Il presidente francese costretto a varare il terzo governo in meno di un anno. Ancora una volta senza coinvolgere i vincitori delle elezioni politiche. Per la prima volta da sessant'anni la Francia vive una situazione di instabilità destinata a incidere sul corso della V Repubblica. Mentre il paese deve affrontare più crisi contemporaneamente
La Francia, le cui istituzioni e il cui metodo di voto sembravano garantire la governabilità, sta attraversando una profonda crisi politica piena di incertezze. Il 4 dicembre 2024, una mozione di censura presentata all’Assemblea nazionale dai Partiti di sinistra riuniti nel Nuovo Fronte Popolare è stata votata da questi deputati e da quelli del Rassemblement National, quando il contenuto della mozione criticava non solo il governo ma persino l’estrema destra. Questa coalizione di forze opposte ha costretto il governo di Michel Barnier a dimettersi, interrompendo bruscamente il varo della legge di bilancio.
Ciò non accadeva sotto la Quinta Repubblica dal 1962. Lo shock è quindi particolarmente violento per il sistema politico, l’economia indebolita da un deficit considerevole e per i francesi preoccupati per il loro potere d’acquisto e per il deterioramento della situazione sociale.
La crisi politica deriva da una serie di comportamenti e atteggiamenti irresponsabili di tutti i leader politici. Innanzitutto del presidente Macron, che ha annunciato lo scioglimento dell’Assemblea nazionale la sera stessa delle elezioni europee perse dal suo Partito. Pensando di ottenere un chiarimento politico. I francesi hanno scelto invece di eleggere un’Assemblea divisa in tre blocchi senza maggioranza assoluta: quello della destra radicale del Rassemblement National (RN); quello della coalizione di sinistra, il Nuovo Fronte Popolare (NFP), arrivato in testa e ancora dominato, nonostante i progressi dei socialisti, dalla sinistra radicale della France Insoumise (LFI). Infine quello del blocco centrale uscito indebolito dal ballottaggio e diviso tra una sensibilità piuttosto di destra e un’altra piuttosto di sinistra.
Emmanuel Macron si è rifiutato, come avrebbe dovuto fare normalmente, di proporre un primo ministro di sinistra del NFP, perché la LFI aveva adottato un atteggiamento intransigente, e ha preferito ricorrere, dopo quattro mesi di riflessione, a Michel Barnier, vecchio esponente della destra, leader di un Partito molto poco rappresentato nell’Assemblea Nazionale.
La sua decisione, come quella dello scioglimento, non è stata né compresa né accettata dagli elettori della sinistra e da quelli del Rassemblement. Ma l’irresponsabilità è anche quella di tutti i partiti. Quelli di destra e di centro, che avrebbero dovuto sostenere il nuovo governo, si sono infuriati e hanno intrapreso una guerriglia permanente contro il Primo Ministro. La France Insoumise, gridando alla “negazione della democrazia” da parte del presidente della Repubblica che non aveva scelto il loro candidato per palazzo Matignon (sede del Primo ministro, ndt), ne chiede le dimissioni. Socialisti, verdi e comunisti non sono d’accordo ma esitano a rompere l’alleanza NFP per paura di essere sanzionati alle prossime elezioni legislative dagli elettori più di sinistra attaccati all’unità del loro campo. Il Rassemblement National di Marine Le Pen, impegnato in una strategia di relativa normalizzazione per poter accedere all’Eliseo, ha preferito soddisfare il suo elettorato che voleva a stragrande maggioranza la caduta del governo Barnier.
Da diversi anni i leader politici spiegano forte e chiaro che è giunto il momento che il Parlamento svolga un ruolo maggiore per bilanciare in qualche modo il potere che la Costituzione e soprattutto la pratica istituzionale attribuiscono al Presidente della Repubblica. Hanno avuto l’opportunità di avviare questo riequilibrio. Niente! Non solo il compromesso non fa parte della cultura politica francese dall’instaurazione della Quinta Repubblica, nel 1958, ma i principali protagonisti politici non hanno voluto sperimentarlo perché ossessionati dalle prossime scadenze elettorali: le elezioni legislative che potrebbero svolgersi l’anno prossimo, le elezioni comunali del 2026, infine – e soprattutto – le elezioni presidenziali del 2027 nelle quali l’attuale inquilino dell’Eliseo non potrà ripresentarsi. Questo accumulo di irresponsabilità non fa altro che alimentare l’immensa sfiducia politica che tutte le inchieste di opinione registrano da decenni e che si è ulteriormente aggravata in questa fine anno. Secondo un sondaggio IPSOS, l’86% dei francesi non ha fiducia nei partiti politici; il 78% nei deputati; il 74% nella persona del Capo dello Stato e nell’Assemblea nazionale. Più che mai, i francesi credono che i loro leader siano distanti dalle loro preoccupazioni principali, quelle della loro vita quotidiana.
Dopo la caduta del governo Barnier, il Presidente della Repubblica ha lavorato per formare un governo di interesse generale. Si è ritrovato al centro del gioco, desideroso di continuare la sua interpretazione presidenzialista delle istituzioni. Tuttavia, molto indebolito e impopolare, in un modo senza precedenti nella storia della Quinta Repubblica, ha riunito i partiti per una consultazione. Ancora una volta, in un modo senza precedenti, il 13 dicembre è stato costretto a nominare François Bayrou primo ministro, nonostante non fosse la sua prima scelta. Costui è alla guida di un piccolo partito centrista essenziale per il blocco che sostiene il capo dello Stato. All’età di 73 anni, l’uomo è un politico esperto, per nulla vassallo di Macron e determinato ad applicare l’articolo 20 della Costituzione: “il Primo Ministro determina e conduce la politica della nazione”. Lui, che ha sempre voluto riconciliare i francesi, saprà trovare dei compromessi in Parlamento per durare almeno fino all’estate del 2025, quando il Presidente della Repubblica potrà sciogliere nuovamente l’Assemblea Nazionale, o addirittura fino al fine della legislatura? Come si comporteranno i rappresentanti dei partiti di governo della destra, del centro e della sinistra? Possiamo ipotizzare che, non riuscendo a cambiare la cultura politica accettando di scendere a compromessi fondamentali, decidano di lasciare in carica François Bayrou per due anni per evitare elezioni presidenziali anticipate per le quali non sono pronti. Il rischio, in questo caso, è che questo governo non avvii alcuna delle importanti riforme di cui la Francia ha bisogno.