L’eccezionalismo americano Miti e Realtà

Da secoli gli Stati Uniti si considerano la guida del mondo. Una visione quasi mistica sulla missione americana che non subisce alterazioni col passare del tempo e con l'alternarsi di conservatori e progressisti alla Casa Bianca

Il 19 febbraio 1998, parlando alla NBC, Madeleine Albright, allora Segretario di Stato americano, affermò, nel contesto dell’uso della forza contro l’Iraq, che “se dobbiamo usare la forza, è perché noi siamo l’America, siamo una nazione indispensabile. Rimaniamo in piedi e guardiamo più lontano, nel futuro, rispetto ad altri Paesi, e qui vediamo un pericolo per tutti noi”.

Recentemente, il 19 ottobre 2023, quando l’operazione israeliana a Gaza è entrata nella sua seconda settimana, il presidente Joe Biden ha dichiarato che “la leadership americana è ciò che tiene insieme il mondo” e che “i valori americani sono ciò che ci rende un partner con cui altri Paesi vogliono cooperare”. Si possono semplicemente liquidare queste affermazioni come tradizionali luoghi comuni finalizzati al consumo interno, poiché è evidente a tutti che “il mondo” non viene tenuto insieme ma viene costantemente perturbato, per non dire messo in pericolo, da eventi che vanno oltre il controllo degli Stati Uniti. Eventi come l’invasione russa dell’Ucraina, giunta al suo secondo anno, l’apparentemente irrisolvibile crisi del Medio Oriente, i vari conflitti in Africa di cui si parla appena nei media, la pulizia etnica degli armeni nel Nagorno-Karabach dall’Azerbaigian, le difficoltà nella mediazione del conflitto tra Serbia e Kosovo, l’incapacità di impedire la repressione degli yazidi nel Kurdistan iracheno, dei Rohingya in Myanmar e degli uiguri nello Xinjiang cinese.

Tuttavia, i cliché di Biden non dovrebbero essere ignorati, poiché fanno parte di rivendicazioni storiche di identità che si propagano da decenni, se non da secoli. Molti Paesi si considerano “eccezionali”. Abbiamo avuto l’exception française (con una rivendicazione di superiorità culturale), l’anomalia italiana (che lamenta il ritardo dell’Italia rispetto ad altri Paesi moderni), il Sonderweg tedesco (prima di Hitler, una descrizione del percorso speciale verso l’industrializzazione; e dopo Hitler, come spiegazione del motivo per cui ciò portò al nazismo). Gli inglesi sono famosi per la loro visione auto celebrativa del progresso nazionale attraverso riforme pacifiche (dimenticando che giustiziarono il loro re molto prima che i francesi giustiziassero il loro).

Tuttavia, è vero che il percorso dell’America è stato unico e irripetibile. Aveva il senso di un destino straordinario che non tutti i Paesi possono avere. Tocqueville ha osservato che “la posizione degli americani è… piuttosto eccezionale, e si può presumere che nessun popolo democratico si troverà mai in una condizione simile”. Walt Whitman ne era decisamente convinto. Nel suo poema del 1867, Sat Alone by Blue Ontario’s Shores, scrisse: “In ogni epoca, una nazione deve guidare, Una terra deve essere la promessa e la fiducia del futuro”.

Non c’era bisogno di un impero formale per portare a termine la missione civilizzatrice finché esisteva un “manifesto destino”, espressione coniata dal giornalista americano John O’Sullivan nel 1845, quando cercò di giustificare l’annessione del Texas aggiungendo che nessun’altra nazione (intendendo Inghilterra e Francia) cercherebbe di limitare “la nostra grandezza” e di fermare “il compimento del nostro manifesto destino …”.

Per molto tempo il “manifesto destino” si è limitato all’ambizione di diventare una potenza regionale. La Dottrina Monroe (1823) dichiarava che qualsiasi tentativo Europeo di colonizzare qualsiasi parte del Sud America sarebbe stato considerato un atto di aggressione (anche se per gli Stati Uniti sarebbe stato difficile impedirlo). In ogni caso, nessuna potenza europea aveva né l’intenzione né il potere di colonizzare alcuna parte dell’America Latina.

Gli Stati Uniti si sono astenuti dall’intervenire al di fuori dell’America. L’eccezione furono le Filippine, che divennero una colonia americana nel 1899. Il ragionamento era simile a quello degli europei: il presidente McKinley ha dichiarato che “le Filippine ci appartengono non per sfruttare, ma per civilizzare, sviluppare, educare e insegnare la scienza dell’autogoverno”. Nel 1901, Woodrow Wilson, allora professore a Princeton, sostenne McKinley affermando che, sebbene gli Stati Uniti avessero acquisito le Filippine “quasi per caso”, era “nostro dovere” instillare nel suo popolo “i nostri principi di auto-aiuto”.

Ma gli Stati Uniti non cercavano ancora di diventare una potenza mondiale. Furono trascinati nella prima guerra mondiale quando il destino della Germania era quasi segnato, ed entrarono nella seconda guerra mondiale a causa di Pearl Harbor.
Dopo il 1945 gli Stati Uniti, divenuti la più grande potenza militare del mondo, considerarono la propria missione quella di contenere il comunismo. Tuttavia, non furono in grado di impedire la presa del potere in Cina da parte dell’Armata Rossa di Mao, né la vittoria dei comunisti nordcoreani, né la presa del potere da parte dei comunisti vietnamiti sull’intero Paese, e nemmeno l’adozione del comunismo da
parte di Fidel Castro dopo che ebbe preso il controllo di Cuba (a soli 150 km dalla Florida).

Gli Stati Uniti hanno svolto un ruolo minore nel processo di decolonizzazione degli anni ‘50 e ‘60. Anche la caduta del comunismo in URSS fu causata piuttosto dagli stessi comunisti sotto Gorbačëv, e dalla loro incapacità di creare una prospera società dei consumi. Anche l’evoluzione della Cina verso un’economia di mercato di relativo successo, chiamata “socialismo con caratteristiche cinesi” (un altro esempio di eccezionalismo), è stata opera di forze interne.

Eppure l’eccezionalismo americano esiste. Non è politico, o militare (sebbene la sua potenza militare è eccezionale), o economico (sebbene attualmente se la passi molto meglio dell’Europa). Sì, quello che accade nella politica di Washington è ancora più importante di ciò che accade a Pechino. Sì, anche se una vasta letteratura suggerisce da tempo che il potere economico e finanziario dell’America è in declino, gli Stati Uniti
continuano a dominare l’economia internazionale: il dollaro è ancora la valuta internazionale dominante (ma per quanto tempo?), consentendo agli Stati Uniti di gestire il più grande debito estero al mondo e avere più voti nella Banca Mondiale e nel Fondo Monetario Internazionale (ma per quanto tempo?). Il loro sistema politico appare sempre più bizzarro, al punto che l’editorialista Peter Baker ha scritto sul New York Times (5 ottobre 2023) che “a molti, in patria e all’estero, il modello americano non sembra più un caso di studio di una democrazia rappresentativa effettiva. Invece, è diventato il simbolo del disordine e della divisione che premia l’estremismo, sfida le norme e minaccia di dividere ulteriormente un Paese polarizzato”. Il dominio americano più impressionante si registra nel campo della cultura popolare, che è modellata e influenzata in tutto il mondo dalla musica, dai film, dalle storie e dalle serie televisive americane. Al centro di questo dominio secolare c’è il potere del software americano: Google, Microsoft, Facebook. Tutto ciò non ha niente a che fare con le attività di chi siede alla Casa Bianca o al Congresso, dove regna una confusione che preoccupa gli alleati dell’America.

Confusione politica che non ha impedito alla vicepresidente americana Kamala Harris di dichiarare, poco prima di partecipare a un vertice sull’intelligenza artificiale in Inghilterra, che sarebbero stati gli Stati Uniti a dettare le regole globali sull’intelligenza artificiale. “Siamo chiari”, ha detto, “quando si parla di intelligenza artificiale, l’America è leader mondiale. Sono le aziende americane a guidare il mondo nell’innovazione nel campo dell’intelligenza artificiale. È l’America che può catalizzare l’azione globale e costruire un consenso globale in un modo come nessun altro Paese può fare”.

Scrittore, Emerito di Storia Europea Comparata alla Queen Mary University of London

Donald Sassoon