In vista del 5 novembre la candidata democratica ha ridato entusiasmo al suo partito ma non molti elettori in più. Trump stabile, con i punti di forza in alcuni stati-chiave. E per la credibilità dei sondaggisti la sfida è ad alto rischio
Vincere un dibattito nella campagna elettorale americana conta, e il successo di Kamala Harris nella sfida contro Donald Trump del 10 settembre non è un’eccezione. L’attuale vicepresidente è riuscita a fare innervosire il suo avversario, che si è lasciato andare progressivamente ad affermazioni sempre più esagerate, ricordando agli elettori gli aspetti negativi del suo carattere. Harris, invece, è stata composta e ragionevole, raggiungendo l’obiettivo principale, per lei, nel dibattito: apparire presidenziale, cioè un’alternativa credibile al rischio Trump.
Non è stato un ko, perché l’ex presidente ha comunque piazzato dei colpi utili, soprattutto quando ha sottolineato che Harris è stata già al governo per quattro anni. Così ha reso più difficile per la vicepresidente presentarsi come portatrice di politiche nuove. Ma quando la stampa e i social network passano giorni a ironizzare con i meme, come quello sugli immigrati che mangiano cani e gatti, il danno è evidente.
Il cambiamento, però, è limitato. Harris ha ripreso il suo vantaggio di tra 2 e 3 punti nei sondaggi nazionali. Questo, dopo essere scesa a solo 1 punto di distacco nei giorni prima del dibattito. Non c’è dubbio che la vicepresidente sia avanti in termini di voto popolare. Si registra un grande entusiasmo intorno alla sua campagna, evidente nel numero di partecipanti ai comizi e nella grande quantità di contributi finanziari. Su quest’ultimo fronte, i democratici ora hanno un vantaggio significativo, con più fondi da destinare alla pubblicità e alle operazioni locali per mobilitare gli elettori.
Tuttavia, l’esito delle elezioni rimane imprevedibile. Trump ha ancora la possibilità di vincere, non solo perché rimangono diverse settimane prima del voto, in cui passi falsi e eventi esterni possono modificare la corsa in qualsiasi momento. Si gioca tutto negli stati in bilico, che quest’anno sono sette: oltre ai soliti Michigan, Wisconsin e Pennsylvania, si aggiungono Arizona, Nevada, Georgia e North Carolina.
La storia recente ci costringe a fare i conti con due elementi di incertezza: la possibilità per i repubblicani di perdere il voto popolare ma di vincere negli stati chiave, e un possibile errore dei sondaggi. Sono fenomeni ricorrenti negli ultimi anni, soprattutto per quanto riguarda i primi tre stati, quelli della cosiddetta “Rust Belt”. Nella “cintura della ruggine”, molte zone hanno sofferto pesantemente la deindustrializzazione negli ultimi decenni, generando una forte sfiducia nelle istituzioni. L’amministrazione Biden ha lanciato una fase di nuovi investimenti industriali, ma ci vorrà tempo per vederne gli effetti. Nel frattempo le famiglie sentono il peso dell’aumento dei costi in settori fondamentali come alimentari e abitazioni.
Donald Trump ha beneficiato di questo sentimento, ponendosi come un outsider. L’effetto è stato di portare a votare persone che altrimenti rimangono fuori dalla politica. Alcuni evitano di parlare con la stampa, per esempio, creando una distorsione nei sondaggi. Se si dovesse ripetere l’errore nelle rilevazioni delle ultime due elezioni presidenziali – 2016 e 2020, quando il vantaggio democratico è risultato minore del previsto prima del voto – allora Trump tornerà alla Casa Bianca. Non è detto che succeda, in quanto i sondaggisti lavorano continuamente per affinare i propri modelli. Ma la difficoltà di risolvere il dilemma rappresentato da Trump si palesa nell’efficacia dei diversi metodi utilizzati per calcolare la media dei sondaggi: quelli di FiveThirtyEight e del suo fondatore Nate Silver (che ora ha creato un nuovo canale, Silver Bulletin) valutano attentamente la qualità dei diversi sondaggi e creano una media ponderata. Il sito RealClearPolitics, invece, segue un approccio più semplice, evitando di stabilire una gerarchia tra i diversi sondaggi. Cosa funziona meglio?
Negli ultimi anni è stata più precisa la media di RealClearPolitics, quella che in teoria è più rozza, perché non applica aggiustamenti ponderati come le altre. Comunque i margini sono sotto i 2 punti in tutti gli stati più importanti, promettendo un risultato sul filo del rasoio.
Intanto le prime schede elettorali sono state già spedite, e il periodo di voto anticipato è cominciato in alcuni stati già il 20 settembre, fisicamente o per via postale. A questo punto entrambe le campagne devono lavorare per mobilitare i propri elettori. Storicamente, i democratici sono più attenti al voto per posta e anticipato, mentre i repubblicani preferiscono andare alle urne nel giorno finale. Alcuni gruppi conservatori, però, stanno lavorando per incoraggiare i loro sostenitori a votare presto, sapendo che mettere in cascina le preferenze già a settembre e ottobre rappresenta una sicurezza contro eventuali cambiamenti nel clima pubblico.
Allo stesso tempo, ci sono ancora alcune incertezze sul metodo di voto in alcuni stati. Trump e i suoi alleati hanno criticato le regole adottate nel 2020 e continuano a lavorare per cambiarle, anche a poche settimane del voto. In Georgia, per esempio, la Commissione elettorale dello stato, a maggioranza repubblicana, vuole rendere obbligatorio il conteggio a mano, piuttosto che elettronico, dei voti. In Pennsylvania, si prevede una battaglia sull’orario di chiusura dei seggi in caso di grande affluenza alle urne. E nel Nebraska, i repubblicani sperano di cambiare il modo di allocare il voto dei grandi elettori, che ora permette alla città di Omaha, più democratica, di esprimersi in modo separato dal resto dello stato.
Visto il testa a testa tra Harris e Trump, in cui la prima ha un vantaggio a livello nazionale ma il secondo potrebbe prevalere in alcuni stati chiave, le campagne sono molto attive a livello legale. Non è difficile ipotizzare scenari che dopo il 5 novembre prolunghino la certificazione del voto per giorni o anche settimane.
Il Congresso americano si è mosso nel 2022 per ridurre la possibilità di contestare i risultati. Ma in una democrazia le procedure dipendono dalla correttezza dei funzionari anche a livello locale. La forte polarizzazione politica ha preso piede anche in questo ambito, aggiungendo un altro elemento di incertezza a quello dei sondaggi. Le elezioni presidenziali del 2024 potrebbero trasformarsi in un lungo scontro in tribunale.