La strategia cinese nel Medio Oriente in fiamme

Mentre l’Occidente si divide sulle azioni per scongiurare l’allargamento del conflitto in corso a Gaza, Pechino mette d’accordo Hamas e Fatah. Un altro passo nella lunga marcia avviata per intaccare l’egemonia americana

È un formidabile successo diplomatico quello che Pechino ha appena ottenuto riuscendo a convincere 14 fazioni palestinesi ad accordarsi su un testo comune. Hamas e Fatah, la cui reciproca ostilità è forte, lo hanno firmato insieme. Il testo riguarda un “accordo sulla governance del dopoguerra a Gaza e l’istituzione di un governo provvisorio di riconciliazione nazionale”. Le 14 fazioni si impegnano a creare uno Stato palestinese indipendente con Gerusalemme come capitale, in conformità con le risoluzioni delle Nazioni Unite. E intendono anche “unire gli sforzi per porre fine al genocidio perpetrato da Israele nella Striscia di Gaza e per resistere ai tentativi di sfollare i palestinesi dalla loro terra”.

Il ministro degli Esteri cinese Wang Yi ha affermato: “la riconciliazione è una questione interna delle fazioni palestinesi, ma allo stesso tempo non può essere raggiunta senza il sostegno della comunità internazionale” e la Cina vuole quindi essere in prima linea in questa stessa comunità.

Certo, le possibilità di vedere realizzato questo accordo sono più che deboli. È difficile immaginare in quale orizzonte si potrebbe istituire un governo palestinese, anche se unitario, per governare effettivamente il territorio palestinese. L’unico punto d’accordo tra Netanyahu e i suoi oppositori è quello di rifiutare la prospettiva della creazione di uno Stato palestinese. E, nonostante i molteplici appelli al cessate il fuoco da parte delle Nazioni Unite, del presidente americano Joe Biden, degli alleati europei, di Israele, questa non sembra essere una priorità per Benjamin Netanyahu. O meglio, la sua priorità è che ciò non accada mai. Ma allorché anche durante i bombardamenti, l’Autorità Palestinese continua la sua cooperazione in materia di sicurezza con Israele, vedere Fatah e Hamas firmare un testo comune è un’impresa inaspettata. Benjamin Netanyahu non si sbagliava. Ovviamente ha rifiutato l’accordo e il ministro degli Esteri israeliano Israel Katz ha detto: “invece di respingere il terrorismo, Mahmoud Abbas abbraccia gli assassini e gli stupratori di Hamas, rivelando il suo vero volto”.

Pur avendo una posizione tradizionalmente filo-palestinese, la Cina aveva sviluppato legami tecnologici e di sicurezza con Israele. La guerra di Gaza ha cambiato il panorama. La Cina ha capito che per i Paesi del “Sud del mondo” il legame tra Israele e i Paesi occidentali era un fattore di indebolimento del prestigio di questi ultimi. La denuncia del doppio standard tra l’atteggiamento verso la Russia e quello verso Israele è un argomento pesante per Pechino nel suo duello con Washington. I Paesi occidentali, pronti a dare lezioni di moralità e rispetto del diritto internazionale al resto del mondo, sono intrappolati nelle loro contraddizioni e nella loro moralità a geometria variabile. Alla Cina non basta più essere una potenza in Medio Oriente accontentandosi solo di ricordare i grandi principi. Si è sporcata le mani ed è diventata una giocatrice importante. Non è più spettatrice di eventi sui quali non ha alcun controllo, diventa attore protagonista. La sua diplomazia è entrata in forze in Medio Oriente. Mettere ordine tra le fazioni palestinesi è stato generalmente compito del Qatar o dell’Egitto. Non ci si aspettava che Pechino potesse svolgere questo ruolo. Proprio come nella primavera del 2023 fu una sorpresa per tutti che la Cina avesse svolto il ruolo di mediatore tra l’Iran e l’Arabia Saudita, che si consideravano nemici esistenziali ed erano sull’orlo dello scontro. La Cina è diventata un partner importante dei Paesi del Golfo, sostituendo gli Stati Uniti come principale acquirente del petrolio saudita.

Per finire, il ministro degli Esteri ucraino era in visita a Pechino nello stesso momento in cui le fazioni palestinesi stavano negoziando. E Vladimir Zelenskij è molto amichevole con la Cina, che tuttavia sostiene il cessate il fuoco nella guerra tra Ucraina e Russia, pur rifiutando le questioni territoriali, procrastinandole: una proposta che è l’opposto delle richieste di Kiev, che non vuole negoziare finché la Russia non sarà uscita territori conquistati nel 2022 e anche nel 2014. Se un Paese europeo si permettesse di sostenere un cessate il fuoco in queste condizioni, subirebbe immediatamente l’ira di Vladimir Zelenskij.

Come spiegarlo? Naturalmente c’è la costante ascesa del potere della Cina che aspira a diventare la prima potenza mondiale. Non può farlo semplicemente superando il PIL degli Stati Uniti. Deve svolgere un ruolo più ampio anche sulla scena internazionale ed è quindi un attore importante che non si limita più alla regione asiatica. La diplomazia cinese si sta sviluppando su scala globale.

Inoltre, il pragmatismo, la flessibilità e l’assenza di rigidità ideologica le conferiscono un grande vantaggio rispetto ai Paesi occidentali.

In Medio Oriente questi ultimi rifiutano ogni contatto con Hamas, accettando soltanto di intrattenere rapporti con l’Autorità Palestinese, che ha perso ogni legittimità agli occhi della popolazione. Inoltre, l’Occidente non può svolgere alcun ruolo importante sulla scena palestinese a differenza della Cina (e della Russia).

L’Arabia Saudita ha deciso di non essere più coinvolta in un testa a testa bilaterale con gli Stati Uniti. Sta diversificando i suoi partenariati e Pechino sta diventando un partner privilegiato. Gli scarsi rapporti di Washington con Teheran hanno impedito agli Stati Uniti qualsiasi ruolo nella riconciliazione dei due principali Paesi del Golfo.

Quanto a Vladimir Zelenskij, ha capito che l’arrivo di Donald Trump al potere avrebbe messo fine agli aiuti americani e che aveva interesse a diversificare il suo gioco. Da questo punto di vista, Pechino potrebbe avere più influenza su Vladimir Putin rispetto ai Paesi occidentali, che non gli parlano più. Che la Cina potesse in un modo o nell’altro svolgere un ruolo di mediazione (anche con altri) in un conflitto centrale in Europa sarebbe stato inimmaginabile non molto tempo fa e ora appare legittimo, anche per i principali protagonisti.

Bloccati nei loro preconcetti ideologici, gli Stati Uniti e i loro alleati occidentali vengono superati su molte questioni da una Cina opportunista.

Geopolitologo, direttore IRIS

Pascal Boniface