È tornato Cameron!

Responsabile della Brexit, fautore con l'allora presidente francese Sarkozy della sciagurata guerra in Libia contro Gheddafi, accusato di lobbying incompetente durante il Covid, l'ex premier è di nuovo in campo come ministro degli Esteri. Segnale di debolezza dei conservatori del governo Sunak

“Dave è tornato!”, è stato il commento – parzialmente divertito, parzialmente allarmato – apparso sui media britannici quando Rishi Sunak, il primo ministro britannico, ha nominato David Cameron ministro degli Esteri nel novembre 2023. Il Financial Times ha annunciato sardonicamente: “Cameron, l’ex primo ministro che ha accidentalmente fatto uscire la Gran Bretagna dall’UE, è tornato sulla scena politica” (enfasi aggiunta dall’autore).
È il settimo ministro degli Esteri in sette anni, dopo essere stato senza incarico per sette anni ed essere rimasto coinvolto nel più grande scandalo di lobbying degli ultimi tempi: quello di Greensill, la società di servizi finanziari di cui Cameron è stato advisor durante il Covid. L’azienda fallì e un’inchiesta parlamentare ha scoperto che aveva dimostrato “significativa mancanza di discernimento”.
Considerati i bassi standard di competenza dimostrati ultimamente da molti ministri e primi ministri conservatori, la mossa di Sunak potrebbe essere intesa a placare l’opinione pubblica straniera? Oppure, dato che Cameron non è un falco sulle questioni del Medio Oriente, si tratta di un tentativo di bilanciare la lobby fortemente filo-israeliana in Parlamento? Cameron spinge da tempo per un approccio più umano nei confronti dei territori occupati dai palestinesi, distinguendosi così da coloro che si limitano a ripetere la ripugnante linea ufficiale israeliana. Dall’inizio della guerra di Gaza, egli si è detto “preoccupato” che Israele stia violando il diritto internazionale – più di quanto abbiano affermato altri ministri – aggiungendo, dopo un incontro all’inizio di marzo con il ministro israeliano ed ex leader dell’opposizione Benny Gantz, che “i palestinesi stanno affrontando una crisi umanitaria devastante e crescente… Ho fatto ancora una volta pressioni su Israele affinché aumentasse il flusso di aiuti. Ma ancora non vediamo alcun miglioramento sul campo. Questo deve cambiare”.
Diversi anni fa, durante un pranzo con diversi storici, abbiamo discusso, anche se non in tutta serietà, chi fosse stato il peggior primo ministro del Paese. Questo onore spetta solitamente a Lord North (Primo Ministro dal 1770 al 1782), che oggi è ricordato, se mai è ricordato, come il Primo Ministro “che perse l’America”. Ma non bisogna essere troppo duri: le colonie americane prima o poi sarebbero state perdute comunque. Un altro contendente per il “premio degli idioti” è Neville Chamberlain, che credeva nelle intenzioni pacifiche di Hitler. Ma cercando di evitare una nuova guerra, vent’anni dopo quella crudele e terribile, per quanto naif era comprensibile.
Per David Cameron non ci sono scuse del genere. Boris Johnson è stato certamente un pagliaccio, ma non è direttamente responsabile della Brexit, la più grande crisi nella storia britannica del dopoguerra. Liz Truss è stata terribile, ma è durata solo cinquanta giorni. La crisi della Brexit è stata interamente causata da Cameron, poiché le relazioni con l’UE non avevano subito cambiamenti fondamentali. Inoltre, non c’è stato alcun movimento sociale di massa o anche solo minore che chiedesse l’uscita dall’UE.
Nel 2016, ha chiesto un referendum sull’Europa per risolvere le divergenze interne ai partiti. Dava per scontato che avrebbe vinto, che la Gran Bretagna sarebbe rimasta nell’UE e che i sostenitori della Brexit nel suo partito sarebbero stati messi a tacere. In altre parole, ha messo a repentaglio il futuro del Paese per risolvere un piccolo problema politico interno al partito.
Le sue principali “incursioni” in politica estera non furono meno disastrose. Nelle sue memorie, ha giustificato l’invasione della Libia (insieme ai francesi) dicendo che Gheddafi “ha massacrato il suo popolo a Bengasi”. Nel 2016, la commissione per gli affari esteri della Camera dei comuni (istituita dallo stesso Cameron) ha scoperto che “la politica del Regno Unito in Libia prima e dopo l’intervento del marzo 2011 era basata su presupposti errati e su una comprensione incompleta del Paese e della situazione”. Chi era responsabile? David Cameron, che nelle sue memorie ha ammesso che il risultato non è stato quello che avrebbe voluto (un caso di understatement tipicamente britannico). “Quello che abbiamo fatto era giusto.”
Coloro che soffrono per l’indicibile incubo che si è abbattuto sulla Libia dovrebbero considerare la filosofia ampia e pacata di Cameron: “Perché dovremmo aspettarci che la transizione moderna dalla dittatura alla democrazia fosse istantanea e indolore?” In realtà, le transizioni più recenti sono state relativamente pacifiche: Grecia, Portogallo, Spagna, Unione Sovietica, gran parte dell’Europa orientale, ecc. Ma i libici dovranno convivere con le conseguenze delle azioni di Cameron (e Sarkozy) per molti anni dolorosi a venire.
Nel 2010, Cameron credeva che una delle “nostre missioni principali” fosse quella di riaffermare lo status “globale” del Regno Unito (ovviamente, a quel tempo il Paese non era ancora uno zimbello internazionale). Quando Hosni Mubarak fu cacciato dall’Egitto durante la Primavera Araba, Cameron iniziò immediatamente a intervenire, decidendo che il futuro dell’Egitto era una questione di competenza della Gran Bretagna. Ha stabilito che i Fratelli Musulmani non possono partecipare alla transizione verso la democrazia. Perché? Perché non gli piacevano, anche se Mubarak, seppure con riluttanza, li ha comunque legalizzati, sapendo quanto sostegno avevano. Le prime elezioni democratiche in Egitto hanno portato alla vittoria incondizionata del loro leader Mohamed Morsi, che è stato presto sostituito dalla dittatura sanguinaria del generale Abdel Fattah al-Sisi. Le preoccupazioni umanitarie di Cameron (e del resto dell’Occidente) sono evaporate. “Dave” tacque di colpo riguardo all’Egitto, più che un elefante in un negozio di porcellane sembrava piuttosto un vitello nervoso che non riusciva a trovare sua madre.
La sua ascesa al potere fu tipica di molti politici britannici. Ha frequentato Eton, un collegio privato d’élite (che prevede una retta annuale di £ 46.000). Suo padre, suo nonno, bisnonno, così come il padre e il nonno di sua madre hanno studiato lì. Eton ha già prodotto venti primi ministri, tra cui Robert Walpole (il primo Primo Ministro della Gran Bretagna), William Pitt, Wellington (famoso per Waterloo), Gladstone, Balfour, Anthony Eden, Harold Macmillan, Alec Douglas-Home, Boris Johnson… e “Dave”.
Dopo Eton, Cameron entrò a Oxford e, all’età di 35 anni, entrò in parlamento e pochi anni dopo divenne leader dell’opposizione.
Anche se amava descriversi come un conservatore compassionevole, una delle prime cose che fece come leader del Partito fu lasciare il gruppo conservatore al Parlamento europeo e creare il “Gruppo conservatore e riformatore europeo”, che attrasse partiti moderni e compassionevoli come i partiti di estrema destra, tipo la Nuova Alleanza Fiamminga belga, il Partito conservatore croato, Soluzione greca, i Democratici svedesi di estrema destra, Fratelli d’Italia, Legge e Giustizia in Polonia e, più recentemente, l’estrema destra spagnola “Vox”.
Alcuni hanno notato che “l’idea strategica di Dave è pensare a come farcela fino a lunedì”. Ostracizzato in Europa, è stato accolto negli Stati Uniti volando sull’Air Force One insieme a Obama, il primo Primo ministro straniero a farlo. Il ruolo globale della Gran Bretagna è chiaro: nelle parole di Cameron, è quello di “stare dietro agli Stati Uniti”, mentre, come scrive nelle sue memorie, “la Gran Bretagna è il più grande Paese sulla terra. La nostra grandezza non deriva dalle nostre dimensioni, ma dalle nostre persone: dalla loro integrità, talento e quello speciale spirito britannico”.
La consolazione principale è che lui e il governo conservatore saranno quasi sicuramente perdenti alle prossime elezioni.

Scrittore, Emerito di Storia Europea Comparata alla Queen Mary University of London

Donald Sassoon