Lula 2.0, ambizioni e problemi

Il presidente democratico, tornato alla guida del Brasile, punta sul peso del gigante sudamericano e dei Brics per imprimere una svolta nei rapporti internazionali. Ma deve fare i conti con le debolezze interne.

Dopo la drammatica presidenza di Jair Bolsonaro, il Brasile guidato da Luiz Inacio Lula da Silva è tornato sulla scena internazionale con l’intento di essere una potenza regionale. Protagonista dell’integrazione economica e politica sudamericana, e rappresentante qualificato di quel Sud Globale che acquista importanza di fronte alle dinamiche che ridefiniscono il peso dei grandi blocchi geopolitici. Un Brasile che difende il multilateralismo, che è guidato dai principi di non intervento, autodeterminazione, cooperazione internazionale e risoluzione pacifica dei conflitti. Almeno questa è l’intenzione del governo Lula, rafforzata dalla presidenza di turno del G20 che nel 2024 toccherà al Brasile.

Con questo obiettivo, il discorso di apertura della 78esima sessione dell’Assemblea Generale dell’ONU, nelle settimane scorse, è stato uno dei più elaborati tra quelli prodotti da Lula e dai suoi consiglieri. Il presidente brasiliano, tornato al Palacio do Planalto dopo anni difficili e controversi anche sul piano personale, vuole essere visto come rappresentante di una via alternativa in un contesto di confronti globali in cui tutti rischiano di perdere qualcosa di importante. Lula intende presentare il Brasile come una voce non allineata e al contempo rilevante nelle nuove sfide economiche e militari che caratterizzano l’attuale ‘ordine internazionale’.

In quest’ottica, l’obiettivo principale di Lula è la lotta alle disuguaglianze, sia tra le nazioni che tra i gruppi sociali. È un tema che gestisce bene e nel quale ha avuto un relativo successo negli anni in cui è stato per la prima volta presidente del Brasile, dal 2003 al 2010.

Lula è convinto che tutti gli altri problemi di rilevanza globale, dall’ecologia ai conflitti armati, dalle migrazioni alle sfide del nuovo contesto lavorativo, possano essere risolti più facilmente se si affrontano adeguatamente le scandalose disuguaglianze e asimmetrie del mondo di oggi.

Lula spera di acquisire credibilità sia a livello politico che morale, come portavoce degli esclusi, leader di un Paese che cerca soluzioni democratiche e socialmente giuste. Un brano del suo discorso all’ONU illustra bene questa posizione, che non è solo politica: “La disuguaglianza deve suscitare indignazione. Indignazione per la fame, la povertà, la guerra, la mancanza di rispetto per l’essere umano. Solo se mossi dalla forza dell’indignazione potremo agire con volontà e determinazione per superare le disuguaglianze e trasformare efficacemente il mondo che ci circonda”.

Tuttavia molti sono gli ostacoli che Lula deve superare per raggiungere questa posizione sulla scena internazionale.

Il primo, costantemente evidenziato dai commentatori brasiliani, è la necessità che lui e il suo Partito dei Lavoratori, il PT, aggiornino la loro visione del mondo e le loro proposte, ancora fortemente ancorate alle bandiere del XX secolo. Ad esempio, Lula ha difficoltà a criticare e a opporsi ai governi autoritari di sinistra latinoamericani, come il Nicaragua, il Venezuela e Cuba. Per lui e il suo partito questi sono comportamenti inevitabili per affrontare l’egemonia nordamericana all’estero e le élite reazionarie all’interno di questi paesi. Così facendo, però, mina la sua immagine di leader democratico, soprattutto in ambito continentale.

Lula ritiene che sia necessario opporsi all’egemonia nordamericana per sostenere una posizione di neutralità, e che questo, nel caso della guerra in Ucraina, implichi non condannare l’invasione russa. Questo atteggiamento significa acconsentire all’invasione di un paese da parte di una potenza vicina: Lula sperava di accreditarsi come mediatore nel conflitto, ma – per l’Occidente – è risultato troppo collegato alla posizione russa.

Quando, nel 2003, Lula divenne presidente, l’America Latina stava attraversando una “marea rosa”, con l’ascesa di governi di sinistra in diversi paesi. Oggi, anche con il ritorno al potere di alcuni partiti di sinistra, le crescenti difficoltà economiche e le critiche ai precedenti mandati di sinistra non permettono di prevedere la stessa dinamica.

Gabriel Boric, presidente del Cile e rappresentante di una nuova generazione di sinistra in America Latina, dichiara di ammirare Lula e riconosce la sua leadership, ma dice che la sinistra deve essere più autocritica, presentando proposte più concrete, con un chiaro riferimento ai leader della generazione di Lula.

Alberto Fernández, presidente dell’Argentina, particolarmente vicino a Lula in questo momento, ha poche possibilità di essere confermato alle prossime elezioni. Questi sono tempi nuovi, che richiedono il rinnovamento delle leadership.

Altrettanto complicata, e forse di più, la situazione a livello nazionale, dove Lula deve affrontare un Congresso di destra che chiede un prezzo elevato per sostenerlo. In meno di un anno di governo, cercando di bilanciare promesse elettorali e concessioni alla destra, ha già deluso ambientalisti, femministe e antirazzisti.

Lula non è il primo leader internazionale ad affrontare una grande opposizione interna, ma quanto più grande è questa opposizione, meno spazio c´è per dedicarsi alla politica estera.

Se tutto ciò non bastasse, Lula si trova ad affrontare il problema di un Paese che da molti anni non si sviluppa al ritmo necessario per soddisfare le crescenti esigenze della sua popolazione.

Quando Lula lasciò il potere, nel 2010, il prodotto interno lordo (PIL) brasiliano rappresentava il 3,1% del PIL mondiale. Nel 2022 è sceso al 2,5%. A titolo di confronto, nel 2010 il PIL dell’India era pari al 2,5% del PIL mondiale, nel 2022 era cresciuto fino al 3,2% di quello globale.

In Brasile il modello di sviluppo che in passato aveva guidato la politica economica del PT, incentrato sulle decisioni strategiche del governo, con il sostegno ai maggiori gruppi economici, si è esaurito senza dare buoni risultati. Se Lula vuole vedere riconosciuta una leadership su scala globale, il Brasile deve cominciare col presentare un suo modello alternativo di sviluppo economico e sociale.

Coordinatore del Centro Fede e Cultura della Pontificia Università Cattolica di San Paolo

Francisco Borba Ribeiro Neto