I documenti appena desecretati raccontano di una breve “luna di miele” tra Washington e Mosca, con la Nato e l'Europa al centro. Era il periodo 1992-1995. L'ottimismo per un'architettura di Sicurezza comune durò poco. Gli obiettivi strategici dei neocons erano altri

All’inizio di aprile, in occasione del 75° anniversario del trattato istitutivo della Nato, sono stati desecretati alcuni documenti relativi alle relazioni Usa-Nato-Russia nel periodo 1992-1995. Era il periodo delle “grandi speranze”. Caduto il muro di Berlino, dissolta l’Unione sovietica, messa alle spalle la Guerra Fredda il mondo guardava con ottimismo al Nuovo ordine internazionale. Una speranza che si rivelò rapidamente un’illusione.
Con Bill Clinton alla Casa Bianca e Boris Eltsin al Cremlino, che amavano definirsi amici, il mondo ebbe appena il tempo di assaporare quella inebriante atmosfera. I documenti resi pubblici nelle scorse settimane dal National Security Archive di Washington spiegano quanto legittimo fosse, in quel momento, il generale orientamento positivo. Le carte desecretate includono la trascrizione, pubblicata per la prima volta, della lunga conversazione del segretario generale della NATO Manfred Woerner (tedesco, ndr) a Mosca con il presidente del Soviet supremo Ruslan Khasbulatov nel febbraio 1992, in cui Woerner delinea la visione della NATO come “un nuovo ambiente di sicurezza” dagli Urali all’Atlantico, “costruito su tre pilastri”: il processo di Helsinki, la Comunità economica europea e la NATO. Una visione molto simile a quella di Mosca, perseguita prima da Gorbaciov e poi sostenuta da Eltsin.
È interessante constatare come il cemento di quell’intesa sia rapidamente sfarinato. L’agenda di Clinton, condizionata dalle dottrine della fortissima lobby dei neocons che si era andata strutturando nei centri di potere politico-militari, non prevedeva rapporti alla pari tra gli Stati Uniti e il resto del mondo. E tantomeno con la Russia, per quanto post-comunista, di Eltsin. Wolfowitz, Chiney, Rumsfeld, Bolton, Perle avevano un altro orizzonte, disegnato dal politologo Robert Kagan, il PNAC, il Progetto per un Nuovo Secolo Americano. Che contemplava il rafforzamento del predominio militare americano, di cui la Nato – con il suo allargamento verso Est – era il principale strumento. Una dinamica che nei trent’anni successivi ha determinato la risorgenza di attriti, antagonismi, contrapposizioni, conflitti. E siamo a oggi.
Una involuzione, rispetto alle radiose aspettative del ’92, accompagnata dalla costante raccomandazione che il mondo occidentale ha impartito a se stesso: difendere ovunque “i nostri principi e i nostri valori”. Impresa non priva di rischi, che ha portato a un progressivo distacco del resto del mondo dal “faro” euroatlantico. L’affermarsi di nuove e rilevanti realtà economiche, tecnologiche, demografiche e militari hanno messo in crisi certezze che sembravano inossidabili. Oggi non solo gli attivisti nelle università americane ma una pletora di analisti sostengono che “la politica statunitense, riguardo alle guerre nella Striscia di Gaza e in Ucraina, suggerisce che gli Stati Uniti stiano decidendo selettivamente a chi applicare le regole”.
Su questo tema, altamente divisivo negli Usa e di forte impatto sulla campagna elettorale di Biden, Foreign Affairs ha deciso questa settimana di ripubblicare il saggio di Thomas M. Franck, esperto di diritto internazionale, apparso per la prima volta nel gennaio del 2001. Titolo: “Are Human Rights Universal?”. Da quell’interrogativo ne scaturiva un altro: “I diritti umani sono veramente universali, o sono un prodotto dell’Occidente decadente che non ha alcuna rilevanza in altre società?”.
L’eccezionalismo rivendicato dal Primo Mondo ha suggerito la rivendicazione di altri e opposti eccezionalismi da parte di popoli, nazioni, governi e Stati che si riconoscono in altri precetti. Così i fondamentalisti islamici si dichiarano contrari alla tolleranza religiosa perché i seguaci dell’Islam non possono abbandonare la “vera” religione, e la blasfemia deve essere punita severamente. Ma paradossalmente, scriveva Franck, “non c’è nulla di lontanamente occidentale nella libertà religiosa e nella tolleranza”.
Gli esempi citati vanno da Sant’Agostino a San Tommaso d’Aquino, da Calvino alla Gran Bretagna dei Cromwell: tutti ispirati dall’inclemenza nei confronti di dissenzienti, eretici, blasfemi nei confronti dei quali ogni supplizio era considerato lecito. Dunque c’è poco da insegnare. Un eccezionalismo culturale contro l’altro significa una battaglia delle idee che mette in discussione i pilastri della Storia. Per vincerla verranno schierati governi, organizzazioni intergovernative, ONG, imprese e lavoratori, risorse militari e fiscali. La conclusione cui giungeva Franck era anche un suggerimento: “sarà necessario un riarmo intellettuale per i pensatori cullati dal caldo e confuso trionfo del liberalismo e dalla presunta fine dell’ideologia”.

Senior correspondant

Alessandro Cassieri