Cade per Biden l'accusa di corruzione per aver intascato una tangente milionaria. Ma il Comitato del Congresso che sta indagando sul 'traffico di influenze' del Presidente a favore del figlio Hunter ha accumulato prove schiaccianti e imbarazzanti
Mentre infuriava la battaglia tra Trump e Haley, per la nomination repubblicana, un’altra notizia venuta da Washington ha fatto rapidamente il giro del mondo. L’ex informatore incriminato nei giorni scorsi per aver mentito all’FBI, inventando le accuse di corruzione contro Joe Biden e suo figlio Hunter, ha confessato di essere stato aiutato da 007 russi nel tentativo di infangarli. Alla Casa Bianca hanno tirato un sospiro di sollievo: un accusatore che oltreché bugiardo era anche al soldo del nemico rappresenta una garanzia di innocenza.
Una manna improvvisa nel momento più difficile per il presidente americano, attaccato dai repubblicani e sempre meno sostenuto dai democratici. Nell’ultimo sondaggio, del 26 febbraio, il 47 per cento di loro chiede al partito di presentare un altro candidato. A pesare non è solo la precaria condizione psico-fisica dell’attuale inquilino della Casa Bianca. Ma anche la sua immagine di statista.
L’uomo che all’estero ha lanciato, da molti anni, campagne contro la corruzione è alle prese con inchieste a dir poco imbarazzanti. Che vanno oltre l’accusa di aver intascato direttamente qualche tangente, come denunciato dall’accusatore pentito.
A sostenere che il track-record di Joe Biden sia tutt’altro che immacolato non è solo la controparte politica o i media amici di Trump. È il lavoro del Comitato per la Supervisione e la Responsabilità del Congresso americano. Una commissione d’inchiesta bi-partisan di cui fanno parte 45 parlamentari – 25 repubblicani e 20 democratici – presieduta dal conservatore James Comer. Il Comitato sta svolgendo ormai da anni l’inchiesta sul “Traffico di influenza dei Biden”. Sì, Biden al plurale, perché il giro di soldi che a partire dal 2015 ha ruotato intorno all’allora vice di Obama chiama in causa oltre a Hunter Biden, il figlio, anche il fratello James e la di lui consorte Sara. “Family Business”, come il titolo del magnifico film di Lumet di quasi mezzo secolo fa.
Il Comitato, che aggiorna l’andamento delle sue scoperte nel sito del Congresso “The-Bidens-Influence”, ha riscontrato nel tempo una quantità di interventi diretti e indiretti di Joe Biden per favorire l’elargizione di molti milioni di dollari al figlio. A pagare, più o meno convintamente, erano finanziatori stranieri, tutti interessati ad avere l’appoggio del padre negli affari, spesso opachi, portati avanti con Hunter.
Chiunque, a cominciare dagli elettori americani, può consultare il sito e rendersi conto dell’attivismo affaristico dell’attuale presidente. Un mare di documenti che i congressisti hanno reso più facile da navigare con grafiche e sinossi. La sintesi stringatissima che gli stessi uffici del Congresso ne hanno stilato è sufficiente per avere un’idea.
“L’importo totale versato dalla Romania alla famiglia Biden e ai suoi associati è di oltre 3 milioni di dollari”;
“l’importo totale dalla Cina (in particolare con CEFC e le sue entità correlate) alla famiglia Biden e ai suoi associati è di oltre 8 milioni dollari”;
“l’importo totale versato dall’Ucraina alla famiglia Biden e ai suoi associati è di 6,5 milioni di dollari”.
Consuntivo: “I Biden e i loro associati hanno ricevuto pagamenti per oltre 20 milioni di dollari da entità straniere”.