Il flop di Kursk e il fronte del Donbass

Un articolo di: Gianandrea Gaiani

Dopo il fallimento della controffensiva del 2023 le truppe ucraine sono sulla difensiva anche dopo l'incursione di agosto in territorio russo. La dinamica del conflitto erode le certezze di Kiev e il consenso intorno a Zelenski

Gli ultimi sviluppi del conflitto in Ucraina sembrano determinare qualche crepa tra l’Ucraina e le potenze occidentali. La crisi più evidente in un fronte che si vuol far credere compatto è emersa nel dibattito, serrato e a tratti surreale, sviluppatosi intorno alla richiesta di Kiev di poter impiegare le armi a raggio più esteso fornite dai maggiori partner occidentali per colpire il territorio russo.

Nel dettaglio, si tratta dei missili balistici statunitensi ATACMS, impiegabili dai lanciarazzi campali M142 e M270, accreditati di un raggio d’azione di 300 chilometri, e i missili da crociera anglo-francesi Storm Shadow/SCALP EG lanciabili dai velivoli ucraini Sukhoi Su-24M, con un raggio d’azione limitato a 250 chilometri. Armi già ampiamente impiegate contro obiettivi in Crimea e nei territori ucraini occupati con qualche successo ma anche con molti ordigni abbattuti dai russi.

Molti paesi europei della NATO hanno autorizzato Kiev a colpire la Russia con le armi che avevano donato, ma si è trattato di un via libera solo simbolico poiché gli armamenti consegnati da queste nazioni non hanno un raggio d’azione significativo. Il presidente Volodymyr Zelensky ha sgombrato il campo da ogni equivoco il 4 settembre affermando: “abbiamo bisogno del permesso di utilizzare armi a lungo raggio da parte di quei Paesi che ce le forniscono. Dipende da loro, non dalla coalizione di tutti i paesi amici del mondo. Dipende da Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Germania”.

Nella lista non è presente l’Italia che non ha mai chiarito se abbia inviato o meno missili Storm Shadow in Ucraina, come disse nel maggio scorso l’allora ministro della Difesa britannico Grant Shapps. Il governo italiano ha però chiarito in più occasioni che non consentirà l’impiego sul suolo russo delle armi donate a Kiev. Zelensky ha citato invece la Germania, perché da mesi preme su Berlino affinché consegni un buon numero di missili da crociera Taurus (“cugini” degli Storm Shadow). Ma il cancelliere Olaf Scholz ha sempre negato tale fornitura spiegando che l’invio di queste armi avrebbe inevitabilmente richiesto l’invio di tecnici militari tedeschi nell’aeroporto ucraino di Starokonstantinov, nella regione occidentale di Khmelnitsky, che ospita i Sukhoi Su-24M, più volte bersagliato dai missili russi che hanno distrutto o abbattuto buona parte dei velivoli ucraini. La base, che negli anni ’50 ospitava i bombardieri sovietici, dispone di ricoveri corazzati per gli aerei e sembra sia stata scelta anche per ospitare i cinque F-16 in servizio nell’aeronautica ucraina (un sesto velivolo è andato perduto durante un combattimento per cause mai chiarite).

Blogger militari ucraini e russi, ma al momento nessuna fonte ufficiale, hanno rivelato che il 26 e 27 settembre due bombardamenti effettuati con missili ipersonici Kinzhal avrebbero permesso ai russi di distruggere o danneggiare due o quattro F-16 e un Su-24M, oltre a far esplodere un deposito con 15 missili Storm Shadow e a uccidere 9 tecnici stranieri (6 americani e 3 francesi) ferendone altri 13 (7 britannici e 6 olandesi). Numeri non verificabili da fonti neutrali ma che indicano le difficoltà di Kiev, a mantenere operative le proprie forze aeree, e degli alleati a proteggere il proprio personale in Ucraina dalla sistematica caccia condotta dai russi con il bombardamento con missili Kinzhal e Iskander di ogni sito ucraino ove l’intelligence di Mosca rilevi la presenza di consiglieri militari e istruttori dei paesi aderenti alla NATO. Una presenza sempre taciuta ma indispensabile a consentire agli ucraini di impiegare armi, mezzi, velivoli, strumenti e tecnologie militari occidentali.

A Washington, già a metà settembre, i massimi vertici della Difesa avevano posato la pietra tombale sulle speranze ucraine di poter ottenere il via libera all’impiego di armi occidentali per colpire in profondità la Russia. Il portavoce del Consiglio per la Sicurezza nazionale, John Kirby, aveva ammesso il 4 settembre che la Russia ha spostato il 90% dei suoi aerei utilizzati per attaccare l’Ucraina fuori dal raggio di 300 chilometri dal confine ucraino raggiungibile dai missili ATACMS: “La valutazione secondo cui basta dare agli ucraini gli ATACMS e dire loro che saranno in grado di colpire la maggior parte degli aerei e delle basi aeree russe che vengono utilizzate per colpirli non è vera, è un equivoco”.

Il 6 settembre il segretario alla Difesa, Lloyd Austin, aveva dichiarato che la revoca delle restrizioni sulle armi fornite all’Ucraina “non cambierebbe” le sorti della guerra, sottolineando che non esistono armi “game-changer” e confermando che la Russia ha spostato le sue bombe plananti oltre la gittata dei missili ATACMS, mentre l’Ucraina stessa ha capacità di attaccare obiettivi a lunga distanza. Un riferimento ai nuovi droni prodotti da Kiev che il 18 e il 21 settembre hanno colpito grandi depositi di munizioni e missili a Toropets e Oktyabrski, nella regione di Tver (400 chilometri a nord ovest di Mosca) e a Tikhoretsk, nella regione di Krasnodar. Attacchi che hanno inferto danni gravi secondo Kiev ma che non sembrano, al momento, aver ridotto il volume di fuoco che i russi impiegano ogni giorno per sostenere le offensive o per colpire in profondità l’Ucraina. Il 6 settembre lo stesso Zelensky sembrava aver preso atto che “le armi a lungo raggio che ci hanno fornito coprono 200-300 chilometri, quindi sono incapaci di raggiungere le distanze che vorremmo”.

Va inoltre aggiunto che diverse fonti militari, negli Stati Uniti come in Gran Bretagna, hanno rivelato ai media che il numero di missili ATACMS e Storm Shadow ancora disponibili nei depositi è troppo limitato perché ne vengano ceduti ancora molti all’Ucraina.

Ciò nonostante il dibattito sull’impiego delle armi occidentali si è protratto, inducendo Mosca a dichiarare che un eventuale via libera a Kiev verrebbe interpretato come un atto di belligeranza da parte dei fornitori di tali armi a Kiev. Una valutazione che, unita a una leggera rivisitazione della dottrina nucleare russa, sembra rispondere alle reali motivazioni che animano le pressioni ucraine sugli alleati. Se Storm Shadow e ATACMS non sono “game changer”, il loro impiego sulla Russia costituirebbe un rischioso e inutile passo avanti verso il coinvolgimento diretto delle potenze occidentali nel conflitto. Prospettiva che gli Stati Uniti, a poche settimane dalle elezioni presidenziali e in una campagna elettorale in cui l’Ucraina costituisce uno dei tanti temi divisivi tra Harris e Trump, intendono scongiurare. Mentre a Kiev il pessimo andamento della guerra sui fronti di Kursk e del Donbass (oltre alla devastazione del 70 per cento della rete energetica nazionale) contribuisce a far maturare la consapevolezza che solo il coinvolgimento diretto dell’Occidente nella guerra potrà evitare la sconfitta.

Del resto, a due mesi dal suo avvio, anche l’offensiva ucraina nella regione russa di Kursk sembra rispondere più alle esigenze dell’Amministrazione Biden che alle priorità difensive ucraine. Non a caso nelle ultime settimane sono emerse informazioni circa il ruolo anglo-americano nel supporto satellitare e d’intelligence (quindi attinente alla pianificazione) all’assalto al territorio russo a cui hanno partecipato anche molti “combattenti stranieri”.

Certo, l’attacco ucraino ha colto di sorpresa i russi e ha inferto un colpo simbolico e reputazionale al Cremlino, considerato che dopo la Seconda guerra mondiale nessun lembo di territorio russo era stato invaso. Se sul piano militare diversi analisti l’hanno paragonato all’offensiva tedesca delle Ardenne del dicembre 1944, su quello politico l’attacco a Kursk puntava a far guadagnare tempo agli ucraini, ritardando di qualche settimana, a dopo le elezioni presidenziali americane, le sconfitte di ampio impatto mediatico come la caduta delle roccaforti del Donbass.

Una debacle ucraina a Donetsk e Luhansk alla vigilia del voto negli USA verrebbe certo cavalcata da Donald Trump, che da tempo attacca l’Amministrazione Biden e propone la soluzione negoziata del conflitto. Il tentativo di costringere Mosca a sospendere l’offensiva nel Donbass per difendere il territorio nazionale è però del tutto fallito. Gli ucraini hanno conquistato appena un trentesimo della superficie della regione di Kursk e il contrattacco russo che preme sui fianchi del nemico minaccia di tagliare agli ucraini le vie di rifornimento. Anche le perdite diventano sempre più alte, date la maggiore potenza di fuoco di artiglieria e forza aerea russe e l’assenza di aree fortificate, come quelle su cui gli ucraini possono contare nel Donbass. La Russia non sembra aver fretta di chiudere la partita a Kursk, dove gli ucraini sacrificano le migliori brigate rimastegli e che sarebbero invece indispensabili per tamponare l’offensiva in Donbass, dove i russi hanno sfondato il fronte in più punti. Mentre scriviamo le truppe di Mosca hanno circondato Ugledar penetrando a Toretsk e Chasov Yar, raggiungendo i sobborghi di Kupyansk e Pokrovsk.

Comandanti ucraini hanno raccontato al Financial Times che le nuove reclute (spesso arruolate a forza) mancano di addestramento basico e motivazione, che la maggior parte non sa nemmeno come impugnare correttamente un’arma, che il 50/70 per cento vengono uccisi o feriti nei primi giorni al fronte e che la maggior parte di loro va nel panico al primo bombardamento. L’età media di un soldato ucraino oggi è di 45 anni, troppi per un fante. Alcuni ufficiali affermano che in un plotone di 30 soldati in media solo cinque hanno meno di 30 anni.

Analista storico-strategico

Gianandrea Gaiani