Francia e Germania motore in panne

Un articolo di: Massimo Nava

Macron in calo di popolarità e senza maggioranza in Parlamento costretto all'ennesimo cambio di governo. Scholz a rischio elezioni anticipate. Lontani i tempi in cui l'asse Parigi-Berlino guidava l'Europa

È stato battezzato “Nightjet” il treno notturno Parigi Berlino, tornato in servizio dopo un decennio all’inizio dello scorso dicembre. Simbolicamente, è una buona notizia sulla salute delle relazioni fra i due Paesi, ma lo scenario resta poco entusiasmante per chi ha a cuore le sorti dell’Europa. I francesi preferiscono il termine “coppia”, i tedeschi usano il termine “motore”. Ma il motore o la coppia, alle nozze di diamante se partiamo dalle visioni di Robert Schumann e Jean Monnet, appaiono in una dimensione logora, per non dire superata, come concetto geopolitico. E come fattore propulsivo della politica europea, è in panne, in un momento in cui dovrebbe funzionare a pieno regime. Le crisi internazionali (pandemia, guerra in Ucraina, conflitto in Medio Oriente, approvvigionamenti energetici, scontro Usa/Cina) si sono aggiunte a problematiche interne quasi speculari.

In Francia, la caduta di popolarità del presidente Emmanuel Macron si somma alla perdita della maggioranza parlamentare. Crescono le estreme e si rafforza l’ipotesi di elezioni anticipate, mentre i sondaggi danno per scontato che l’estrema destra di Marine Le Pen risulti primo partito alle elezioni europee. La situazione sociale è esplosiva: contestazione permanente, nevrosi collettiva da insicurezza e crescenti episodi di antisemitismo e islamofobia sono indici di una società divisa e ripiegata su se stessa. Il discorso di Macron alla Sorbona, nel 2017, rimasto famoso per la riproposizione di un grande disegno europeo di sviluppo, integrazione e difesa
comune, fu appunto una visione: sì è persa per strada.

Macron è corso ai ripari con un vecchio rimedio: sostituire il “fusibile”, ovvero il primo ministro. Ha dato il benservito alla logorata Elisabeth Borne e ha consegnato le chiavi di Matignon al trentaquattrenne Gabriel Attal. Un colpo mediatico, essendo Attal anche il più giovane premier in assoluto nella storia della Republique. (Scontato il rimando a Napoleone, imperatore a 32). Difficile tuttavia che basti il carisma di un brillante tecnocrate a rimettere in ordine di marcia il Paese e a condurre in porto riforme senza maggioranza.

In Germania, la recente sentenza della Corte Costituzionale, che ha bocciato un maldestro artificio contabile, ha messo in evidenza profonde crepe nella cosiddetta “coalizione semaforo”, l’incompatibilità fra le visioni dei verdi e dei liberali e le difficoltà di mediazione del cancelliere socialdemocratico Olaf Scholz, anch’egli, come Macron, in caduta di consenso. Il debito tedesco è ancora contenuto ma, a differenza della Francia, la Germania sta pagando ancora di più i gravi ritardi infrastrutturali e la necessità di ripensare le fonti energetiche, fino a ieri dipendenti dalla Russia. Una questione che ha rimesso in discussione la storica decisione di abbandono dell’energia nucleare, con il risultato di lacerare sul tema l’opinione pubblica e la compagine di governo.

Non bastasse, anche in Germania si registra una forte crescita dell’estrema destra, che ha già influenzato i programmi dei partiti di governo, in particolare sul tema dell’immigrazione e dei controlli alle frontiere. La suggestione ideale del motore franco-tedesco andava nella direzione opposta, ossia di un progetto di sviluppo, solidale e integrato. È evidente il cambiamento di prospettiva rispetto all’epoca di Angela Merkel. E la ex Cancelliera, sconfessata dal suo partito, ha sbattuto la porta della Fondazione Adenauer, pilastro della formazione culturale della CDU.

Sul piano internazionale, con la guerra in Ucraina, si è avvertita una diversità di toni anche nei confronti della Russia, con espliciti i dissensi per quanto riguarda fonti e riconversione energica. Quanto agli impegni per il rafforzamento della difesa europea e gli aiuti militari all’Ucraina hanno evidenziato uno strabismo sulle sinergie dei rispettivi apparati militari. La Francia, come sempre, ha scommesso su un ruolo di leadership.

La Germania ha stanziato cento miliardi di euro, ha rafforzato la tradizionale partnership con gli Stati Uniti ma è costretta a constatare l’inferiorità con la nascente potenza militare polacca. Naturalmente, con occhi italiani, le difficoltà di Paesi amici sconsiglierebbero atteggiamenti autoconsolatori. Oltre settant’anni di “matrimonio” escludono peraltro rotture irreversibili. Piuttosto evidenziano momenti di crisi che vengono in genere superati, anche se il prezzo è un compromesso al ribasso, come si è visto nel dibattito sulla riforma del Patto di Stabilità: più che la ricerca di soluzioni, è prevalsa la condivisione dei problemi; i sogni di una revisione innovativa delle regole si sono scontrati con la necessità di trovare una posizione comune.

Due anni fa, Macron aveva descritto le discussioni sul mantenimento dei criteri di Maastricht come “un dibattito di un altro secolo”. Il nuovo patto rischia di rendere improbabili gli obiettivi su clima, sovranità economica e difesa. Anche l’allargamento della Ue ha reso meno “bilaterale” il rapporto fra Parigi e Berlino a vantaggio di relazioni multilaterali, anche se nei corridoi più decisivi dei palazzi comunitari francesi e tedeschi continuano ad avere le carte migliori. Certo è che tutta l’Europa non è all’altezza delle sfide che abbiamo di fronte. Che “parli con una voce sola” rischia di essere ormai un luogo comune, tanto ovvio quanto velleitario, tanto più che nemmeno i due principali azionisti marciano all’unisono. In questo senso l’Ucraina sarà la prima ad accorgersi dello stato dell’arte.

Editorialista del Corriere della Sera

Massimo Nava