Droga, quando la guerra diventa Globale

In Messico non sono più solo i cartelli latinoamericani a dominare il narcotraffico. Gli USA sono diventati importatori netti di mafie. Mentre continua la simbiosi secolare del traffico di armi americane verso sud e di beni contrabbandati e droghe messicane verso il nord

Pochi analisti prendono sul serio il problema di minacce che vengono pudicamente definite “emergenti”. In genere si parla di cyber, ibrido, tecnologie dirompenti e, se proprio si è costretti (dopo l’attentato a Mosca), terrorismo. Invece metà delle guerre in corso – come si è “imparato” nelle guerre di dissoluzione della Jugoslavia e dall’Afghanistan – non si capiscono se non si guarda al loro sostrato mafioso, essenziale non solo per il mercato nero (come nella Seconda guerra Mondiale), ma per alimentare milizie irregolari, aggirare embarghi, compiere operazioni sporche, sostenere gli stessi eserciti regolari.

Nel silenzio generale una guerra mondiale è in corso e sfiora i 142.000 morti l’anno (107.000 di overdose da fentanyl ed altro). Dai media è stata appena registrata in due fremiti: la brutale esecuzione di 14 liceali ad Iguala nel 2014 e l’attuale dialogo Biden-Xi Jinping per bloccare l’invasione di fentanyl (un oppioide sintetico) negli USA.

Il teatro della guerra è il Messico, la sua frontiera con gli Stati Uniti, quasi tutti gli stati dell’Unione ed il resto del mondo per globalizzazione mafiosa. L’inizio avviene nel 2006, quando la geniale creazione del presidente Clinton, il NAFTA (North American Free Trade Agreement, con Canadà e Messico) viene spaccata dall’arrivo di merci a basso costo di produzione cinese. L’accordo che legava Washington e Città del Messico scambiando prodotti semilavorati con manodopera a basso costo che li rifiniva, si dissolve; vanno in miseria migliaia di operai delle maquiladoras, le piccole imprese che trasformavano i prodotti permettendo un margine nel vicino del Nord. Nel frattempo si erano disgregati i cartelli della droga colombiani di Calì e di Medellìn, lasciando campo libero a gruppi criminali organizzati oltre il Canale di Panama: in Honduras, Guatemala, El Salvador e, appunto, Messico.

In questi 18 anni è successo di tutto con una violenza, crudeltà e sofisticazione che fanno impallidire anche i veterani di conflitti più noti. È una guerra senza esclusione di colpi che ha registrato nel solo Messico 20.000 morti l’anno più 2.000 desaparecidos in media. Oggi siamo a quota 30.000 circa (più 5.000 scomparsi) dopo l’intervento militare, delle forze speciali di esercito e marina, dei gruppi di autodifesa e la creazione di una Guardia Nazionale, sostenuti anche da Washington e dal massiccio impiego della Drug Enforcement Agency (DEA), quando può.

Dal lato dei cartelli si è assistito ad una crescente militarizzazione dei gruppi di fuoco, alla creazione di convogli corazzati e reti di telecamere di sorveglianza illegali, reclutamento di persone dei servizi e dei commandos, squadre di hacker ad alto livello e ad un’impressionante furia di torture e smembramenti pubblici di vittime. Peraltro, quest’anno, a giugno, ci sono elezioni generali anche in Messico ed il crimine organizzato sarà tra i fattori rilevanti per la sua capillare capacità d’intimidazione.

A livello strategico sono rilevanti alcuni elementi. A livello nazionale il panorama delle organizzazioni si è simultaneamente semplificato e frammentato: restano solo due grandi cartelli nazionali e transnazionali (l’antico e potente Cartel de Sinaloa-CDS, in mutazione generazionale, e il più recente Cartel Jalisco Nueva Generacion-CJNG), seguiti da quattro d’importanza nazionale ed una dozzina a livello locale. Sempre in Messico hanno sinora fallito tanto le strategie di “guerra alle droghe”, care agli USA, quanto quella dell’attuale presidente Andrés Manuel López Obrador (AMLO) che voleva ridurre la violenza ed aprire negoziati con alcuni gruppi.

In realtà AMLO ha creato una Guardia Nazionale di 100.000 effettivi, responsabile di serie violazioni, e le trattative non sono andate in porto. La DEA invece è ostacolata in nome della sovranità nazionale. In alcuni stati messicani hanno funzionato le unità di autodifesa perché radicate nel territorio, salvo creare talvolta – anch’esse – gruppi ibridi con schegge mafiose.

Il continente americano è stato profondamente infiltrato dai gruppi messicani, colombiani, centroamericani e dai loro alleati locali dallo Stretto di Behring sino alla Terra del Fuoco. Come avevo anticipato nel 2015, seguendo l’America Latina per il Ministero della Difesa italiano, gli USA sono diventati importatori netti di mafie, mentre continua la simbiosi secolare del traffico di armi americane verso sud e beni contrabbandati/droghe messicane verso il nord, più migranti trafficati: una minaccia ben peggiore dei vari cyber/ibridi dai soliti sospetti con ben più serie ripercussioni elettorali.

Infine, a livello globale, ci sono due minacce inequivocabili. La prima, anche questa anticipata nel 2007, è che le droghe sintetiche soppianteranno quelle tradizionali con effetti devastanti su società impoverite dalla globalizzazione, con scarso welfare e sottoposte a ritmi di lavoro massacranti. Il fentanyl è l’ultima evoluzione di molte droghe sintetiche, ma è un killer product per eroina, cocaina e utenti.

La seconda è che i cartelli CDS e CJNG hanno creato reti globali con forti teste di ponte in Europa (Belgio, Olanda, Polonia, Germania, Francia, Spagna, Portogallo, Regno Unito, Turchia, Serbia, Albania, Romania, Slovacchia, Repubbliche Baltiche). La ’ndrangheta italiana (calabrese) è un alleato criminale così affidabile da aver allargato i suoi rapporti tradizionali dal Sinaloa al Jalisco, garantendole preminenza nel traffico di cocaina.

Il resto del mondo è ricco di opportunità: reti in Sud Africa, Africa Occidentale e Sahel. Complicità consistenti in tutto il Levante e il Golfo. Solide alleanze con le triadi cinesi e ausiliari di riserva in India nei precursori chimici. E, finalmente, lo sbarco in Australia, riuscendo ad impiantarsi lì dopo alcuni fallimenti iniziali. La Global War on Terror è finita, ma Global Mexican Mafia War è sinora un triste successo.

Direttore NATO Defense College Foundation

Alessandro Politi