Tre referendum in quattro anni e altrettante bocciature per la nuova Carta costituzionale. I testi proposti non sono piaciuti ai cileni: troppo liberisti o troppo liberali. E nel paese cresce l'insoddisfazione
Con il referendum del 2020 il 78% della popolazione cilena ha approvato il testo di una nuova Costituzione. Sostituiva quella esistente, considerata neoliberista, promulgata nel 1980, durante la dittatura militare, e riformata solo parzialmente dopo la ri-democratizzazione.
Nel settembre 2022, con un altro referendum, il 62% della popolazione ha respinto il testo proposto per questa nuova Costituzione: considerato eccessivamente progressista e di sinistra. Ora, nel dicembre 2023, il 56% della popolazione ha bocciato anche la proposta di un nuovo testo, considerato eccessivamente conservatore e di destra.
Cosa succede ai cileni? La gente non sa cosa vuole? I politici sono incompetenti? Guardando la storia di questo pasticcio costituzionale risulta chiara l’incapacità dei politici di comprendere e di rispondere a ciò che il popolo cileno chiede fin dall’inizio.
Nell’ottobre 2019, più di 1,2 milioni di persone hanno protestato per le strade della capitale, Santiago, denunciando i numerosi problemi sociali che la popolazione doveva affrontare. La repressione della protesta ha causato la morte di 29 persone. Quasi 2.500 sono rimaste ferite e 2.840 sono state arrestate.
Nonostante il Cile abbia uno indice di sviluppo umano (ISU) considerato molto alto, uno dei più alti dell’America Latina, soffre di un’elevata disuguaglianza sociale, come la maggioranza dei paesi del continente. In questo contesto, le politiche sociali del governo, di carattere neoliberista, con un alto grado di privatizzazione dei servizi, non hanno soddisfatto le aspettative della popolazione su questioni molto scottanti, lasciando gran parte dei cileni in situazione di insicurezza sociale.
Poco prima delle proteste del 2019, secondo i sondaggi, le priorità evidenziate dalla popolazione erano così enumerate: pensioni (64% degli intervistati), sanità (46%), istruzione (38%), salari (27%), criminalità (26%). Solo il 9% dei cileni era interessato a una nuova Costituzione.
Nel 2021 i sondaggi hanno confermato questi orientamenti. Tuttavia, la stragrande maggioranza della popolazione era convinta che una nuova Costituzione potesse essere un modo per risolvere i problemi. La sinistra ha a quel punto immaginato che fosse il momento di dare al Cile la Costituzione più progressista e socialmente impegnata dell’America Latina. Ma gli elettori hanno detto il contrario. Tra i punti più controversi della proposta, approvata dai Costituenti e respinta dal referendum popolare, c’erano l’aumento dei diritti riconosciuti ai popoli indigeni e l’obbligo dello Stato di garantire alle donne le condizioni per abortire.
La nuova proposta, scritta da un nuovo team, questa volta di destra, ha promosso una sorta di ritorsione sulla proposta precedente. L’aborto era diventato più difficile, si era rafforzata la visione neoliberista dei sistemi di assistenza e di previdenza sociale (insistendo su uno dei punti che avevano portato alle proteste del 2019), e il diritto di sciopero era stato limitato. Risultato: la proposta è stata nuovamente respinta.
Insomma, una questione sociale precisa, complessa e difficile senza dubbio, ma ben delineata nella percezione della società, si è trasformata in un’arena di confronto tra le avanguardie estremiste di entrambi i lati dello spettro politico. Più interessate ad affermare le proprie posizioni che a offrire soluzioni efficaci ai problemi esistenti.
Affrontare le sfide sociali in modo completamente realistico, obiettivo e razionale può essere un ideale irraggiungibile nella pratica. Ma l’estrema miopia ideologica elimina la possibilità del dialogo e del consenso, non permette di raggiungere soluzioni minime, con gravi perdite sia per chi è arroccato sulle proprie posizioni sia per la società nel suo insieme.
È una lezione triste, che non è nuova ma che ci viene data di nuovo. Stavolta dal popolo cileno.