Il vento dell’Est

Un articolo di: Massimo Nava

L'effetto inatteso della lunga guerra in Ucraina si sta espandendo in diversi paesi. Dopo la Slovacchia, la Moldova, la Georgia e la Romania anche in Croazia, altro paese dell'Unione europea e della Nato, cresce il consenso di leader e partiti definiti dagli avversari "filorussi"

In una rara intervista, Nikolai Patrushev, ex capo del FSB, uomo molto vicino al presidente Putin, ha detto: “Credo che i negoziati sull’Ucraina debbano svolgersi tra Russia e Stati Uniti, senza il coinvolgimento di altri Paesi occidentali” (Komsomolskaya Pravda). Per poi aggiungere: “Da tempo la leadership dell’Unione Europea ha perso il diritto di parlare a nome di alcuni dei suoi membri: Ungheria, Slovacchia, Austria, Romania e altri Paesi sono determinati ad adottare una posizione equilibrata nei confronti della Russia. Dobbiamo porre fine a discriminazioni subite dalla popolazione russa in una serie di territori, a partire dagli Stati baltici e dalla Moldova”.
Che questi siano i propositi del Cremlino non può stupire, ma è un fatto che in molti Paesi europei gli atteggiamenti nei confronti della Russia stiano cambiando. In quale misura è tutto da valutare, anche per l’impatto della politica del neo eletto presidente Trump, deciso a trattare direttamente con Putin per mettere fine alla guerra. Una cosa appare invece certa: gli europei hanno già pagato un prezzo economico per il conflitto in Ucraina e lo pagheranno ancora più alto per la ricostruzione del Paese. È una constazione che serpeggia in ambienti politici europei e che condiziona gli umori dell’opinione pubblica e i processi elettorali in corso.
È evidente l’ascesa di forze contrarie al proseguimento del sostegno a Kiev. L’arrivo al potere dell’estrema destra filorussa in Austria è stato l’ennesimo segnale. Un altro è arrivato dalla Romania, in pieno caos dopo le elezioni presidenziali annullate per “sospetti di interferenze russe”. Il candidato filorusso Calin Georgescu, vincitore al primo turno, aveva promesso di interrompere tutte le forniture di armi all’Ucraina in caso di vittoria.
È nota la posizione del primo ministro ungherese Victor Orban, che dall’inizio del conflitto mantiene una posizione molto ambigua nei confronti di Kiev. A lungo isolato in Europa, ora trova consensi in diversi Paesi, Italia compresa.
Già vicino a Orban, lo slovacco Robert Fico ha aperto il dialogo con il presidente Putin e minaccia di tagliare “gli aiuti umanitari” per i rifugiati, se Kiev non riprenderà il transito del gas russo. Va ricordato che in questi giorni migliaia di slovacchi sono scesi in piazza contro la politica filorussa di Fico. La tensione è altissima. Il premier ha addirittura accusato le opposizioni di preparare un colpo di stato, “di preparare una nuova Maidan”.
In Repubblica Ceca le cose potrebbero cambiare alle elezioni legislative d’autunno: i sondaggi prevedono un’ampia vittoria del populista Andrej Babis, che ha promesso di ridurre l’onere del sostegno all’Ucraina.
La Bulgaria, altro Paese dell’UE e della NATO, fondamentale per l’appoggio all’Ucraina, è in crisi politica, con forze filorusse in ascesa. A dicembre l’ex primo ministro e leader del partito conservatore GERB, Boïko Borissov, benché considerato filo-occidentale, ha bloccato un accordo di cooperazione per la sicurezza tra Sofia e Kiev.
In Croazia, all’inizio di gennaio, gli elettori hanno consegnato una grande vittoria (74 per cento dei voti) al presidente uscente Zoran Milanovic, considerato amico dei russi, dichiaratamente contrario al sostegno armato all’Ucraina.
E tutti naturalmente guardano alle elezioni tedesche, alla tenuta di una maggioranza impegnata a favore di Kiev che possa spingere l’UE a controbilanciare un eventuale ritiro americano. Ma qui il miliardario Elon Musk è intervenuto pesantemente nella campagna elettorale, invitando i tedeschi a votare per il partito di estrema destra Alternativa per la Germania (AfD), le cui posizioni filorusse sono note. Friedrich Merz, leader della CDU e favorito nei sondaggi, ha ipotizzato un accordo con AfD per favorire i respingimenti d’immigrati. In pratica, una crepa nella barriera contro l’estrema destra.
In Francia, il presidente Emmanuel Macron ha accusato Musk di sostenere “una nuova internazionale reazionaria”, ma sono condanne di principio, in un quadro politico in cui prevalgono le forze di estrema destra e di estrema sinistra, entrambe contrarie alla guerra e critiche sul sostegno incondizionato a Kiev. Le Point ha scritto: “I leader europei speravano che Trump continuasse a sostenerli contro Putin, ora vedono che non solo è pronto a deluderli, ma intende approfittare della loro debolezza, in un momento in cui lo scenario peggiore sta diventando possibile: la disgregazione della NATO, la vittoria russa in Ucraina, una guerra commerciale transatlantica, un conflitto in Asia per Taiwan”.
Il campione della solidarietà europea all’Ucraina resta al momento l’altro Donald, il polacco Tusk, presidente di turno della Ue. Anche se deve fare i conti con l’opposizione interna. La Polonia, secondo tradizione secolare, è il Paese che più teme i russi, che si sente più vicina agli Stati Uniti e che sostiene più fermamente di altri in una politica europea della difesa. Inoltre è il Paese che ha più investito nell’ ammodernamento e nel potenziamento del proprio esercito. “Se l’Europa vuole sopravvivere, deve armarsi”, ha affermato Tusk. Come fa appunto la Polonia, che spende il 5 per cento del proprio Pil per la difesa. Tusk ha accusato l’AfD tedesca e il PiS polacco di sostenersi a vicenda con l’aiuto di Mosca.
Anche il nuovo capo della diplomazia europea, Kaja Kallas, ha lanciato un appello a “investire”, di fronte a un’industria russa capace di produrre “in tre mesi più armi e munizioni di quante ne produciamo noi in dodici”.
Gli europei hanno fatto enormi progressi in materia dal 2022. Tuttavia, poco è realmente cambiato. Il mercato degli armamenti rimane in gran parte un mercato atlantico e la guerra in Ucraina non ha ancora favorito l’applicazione di una nuova dottrina.

Editorialista del Corriere della Sera

Massimo Nava