Con l'elezione di Javier Milei il grande malato del Sudamerica cerca di uscire dal disastro economico guardando al passato. Puntando sugli Stati Uniti e su una nuova dipendenza dal dollaro.
La svolta politica in Argentina cambia i dati relativi agli equilibri geopolitici in Sudamerica e nel resto del mondo. Javier Milei interviene in modo improvviso e quasi brutale in tali equilibri e inverte la tendenza che, a livello locale, si era manifestata nel corso degli ultimi tempi.
A spiegare le ragioni di una tale svolta sono innanzi tutto i fattori economici. L’aumento spropositato dell’inflazione, che ha raggiunto oltre il 140% nel 2023, ha causato un violento deterioramento del potere d’acquisto della popolazione e, pertanto, un impoverimento diffuso, che ha inciso profondamente sul morale degli argentini. Il risentimento si è manifestato soprattutto nei confronti della politica considerata responsabile dell’attuale situazione, vale a dire del Kirchnerismo, cioè di una partecipazione estesa dello stato nella conduzione dell’economia nazionale, mediante restrizioni che hanno spesso limitato gli scambi commerciali o contribuito a minare la solidità della moneta nazionale, il peso argentino.
Il paese sembra ora giunto ad una svolta radicale, in cui le misure drastiche paiono l’unico rimedio per una situazione altamente compromessa quale è quella attuale. Ma non è certo che tali misure producano realmente gli effetti sperati. Milei si trova davanti ad una sfida piena di incognite. La sterzata verso una consistente liberalizzazione dell’economia potrebbe creare una forma di neocapitalismo selvaggio in cui vincerebbero pochi squali e perderebbe la grande maggioranza della popolazione del paese. E’ pur vero, in altri termini, che l’attrazione di nuovi investimenti stranieri potrebbe rilanciare un’economia in recessione (il Fondo Monetario Internazionale prevede per il 2023 una recessione del 2,5%), ma la mancanza di disciplina nella gestione di tali investimenti potrebbe favorire nuovi casi di corruzione e potrebbe aumentare la mancanza di trasparenza nell’economia. L’abbandono del peso argentino, per adottare il dollaro statunitense, rappresenterebbe, inoltre, una misura singolare per ridurre l’inflazione, ma esporrebbe il paese ad una dipendenza pericolosa dagli Stati Uniti d’America e la riduzione del mercato nero non sarebbe certa, anzi.
Milei incarna oggi il disagio di un paese di 45 milioni di persone, che occupa una posizione nevralgica nella parte meridionale del continente americano e che sembra alla ricerca di una identità politica dopo gli anni di Néstor Kirchner, di Cristina Fernández, di Mauricio Macri e di Alberto Fernández. Fra gli orientamenti di destra e di sinistra l’Argentina non può dimenticare il retaggio di Juan Perón e del suo adattamento alle circostanze dettate dalle varie stagioni della politica. Ma il peronismo fu, malgrado tutto, un movimento attento alle questioni sociali e sensibile alla minaccia di una crescita del divario fra classi ricche e classi povere. Questa sensibilità oggi non sembra essere una priorità per la nuova classe dirigente, maggiormente attratta da una rapida creazione di ricchezza più che dalla preoccupazione di garantire una maggiore giustizia sociale.
La stabilità dell’Argentina, tuttavia, ha un effetto importante sul piano internazionale, sia a livello regionale che intercontinentale. Il ruolo di Buenos Aires nel campo di Mercosur, in primo luogo, è essenziale per evitare l’insuccesso di un progetto di mercato unico sudamericano che punti ad una maggiore integrazione con gli altri paesi vicini, integrazione che risulta sempre più necessaria di fronte all’aumento della competizione mondiale. Il rapporto con il Brasile di Luis Ignacio Lula, in questo senso, è molto importante, ma non sembra che fra Milei e Lula possa instaurarsi una forte intesa ideologica e politica. Forse il pragmatismo avrà il sopravvento. A livello intercontinentale la recente ammissione dell’Argentina nel gruppo dei paesi BRICS+ (agosto 2023) ha segnato un importante passo verso i paesi meno ricchi e in via di sviluppo, tutelati dalle potenze cinese, russa, brasiliana, sudafricana ed indiana. Nel quadro della nuova competizione globale fra i paesi dell’Occidente ed i BRICS+, pertanto, il passo dell’Argentina è stato particolarmente significativo, in quanto ha permesso di contribuire a rinforzare il blocco dei concorrenti dell’Occidente, consolidando l’ala sudamericana di tale blocco.
Come si comporterà ora Milei? Confermerà la posizione dell’Argentina in seno ai BRICS+? Oppure dovrà fare i conti con gli Stati Uniti d’America, nel momento in cui il passaggio dal peso argentino al dollaro statunitense comporterà una maggiore dipendenza dalla maggiore economia del mondo? Secondo le dichiarazioni di Diana Mondino, nuova prossima Cancelliera sotto la presidenza di Milei, l’Argentina non confermerà la propria entrata nei BRICS+ e tale decisione arriverà all’ultimo minuto, giacché Buenos Aires dovrebbe entrare nei BRICS+ a partire dal 1° gennaio 2024. Se l’Argentina non dovesse entrare nei BRICS+ ciò significherebbe che Buenos Aires fonda la propria ripresa su una rinnovata amicizia con gli Stati Uniti d’America e gioca ora la carta di una solidarietà con l’Occidente. Solidarietà che, tuttavia, pare maggiormente dettata dalla difficilissima situazione economica più che da una completa sintonia con la diplomazia occidentale. L’Argentina, infatti, non dimentica né il conflitto del 1982 contro il Regno Unito di Gran Bretagna ed Irlanda del Nord per le Isole Malvine, né il peso – talvolta ingombrante – della politica statunitense nella regione sudamericana. Ma è un paese che deve trovare soprattutto con l’Europa una sintonia convincente, onde incoraggiare gli scambi commerciali con paesi come l’Italia e la Spagna, anche in ragione della copiosa componente di immigrati che tali paesi hanno offerto da secoli all’economia argentina. Un accordo fra Unione Europea e Mercosur per la liberalizzazione del commercio, infatti, ritorna ad essere attuale con Milei e la conferma di ciò è attesa dopo l’entrata del nuovo presidente nella Casa Rosada. Vero è che l’elezione del nuovo presidente ha sorpreso molti osservatori ed anche molti cittadini argentini, i quali si sono forse ricordati della frase di José Luis Borges: “la democrazia è l’abuso della statistica”.
La grande incognita per il futuro del paese, infatti, riguarda la conquista del potere da parte di un candidato radicale, che potrebbe esser stato portato alla presidenza da un sistema non completamente consapevole dei rischi legati al cambiamento associato alla sua elezione.