Eurasia, il peso della Geografia

La progressiva definizione di un mondo multipolare sta ridisegnando il quadro delle alleanze. Economia, armamenti e tecnologia sono asset importanti. Ma lo è anche la collocazione geografica dei Paesi contesi.

Il mondo odierno è travagliato da numerosi conflitti: conservazione e rispetto dell’identità nazionale, reazione all’imprevedibile pandemia di Covid 19, sfida al cambiamento climatico attraverso la definizione di uno sviluppo sostenibile, tutto ha concorso a radicalizzare la competizione politica, economica e militare fra i paesi. Il pianeta si trova oggi di fronte ad un nuovo bipolarismo, ad una nuova guerra fredda, non più fra Est ed Ovest, come nel periodo fra il 1946 ed il 1991, ma fra Nord e Sud, vale a dire fra il mondo opulento ed il mondo meno opulento.

Questa nuova espressione della competizione internazionale si manifesta essenzialmente fra il blocco dei paesi dell’Occidente (il Nord) ed il resto del mondo (il Sud). Il gruppo dei paesi occidentali è composto dalla Nato più alcuni paesi ad essa vicini per posizione politica (Irlanda, Austria, Svezia, Svizzera, Israele, Corea del Sud, Australia, Nuova Zelanda, Giappone). In totale una quarantina di paesi su circa 200 paesi del mondo. Il blocco dei paesi che incarnano il Sud è composto essenzialmente dal crescente blocco dei cosiddetti paesi emergenti (i BRICS+), vale a dire Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica, più i paesi che un paio di mesi fa si sono integrati in questo gruppo (Argentina, Nigeria, Etiopia, Egitto, Iran e Arabia Saudita). Mentre il gruppo occidentale non sembra avere un grande potenziale di espansione e di allargamento, il gruppo dei BRICS+ sembra avere ottime opportunità di sviluppo, mediante l’integrazione di decine di paesi dell’Africa e dell’Asia, dell’America centro-meridionale e dell’Oceania. Si tratta di una formidabile competizione fra un mondo ricco, che sembra sempre più chiudersi in una torre d’avorio per proteggere la propria ricchezza, ed un mondo povero, sensibile ad una redistribuzione della ricchezza e ad una maggiore condivisione delle risorse. All’interno e a margine dei BRICS+ operano anche altre organizzazioni di sicurezza regionale, come l’importante Organizzazione di Cooperazione di Shangai o il Collective Security Treaty Organization o la Organizzazione della Cooperazione Centro-Asiatica o la Comunità Economica Euroasiatica.

Quale tendenza potrà favorire la prossimità geografica per la cooperazione euroasiatica? E’ inevitabile che la contiguità geografica e la continuità territoriale non possano che avvantaggiare gli scambi fra i paesi della regione euroasiatica. Ma ciò finirà per aumentare la tensione di carattere geopolitico fra i due blocchi. Proviamo a capirne le ragioni. Il mondo occidentale continua a considerare gli Stati Uniti d’America come il modello di riferimento ineludibile, sia per quanto concerne l’interpretazione del capitalismo, sia per quanto concerne le garanzie di sicurezza. Ciò comporta una serie di accordi che permettano lo stabilimento di legami forti, suscettibili di mantenere e tutelare la solidità del blocco occidentale. La NATO rappresenta lo strumento fondamentale di questo sistema. Creata nel 1949 per proteggere i paesi capitalisti e democratici dal potenziale espansionismo del comunismo sovietico durante la Guerra Fredda, l’Alleanza Atlantica, attraverso il proprio sistema di difesa integrato (la NATO), non si dissolse dopo la caduta del muro di Berlino (1989), ma venne tenuta in vita in ragione di pretestuosi obiettivi di equilibrio e sicurezza continentale. In realtà sembrò diventare sempre di più lo strumento cogente della realizzazione degli obiettivi strategici della politica estera degli Stati Uniti d’America in Europa. Il disinvolto allargamento della NATO verso est, in particolare, sembrò sfacciatamente collidere con le esigenze di sicurezza della Federazione Russa e di altre repubbliche ex sovietiche, come la Bielorussia e, parzialmente, la Moldova. La profonda crisi ucraina che per dieci anni, dal 2013 ad oggi, affligge ucraini, russi ed europei è il primo indicatore di questa collisione di strategie ed interessi.

Ls Repubblica Popolare Cinese, proprio nel momento in cui la crisi ucraina iniziò ad esplodere davanti all’opinione pubblica europea, lanciò nel 2013 un nuovo formidabile progetto di sviluppo, riprendendo il concetto, caro agli europei, della nuova via della seta (Belt and Road Initiative). Tale idea sembrò attraente ad un numero crescente di paesi. Si trattava di programmare degli investimenti utili per rinforzare i collegamenti terrestri e marittimi fra Asia ed Europa, al fine di potenziare il commercio di beni e servizi in seno alla regione euroasiatica. Tale progetto non piacque agli Stati Uniti d’America, i quali cercarono di dissuadere molti paesi dall’aderire alla proposta cinese, onde evitare una dipendenza crescente da Pechino. Ma il progetto si sviluppò e sedusse un numero consistente di paesi asiatici ed europei: la diplomazia economica e politica lavorò indefessamente per creare un blocco coeso di paesi, onde avviare investimenti a medio e lungo termine per costruire strade, autostrade, linee ferroviarie, porti, snodi logistici intermodali. Gli Stati Uniti d’America, invece, produssero sforzi palesi per boicottare tale progetto e per consolidare rapporti diplomatici bilaterali con paesi europei ed asiatici che avrebbero giocato un ruolo nevralgico in seno alla nuova via della seta. I casi di India ed Italia sono, a questo proposito, emblematici. L’India, insieme alla Russia, rappresenta un tassello estremamente importante per la realizzazione della nuova via della seta. Giocando sulle delicate relazioni fra Nuova Delhi e Pechino, Washington ha provato a stabilire un rapporto privilegiato con Nuova Delhi, sia a livello bilaterale, sia a livello multilaterale (l’intesa QUAD, a questo proposito, è probante, malgrado le difficoltà di intesa fra i paesi dell’Indo-Pacifico). Ma il rapporto fra l’India e la Repubblica Popolare Cinese sembra prevalere nel quadro BRICS+, quantunque l’India mantenga una posizione neutrale a livello politico internazionale, pronta a riservarsi la libertà di garantire sempre la propria indipendenza di scelta e di azione. L’India, infatti, se rinunciasse ad aderire alla nuova via della seta, sarebbe facilmente sostituita dalla Federazione Russa e dalle altre ex repubbliche sovietiche asiatiche (Kazachistan, Tagichistan, Kirghisistan Turkmenistan, Uzbechistan) per lo sviluppo di una linea che, più a nord dell’India, condurrebbe le merci da Xian a Turfan a Samarcanda, a Gorgan, Ankara, Istanbul e poi in Europa. Ancor più a nord si svilupperebbe la via ferroviaria dalla Cina a Kazan, Mosca, Praga. In entrambe le rotte i paesi chiave sono le ex repubbliche sovietiche, ma anche l’Iran e la Turchia, tutti paesi che gravitano intorno all’Organizzazione di Cooperazione di Shangai. La Turchia, però, è anche membro della NATO. Queste alternative inducono a pensare che anche l’India, per non rimanere al di fuori degli scambi, vorrà aderire al progetto della nuova via della seta. L’asse fra Mosca e Pechino, che si è consolidato in modo proporzionato all’aggravamento della crisi ucraina, pare essere una base fondamentale per il progetto della nuova via della seta. 

Il caso dell’Italia rappresenta un interessante esempio di collisione di interessi fra il vincolo rappresentato dalla NATO e le prospettive di natura economica offerte dalla geografia. Dopo aver firmato, nel 2019, un accordo con Pechino per la sviluppo della nuova via della seta, il cui terminal marittimo avrebbe potuto essere il porto di Trieste, il governo italiano attuale, dopo reiterate pressioni da parte di Washington, sembra orientato a non rinnovare tale accordo nel dicembre del 2023. La diplomazia coercitiva della NATO alimentata dagli Stati Uniti d’America sembra prevalere sugli interessi economici favoriti dalla geografia. Ma la diplomazia cinese non sembra né affannata né mossa dalla fretta. La contiguità territoriale fra i paesi euroasiatici rimane attraverso il tempo, le vie di collegamento sono differenziabili a seconda della collaborazione politica fra i paesi coinvolti, ma il processo prosegue e l’interesse dell’Europa centro-orientale non sembra né vago né trascurabile. L’Italia soffre, ma un giorno dovrà decidere trascendendo la diplomazia coercitiva.

Docente di Storia dell’Integrazione Europea Università degli Studi di Udine (Italia)

Stefano Pilotto