La variabile iraniana

Potenza regionale del Medio Oriente, il paese degli ayatollah resta in bilico tra interventismo militare e pace. Da decenni nel mirino di Washington il regime teocratico, alle prese con forti tensioni interne, rafforza le intese con Russia e Cina

L’Iran è un paese di forte rilevanza per ragioni geopolitiche ed energetiche, primo/secondo al mondo per riserve congiunte di gas-petrolio, al momento non pienamente sfruttate per svariate ragioni. Posizionato sulla linea di faglia Est-Ovest e Nord-Sud, alle sue frontiere confluiscono i sentieri geostrategici di Russia, Cina e Occidente-Usa. La lingua ufficiale è il farsi, ma sono diffuse azero (dialetto turco), curdo e arabo. Sono consentite le religioni del Libro: Islam, Cristianesimo ed Ebraismo, insieme allo Zoroastrismo, culto tradizionale dalla Persia antica. Con 85 milioni di abitanti, 50% meno di 30 anni, 91% di religione sciita duodecimana, 50 % di etnia persiana (il resto azeri-turchi, curdi, arabi, baluci, lori, qashqai, talysh, gilani e altri), una sua eventuale implosione produrrebbe esiti simili a quelli sofferti dall’ex-Jugoslavia negli anni ‘90. Un esito cui mirano gli Stati Uniti, in adesione alla Strategia del Caos: destabilizzare le nazioni che non si piegano, dividere amici e nemici, vendere armi a chiunque, tenere alto il corso del dollaro e del petrolio, controllare i flussi di energia di cui il Medio Oriente è ricco. L’Iran è poi oggetto di specifica attenzione da parte Usa perché minaccerebbe l’alleato di ferro nella regione, Israele. In realtà è vero il contrario.

La Repubblica Islamica è membro del Trattato di Non proliferazione Nucleare (TNP), sottoposto quindi alle verifiche AIEA (1) per possibili scostamenti dal nucleare civile (consentito dal TNP) a quello militare (non consentito). Tra i paesi non aderenti al Trattato – oltre a Corea del Nord (uscita nel 2003), India e Pakistan – vi è Israele, che in adesione alla c.d. politica dell’ambiguità nucleare non conferma, né smentisce di possedere l’arma atomica, sebbene gli si attribuiscano 150/200 testate nucleari (2) , oltre a forze armate tra le più efficienti al mondo, costantemente equipaggiate dagli Usa. Quelle iraniane non tengono il confronto (3), salvo nel settore missilistico, per Teheran la principale arma di deterrenza. Diversamente dall’Iran, inoltre, Israele non aderisce né alla Convenzione Internazionale sulle Armi Biologiche (BWC) né a quella sulle Armi Chimiche (CAC). Nei rispettivi laboratori israeliani ogni esperimento è dunque legale. L’Iran è nemico di Israele e degli Usa, finanzia Hamas (che però riceve aiuti soprattutto dalle monarchie del Golfo), è alleato di Hezbollah, ha relazioni distese con l’Egitto (che è ostile a Hamas e Hezbollah), sostiene gli Houthi nello Yemen, paese invaso dall’Arabia Saudita con il sostegno Usa e dei paesi del Golfo. Teheran è amica di Damasco, a sua volta nemica di Ankara. Ma Turchia e Iran sono compatte contro i curdi, per entrambi altamente destabilizzanti. Da alcuni mesi – su impulso della Cina, che acquista da entrambi ingenti quantitativi di petrolio, indispensabili alla sua economia – Iran e Arabia Saudita hanno riallacciato le relazioni diplomatiche. Dal 1° gennaio 2024 sia Teheran che Riad saranno membri dei BRICS+ (a undici membri), rafforzando la dimensione energetica del gruppo.

Nel 2015, dopo un lungo negoziato con il G 5+1 (Usa, Russia, Cina, Francia, Regno Unito e Germania), era stato firmato il JCPoA (4), un accordo che avrebbe ampliato le verifiche AIEA sull’impiego di tecnologia nucleare pacifica. Come dichiarato dall’AIEA, Teheran stava rispettando alla lettera quell’accordo voluto da Barak Obama, stracciato poi da Donald Trump nel 2018 e non riesumato da Joe Biden, che pure in qualità di vice di Obama lo aveva a suo tempo approvato (è evidente che le corporazioni Usa del settore militare-industriale hanno avuto la meglio su quelle finanziarie o diversamente industriali).

Nella narrativa prevalente, il regime change costituirebbe l’obiettivo strategico degli USA. Ciò, tuttavia, non convince. In tal caso, infatti, si sarebbe investito su dialogo, commercio, investimenti, scambi scientifici, turismo e via dicendo, e gradualmente il regime avrebbe cambiato pelle e natura, distanziandosi dal suo radicalismo politico/religioso, divenendo persino condizionabile nelle posizioni politiche e rispetto dei diritti umani.

Avendo stracciato il JPCoA, gli Usa confermano di puntare ad altro: l’Iran deve rimanere un nemico incombente, sotto costante minaccia da Usa e Israele, possibilmente isolato, quantunque con l’ingresso nei Brics (5) e nella Sco (6), dove Mosca e Pechino sono cruciali, tale strategia appare perdente.

Teheran, d’altro canto, non vuole cadere nella trappola. Pur avendo stigmatizzato il massacro di Gaza per mano di Israele, non intende farsi coinvolgere militarmente, un’occasione questa a lungo attesa dai suoi nemici. L’intervento di Teheran sarebbe devastante per la regione (e le conseguenze della sua implosione verrebbero pagate dall’Europea, non certo dagli Usa, ben protetti dalla distanza) ma anche per la Repubblica Islamica. Alla devastazione del territorio si sommerebbe l’incognita della tenuta del regime. Certo, un attacco esterno spingerebbe la popolazione verso una maggiore coesione, ma alcune sfere della società e dei vertici clerico/militari potrebbero cogliere l’occasione per liberarsi di un regime inviso agli iraniani e ostacolo per il progresso del paese.

Accantonando le mistificazioni diversive su democrazia e diritti umani, strumenti logori dell’imperialismo Usa ormai in tangibile difficoltà, l’Iran serve altresì da alibi supplementare alla geopolitica Usa per rinviare sine die il nodo irrisolto della geopolitica mediorientale, la Palestina. La strategia militare di Teheran è in essenza difensiva: tra i paesi o gruppi politici su cui può contare troviamo innanzitutto la Siria, sebbene la logica vada qui rovesciata: è soprattutto Damasco ad aver bisogno di Teheran, non l’inverso, nonostante un certo interesse di Teheran a giungere al Mediterraneo e l’utilità di garantire la saldatura con il Partito di Dio in Libano, il quale – come del resto Hamas – ha le sue priorità, che non ne autorizzano l’automatico allineamento a quelle iraniane.

Viene poi l’Iraq, a maggioranza sciita ma araba (nella guerra degli anni ’80, l’appartenenza etnica prevalse sulla comune fede sciita), con una componente curda, messaggera di un potenziale contagio anche per Teheran, seppure per ora sotto controllo. A loro volta i rapporti tra Iran e Turchia rimangono solidi, pur oscillando tra interessi energetici, nemici comuni, i soliti curdi, e amici diversi, Assad/Stati Uniti.

I principali alleati di Teheran sono tuttavia Russia e Cina, potenze portatrici di interessi extra-regionali. Sebbene funzionali agli interessi presenti di Teheran, tali relazioni non sono prive di apprensioni, perché le due nazioni sono percepite nella loro storica propensione all’infedeltà (la prima) o a un pragmatismo che rasenta il cinismo (la seconda).

Per ora, la vicinanza di Teheran a Mosca e Pechino è sostenuta dal vento della real politik. Il cemento politico che unisce i tre paesi – bilateralmente e in seno ai BRICS+ e alla SCO – è oggi il contenimento della pervasività americana, percepita da tutti e tre, per ragioni diverse, quale ostilità strategica.

Per un Medioriente pacificato, è auspicabile, per quel che vale tale auspicio, che Stati Uniti (e altre Potenze esterne) abbandonassero la regione, dopo aver imposto a Israele una riconciliazione storica con il mondo arabo-mussulmano, accettando la nascita di una Palestina indipendente. A quel punto, la Comunità Internazionale – Occidente a guida USA, BRICS+ e resto del mondo – aprirebbe una fase nuova, favorendo il progresso materiale e immateriale della regione sotto l’egida delle Nazioni Unite e delle sue organizzazioni (la sola egida potenzialmente equidistante, di cui il mondo dispone), promuovendo lo sviluppo, l’equità e la tolleranza.

Un sogno certo, ma gli uomini si nutrono notoriamente più di sogni che di realtà.

 

(1)Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica

(2)https://www.repubblica.it/esteri/2023/10/14/news/israele_bomba_atomica-417798876/

(3)Nel 2022, secondo il Sipri (https://it.wikipedia.org/wiki/Stati_per_spesa_militare), Israele si colloca al 15.o posto al mondo con una spesa di $ 23,4 mld, cui devono aggiungersi le ingenti armamenti che ricevono regolarmente dagli Usa (https://it.wikipedia.org/wiki/Relazioni_militari_tra_Israele_e_Stati Uniti _d_’America), mentre l’Iran si colloca al 34.o posto con $ 6,8 mld.

(4)Joint Comprehensive Plan of Action

(5)Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa

(6)Shanghai Cooperatioon Organization

Diplomatico, è stato Ambasciatore d’Italia a Teheran (2008-2012) e a Pechino (2013-2015)

Alberto Bradanini