Il rimpasto di Putin, le purghe di Zelenski

Dopo le elezioni presidenziali il capo del Cremlino ha sostituito importanti figure ai vertici del ministero della Difesa. A Kiev, dall'anno scorso, Zelenski procede alla rimozione sistematica di ministri, generali e magistrati

C’è un aspetto paradossale in questa guerra tra Russia e Ucraina, e riguarda certe analogie nella gestione delle risorse della Difesa.
È stata molto commentata in occidente la decisione di Vladimir Putin di procedere a un rimpasto, all’alba del suo quinto mandato presidenziale. Approfittato delle dimissioni del Governo (obbligatorie secondo la Costituzione a ogni insediamento di presidente) il capo del Cremlino ha operato un profondo rimaneggiamento ai vertici del ministero della Difesa e dell’apparato industrial-militare. Sergej Shoigu è stato pensionato con un certo riguardo e nominato segretario del Consiglio di Sicurezza. Contestualmente è stata liquidata tutta la sua squadra al ministero, finita nelle inchieste sulla corruzione. L’idea di Putin è chiara: non si tratta di cambiare strategia militare o politica. Ma in un centro come il ministero della Difesa, responsabile della condotta della guerra e per questo inondato di denaro (110 miliardi di euro per il 2024, pari al 6,7% del Pil russo, quota che sale all’8% se si considerano anche gli altri apparati di sicurezza), non ci possono essere falle né ombre. Ecco perché al posto di Shoigu è finito Andrej Belousov, economista con fama di incorruttibile e di fedelissimo dello zar.
Questo è ciò che succede in Russia. E in Ucraina? Il fatto più clamoroso è stato il siluramento del generale Valentin Zaluzhny, per due anni considerato l’eroe della resistenza ucraina e di colpo, ai primi di febbraio, rimosso senza tanti complimenti dall’incarico di comandante in capo delle forze armate. Divergenze sulla conduzione della guerra? Proprio no. Zaluzhny chiedeva una nuova legge sulla mobilitazione degli ucraini in età da servizio militare, e una volta fuori lui la legge è stata discussa e approvata. Zaluzhny chiedeva di riconoscere il fallimento dell’offensiva e lo stallo al fronte, e di assestare le linee per rinforzarle, far riposare gli uomini e farne affluire di nuovi. Esattamente ciò che ha poi detto e fatto il suo successore, generale Syrsky. Nella realtà, quindi, Zaluzhny (nominato ambasciatore a Londra, tenuto in sospeso per mesi e infine accreditato nel Regno Unito) è stato tolto di mezzo perché Zelensky lo vedeva come un potenziale rivale politico. Meglio un fedelissimo come Syrsky, detto “il macellaio”, poco amato dalle truppe perché incline a mandarle allo sbaraglio in attacchi forse più motivati dall’ambizione politica che dalla strategia militare.
Un fedelissimo molto utile nella fase attuale in cui, scaduto il mandato del Parlamento nell’ottobre del 2023 e quella del presidente il 20 maggio scorso, e nell’impossibilità di tenere elezioni, l’Ucraina vive una situazione molto particolare di sospensione dal punto di vista istituzionale.
Ma anche prima del “caso Zaluzhny” il ministero della Difesa ucraino, ovvero la spina dorsale della resistenza del Paese, era stato senza sosta nell’occhio del ciclone. Nei cinque anni del suo mandato presidenziale, Volodymyr Zelensky ha avvicendato cinque ministri della Difesa: Stepan Poltorak (rimosso nell’agosto del 2019), Andrij Zahorodnjuk (marzo del 2020), Andrij Taran (novembre del 2021), Oleksij Reznikov (settembre del 2023) per finire con il ministro attualmente in carica, Rustem Umjerov. Quando fu rimosso Reznikov, peraltro considerato un fedelissimo di Zelensky e mai (almeno ufficialmente) accusato di comportamenti illeciti, furono spazzati via anche i suoi quattro vice- ministri (Anna Maliar, la più nota, Vladimir Gavrilov, Rostislav Zamlinsky e Denis Sharapov) e Konstantin Vashchenko, il Segretario di Stato della Difesa.
Non era la prima volta: nel gennaio del 2023 Reznikov era sopravvissuto a un primo clamoroso scandalo, quando era saltato fuori che il ministero della Difesa acquistava per le truppe derrate a prezzi gonfiatissimi, con la differenza intascata dai soliti noti. Anche in quel caso cinque vice- ministri furono silurati. Per non parlare delle decine di funzionari di rango più o meno elevato che sono stati cacciati, perché ritenuti disonesti, da quando è cominciata l’invasione russa.
Al ministero della Difesa affluiscono troppi soldi e molti si fanno tentare. L’Ucraina spende il 58% del suo residuo Pil per sostenere la guerra, e può contare sui miliardi di aiuto finanziario che arrivano dagli Usa e dall’Unione Europea.
E un’ottima occasione di guadagno illecito, per i malfattori, sono anche le forniture militari dall’estero. Il Pentagono ha nominato un apposito ispettore, nella persona dell’avvocato Robert Storch, per verificare se munizioni e armamenti inviati per sostenere la resistenza dell’Ucraina arrivassero davvero a destinazione. Dai rapporti di Storch è emersa una situazione non imprevista ma preoccupante. Spariscono valanghe di munizioni e di armi, che finiscono sul mercato nero. In gennaio Storch ha certificato che circa il 60% delle armi più sofisticate inviate dagli Usa, per un valore di diversi miliardi di dollari, sono sparite senza lasciare traccia. Si tratterebbe di 2.500 Stinger, 10.000 Javelin, 23.000 visori notturni e almeno 750 droni: attrezzature facili da trasportare e da smerciare.

Senior correspondent

Fulvio Scaglione