Un'autobiografia di 700 pagine, un caso editoriale costruito a tavolino che pochissimo aggiunge alla storia politica della prima donna Cancelliere. Che resta riservata, al limite della reticenza, sulle sfide affrontate quando era ai vertici del potere
C’è un curioso paradosso – politico ed editoriale – nell’autobiografia di Angela Merkel, appena uscita in tutto il mondo. Le numerose interviste concesse in queste settimane, dopo tre anni di silenzio, e qualche anticipazione finiscono per raccontarci di lei e della sua epopea più cose interessanti che nelle oltre settecento pagine del volume. Non molte in verità, ma almeno più circostanziate su alcuni passaggi importanti del suo cancellierato. In pratica, qualche parola in libertà e qualche commento sono andati oltre il resoconto ufficiale.
Ad esempio, nell’intervista al Corriere della Sera, la Merkel smentisce una presunta telefonata con l’ex presidente Napolitano a proposito della crisi di governo che portò alla caduta del governo Berlusconi. E smentisce naturalmente di averla favorita. È già qualche cosa, rispetto alla biografia, in cui Napolitano non è nemmeno citato e Berlusconi è nominato appena tre volte in relazione ad appuntamenti internazionali, senza alcun accenno a notorie gaffe, dispetti e giudizi poco lusinghieri sull’aspetto fisico della stessa cancelliera.
Un altro esempio sorprendente riguarda la crisi dell’euro. Nessuna autocritica e una sola citazione per Mario Draghi, peraltro marginale rispetto alla svolta della BCE che salvò la moneta europea. Per Angela Merkel conta la sua ferma opposizione alla condivisione del debito.
Il lettore perdonerà un’autocitazione ma, come autore di una biografia di Angela Merkel (del 2022), nelle pagine che l’ex cancelliera dedica alla sua prima vita nella ex Germania comunista (oltre un terzo del libro), non ho trovato quasi nulla che non fosse risaputo e scritto in numerose biografie, uscite nel corso degli anni, o raccontato da lei stessa, compreso il tentativo (fallito) della polizia segreta della ex DDR di arruolarla come informatrice.
Quanto al bilancio del suo lungo cancellierato, inutile aspettarsi autocritiche e ammissione di errori. Laddove i risultati non sono seguiti alle aspettative, la Merkel preferisce glissare trincerandosi dietro il fatto che come ogni essere umano non potesse prevedere il futuro. Eppure avrebbe avuto la possibilità – come osservatrice – di prendere parte al dibattito in corso nella Germania di oggi sulle cause strutturali e sistemiche di una profonda crisi. Alcuni indicano le sue scelte strategiche come la causa di tutti i mali: l’apertura alla globalizzazione, l’accoglienza dei rifugiati in fuga dalla guerra civile siriana, l’abbandono del nucleare, la scommessa sul mercato cinese, l’accordo con Vladimir Putin per beneficiare del gas russo a basso costo… Anche se per molti, il “momento Merkel”, in cui lei stessa sembra crogiolarsi, appare in retrospettiva come una parentesi benedetta, prima del punto di svolta verso un mondo sempre più complicato. Oggi lei ammette soltanto che il freno al debito non deve essere un tabù inciso nella pietra, ma che occorre assumere più debito per investire per il futuro.
Con il magazine conservatore francese Le Point si è sbilanciata in un’affermazione di principio, riferendosi agli a sviluppi politici in Ungheria e Polonia, sostenendo che democrazia liberale e la libertà non possono essere date per scontate: “Ogni generazione deve lottare di nuovo per preservare ciò che è stato raggiunto. Forse eravamo troppo ottimisti nel 1990, dopo la fine della guerra fredda”.
In molte interviste la Merkel ha ribadito il passaggio storicamente più interessante della sua autobiografia, ovvero la posizione assunta, assieme all’ex presidente francese Nicolas Sarkozy, per opporsi all’ingresso di Georgia e Ucraina nella Nato. Si era nel 2008, al vertice Nato di Bucarest. E già allora la Casa Bianca premeva per l’adesione di Kiev e Tbilisi. Il conflitto in Ucraina e la tensione attualissima in Georgia le hanno dato ragione. I tentativi di allargamento della Nato e la destabilizzazione di questi Paesi hanno provocato l’arrocco e la reazione di Mosca.
In un’altra intervista (Die Zeit), la Merkel ha difeso la decisione di portare a termine il gasdotto Nord Stream 2, contro il parere degli Usa, interessati all’esportazione del loro gas liquefatto e a indebolire le esportazioni russe verso l’Europa. “A mio avviso un blocco del gasdotto, combinato con gli accordi di Minsk (avrebbe), peggiorato pericolosamente il clima con la Russia. Oggi le persone sono molto veloci nel giudicare le decisioni politiche del passato senza ricordare il contesto ed esaminare criticamente le alternative”. Poi la ex cancelliera ricorda che gli USA temevano l’eccessiva dipendenza energetica della Germania dalla Russia, ma che in realtà stavano sfruttando la loro superiorità economica e finanziaria per bloccare i progetti in altri Paesi, compresi i Paesi amici. Tenevano soprattutto ai loro interessi e volevano trasportare in Europa il loro gas liquefatto.
La Merkel spiega anche perché ha cambiato idea sull’energia nucleare. “Ho cambiato idea dopo l’incidente causato da uno tsunami nella centrale atomica di Fukushima, in Giappone. Questo evento mi ha insegnato che, anche in un Paese altamente sviluppato come il Giappone, possono accadere cose che pensavamo fossero impensabili. Avevo attribuito l’incidente di Chernobyl (nel 1986 in Ucraina, ndr) alla negligenza che regnava all’epoca nell’Unione Sovietica. Ma dopo Fukushima, ho ritenuto che non fosse più giustificabile continuare a utilizzare questa tecnologia a lungo termine”.
Non molto di più. Ma gli appassionati di storia e i fans della cancelliera troveranno comunque buoni motivi per leggerla.