplomazia poco impegnata nei drammi interni degli altri paesi. La Colombia, d’altro canto, potrebbe essere maggiormente colpita rispetto a questi paesi, a causa dell’aggressiva politica antidroga promessa da Trump. Tuttavia, la politica “America first” avrà un forte impatto sull’economia dell’America Latina, in particolare sui paesi con il maggiore interscambio commerciale con gli Stati Uniti: Messico e Brasile, rispettivamente il secondo e il decimo partner commerciale degli Stati Uniti nel 2023.
Fedele a quanto affermato in campagna, Trump promette una crescita economica vigorosa, capace di ricostruire il “sogno americano”. A tal fine, propone di aumentare le barriere alle importazioni, principalmente – ma non solo – dalla Cina, per sostituirle con prodotti fabbricati in patria. Vuole ridurre l’immigrazione, fino all’espulsione degli immigrati clandestini. Intende inoltre ridurre le tasse sulle aziende e forse sui privati, e le normative regolatorie in settori come l’energia, ponendo meno enfasi sulla questione climatica.
Gli analisti mettono in guardia sul rischio che queste azioni, nel medio e lungo termine, possono avere effetti diversi da quelli attesi. L’aumento dei dazi doganali può portare all’inflazione; l’espulsione degli immigrati può portare a una carenza di lavoratori in settori che non attraggono gli americani; il taglio delle tasse porterà a uno squilibrio fiscale. E gli effetti drammatici di ignorare la questione climatica si stanno già facendo sentire.
Ma uno dei tratti più caratteristici e pericolosi del populismo è proprio un volontarismo che rifiuta di accettare le dinamiche inerenti all’economia, la società e l’ambiente. In teoria, l’aumento delle barriere all’importazione sarà il primo grande problema che i paesi dell’America Latina dovranno affrontare se la nuova amministrazione di Donald Trump conferma le aspettative. Brasile, Messico, Argentina, Colombia e Cile (le 5 maggiori economie della regione, artefici di oltre l’80% del PIL totale) hanno Cina e Stati Uniti come principali partner commerciali. Tuttavia, la bilancia commerciale è molto più favorevole a questi paesi sudamericani che agli Stati Uniti (saldo di 67 miliardi di dollari nel 2023) o alla Cina (saldo di 25 miliardi di dollari nello stesso anno).
Il Messico, in particolare, sta attraversando un periodo di crescita economica dipendente dall’aumento delle esportazioni di prodotti industrializzati verso gli Stati Uniti. Questo aumento è in gran parte dovuto alla politica statunitense di riduzione delle importazioni dalla Cina. Trump, però, ha dichiarato di voler privilegiare sempre i prodotti nordamericani e si prevede che creerà barriere tariffarie anche per le importazioni messicane. Il Brasile è un altro grande esportatore di prodotti agricoli e semilavorati siderurgici, che potrebbe essere fortemente penalizzato dall’aumento delle tariffe di importazione negli Stati Uniti. Ma la guerra commerciale tra Washington e Pechino potrebbe avere altri effetti. Se il progetto di Trump andrà avanti, potrebbe causare una riduzione dei tassi di crescita della Cina e del volume delle sue importazioni dai paesi del continente. Inoltre, il governo nordamericano può imporre vantaggi tariffari per i suoi prodotti rispetto ai concorrenti cinesi, aumentando il costo di importazione di tali prodotti, con un potenziale effetto inflazionistico nei paesi dell’America Latina.
Tuttavia, le cose potrebbero anche andare in una direzione molto diversa. L’elevata tassazione sui prodotti importati per il consumo popolare aumenterà l’inflazione e danneggerà gli americani della classe media che hanno votato per Trump. Pertanto, i prodotti di grande consumo popolare, come il caffè e la carne brasiliani, i pomodori e la frutta messicani e i frutti di mare peruviani, potrebbero sfuggire all’aumento delle tasse sulle importazioni proposto da Trump. D’altro canto, la guerra commerciale tra Cina e Stati Uniti potrebbe favorire gli esportatori latinoamericani, nel caso di alcuni prodotti come la soia, che attualmente i cinesi acquistano sia dal Brasile che dagli Stati Uniti.
In un’altra linea d’azione, Trump, riducendo il carico fiscale ed eliminando le misure normative in vari settori, darà un forte stimolo alla crescita delle attività economiche, ma aumenterà anche il deficit e il debito pubblico, oltre a portare più inflazione. Ciò costringerà la FED (la banca centrale americana) ad adottare una politica monetaria più restrittiva, con conseguente aumento dei tassi di interesse che, insieme ad un mercato azionario in rialzo, attireranno capitali per gli Stati Uniti, aumentando il valore del dollaro nei mercati emergenti.
Si tratta di uno scenario negativo per i paesi dell’America Latina, che probabilmente soffriranno a causa del dollaro e dei tassi di interesse più elevati, rendendo difficile la raccolta di fondi sul mercato internazionale.
Il Brasile, in questo momento, nonostante le proiezioni ottimistiche, si trova ad affrontare molte difficoltà nel raggiungere l’equilibrio fiscale. L’Argentina viene da una profonda e nota crisi economica. Anche la Colombia si trova ad affrontare una situazione fiscale difficile. Il Messico cerca di aumentare le proprie entrate e di migliorare la propria efficienza fiscale… In generale, i paesi dell’America Latina non sono ben preparati per le sfide fiscali che la politica economica di Trump porterà loro.
Infine, la proposta più controversa di Trump e con il maggiore impatto sociale sui latinoamericani è la deportazione di massa degli immigrati clandestini. Oggi, la popolazione di origine latino-americana negli Stati Uniti, compresi gli immigrati legali, le persone nate negli Stati Uniti con origini latinoamericane e gli immigrati illegali, è stimata in 75 milioni di persone. Gli immigrati clandestini rappresentano circa 11 milioni di persone, la maggior parte dei quali messicani. Si stima che, attualmente, circa il 4% della popolazione messicana viva come immigrato clandestino negli Stati Uniti e che i messicani – in condizione legale o illegale – inviino in Messico 63 miliardi di dollari. Che rappresentano circa il 4,5% del PIL messicano. Questi numeri danno un’idea dell’impatto sociale che le politiche anti-immigrazione dell’amministrazione Trump potrebbero avere, in particolare per l’America Centrale.
In sintesi, tre elementi determineranno l’impatto dell’amministrazione Trump sull’America Latina:
1) la forma finale che assumeranno le sue proposte di campagna una volta implementate;
2) la capacità dei governi latinoamericani di adattarsi a un contesto internazionale più difficile, che richiederà principalmente un buon equilibrio delle finanze pubbliche;
3) il comportamento della Cina, che rappresenta il vero fattore destabilizzante nei rapporti tra Stati Uniti e America Latina.
È interessante notare come, in un’intervista al quotidiano brasiliano “Folha de São Paulo”, del 19 ottobre 2024, Simon Johnson, uno dei vincitori del Premio Nobel 2024 per l’economia, abbia affermato che gli Stati Uniti stanno diventando simili al Brasile, riferendosi al profilo populista di Donald Trump. Ciò significa che nei prossimi 4 anni l’America Latina si troverà di fronte a un modo di fare politica con cui ha sempre convissuto, ma ora applicato dalla più grande potenza economica del pianeta…