Milei e il paradosso argentino

Un articolo di: Francisco Borba Ribeiro Neto

La “luna di miele” del neo presidente argentino è stata punteggiata da gaffes e bocciature. Eppure il leader ultra populista sembra poter contare su un forte zoccolo elettorale: non per scelta ma per disperazione

Il governo Milei ha superato i 100 giorni con relativo successo. Non è stato in grado di approvare le sue riforme più ambiziose ma è riuscito a compiere progressi nella riduzione della spesa pubblica e dell’inflazione, ed è relativamente ben valutato dagli operatori economici. Ma la popolazione argentina si trova a fronteggiare la povertà, tornata ai livelli di 20 anni fa, e questo determina una situazione potenzialmente esplosiva. Ciononostante il consenso per Milei rimane quello che era quando è entrato in carica.
Come si spiega? Il fatto è che la crisi argentina è diventata insostenibile per la popolazione ma, paradossalmente, è diventata una risorsa per Milei. Cose che in un altro momento erano inaccettabili diventano sopportabili, vista la mancanza di prospettive delle politiche economiche precedentemente attuate.
Comprendere la storia economica dell’Argentina non è un compito facile. Poco meno di un secolo fa il paese aveva uno dei PIL più grandi, era la sesta economia del mondo, era un grande esportatore di prodotti agricoli e apparentemente aveva un’attività industriale promettente. Cosa è successo per diventare uno degli Stati più indebitati, con un’inflazione incontrollabile e una sequenza di crisi economiche e politiche?
Pur correndo il rischio insito nella semplificazione si può dire che il Paese non ha saputo fare investimenti che garantissero uno sviluppo duraturo. Lo Stato ha speso molto e non sempre ha speso bene, contraendo prestiti che non sono serviti per investimenti adeguati alla crescita della infrastruttura e della capacità produttiva del Paese. Il suo modello di sviluppo, seguito per gran parte del XX secolo, creava barriere doganali per l’importazione di prodotti industriali, puntando allo sviluppo dell’industria locale. Sebbene abbia avuto successo per un certo periodo, questo sistema ha portato al finanziamento di gruppi economici inefficienti e non competitivi, rendendo sempre più difficile l’integrazione nell’economia Internazionale. Nel frattempo, i governi hanno investito sempre di più nel ruolo crescente dello Stato e hanno permesso che il deficit pubblico aumentasse.
È da notare che durante tutto questo periodo, grazie ai successi economici e agli investimenti sociali del governo, la popolazione argentina ha goduto di uno standard socioeconomico privilegiato tra i paesi sudamericani. Questo è uno dei maggiori problemi del populismo latinoamericano: cerca di garantire la qualità della vita della gente per mantenere lo zoccolo elettorale di chi governa.
Ma il populista ha una visione irrealistica della sostenibilità economica, spesso incanalando gli investimenti produttivi verso élite politiche inefficienti e non interessate allo sviluppo del paese. In un certo senso, il dramma risiede proprio nella capacità di superare le crisi senza risolverne i problemi fondamentali. In questo modo si è arrivati al livello critico attuale che sfida il governo di Javier Milei.
In questo contesto, uno shock “neoliberista” con una drastica riduzione della spesa pubblica sembra inevitabile. Al tempo stesso, la crisi economica lascia la popolazione più fragile e indifesa, rendendo ancora più necessaria l’assistenza statale. Bilanciare queste due tendenze contrapposte è la prima e più grande sfida per qualsiasi leader politico si trovi ad affrontare una situazione come quella argentina.
Ma i piani di Milei vanno oltre. Propone di riorientare drasticamente il modello di sviluppo economico argentino. In un certo senso, la sua proposta è quella di distruggere ciò che esiste, affinché possa emergere il nuovo: vendere tutte le aziende statali (e ce ne sono molte in Argentina); deregolamentare l’attività economica; aprire indiscriminatamente il Paese agli investimenti stranieri; abbandonare l’idea di piani di sviluppo nazionale; lasciare che siano le leggi del mercato a determinare chi prospererà e chi no. È un percorso rischioso, destinato ad aggravare la crisi nel breve termine, sperando nei progressi nel medio e lungo termine…La strategia di Milei, in economia, è stata chiamata il “piano della motosega”, a causa del suo enorme impatto distruttivo su ciò che esiste oggi. Tra un passaggio e l’altro le sue proposte hanno difficoltà ad avanzare al Congresso argentino. Se dovessero andare avanti, le previsioni a breve termine sarebbero preoccupanti per la sopravvivenza della popolazione. Le forze sociali che gli si oppongono stanno organizzando e preparando scioperi e altre misure per rendere impossibile l’attuazione delle sue proposte.
Milei non ha né il sostegno parlamentare né quello popolare per proporre grandi sacrifici alla popolazione. Il suo partito ha solo 38 dei 257 seggi alla Camera. È stato eletto al secondo turno con il 55,7% dei voti, ma al primo turno ha ottenuto solo il 22%. Questa percentuale (22%) rappresenta quella frazione della popolazione argentina che sostiene realmente le sue proposte fin dall’inizio. Poco, per chi propone di cambiare il modo di fare politica e di gestire uno Stato strutturato, anche se in crisi.
In questa situazione tende ad emergere la verve autoritaria di Milei. Nel suo piano governativo presentato alla Camera dei Deputati, la “Legge delle basi e dei punti di partenza per la libertà degli argentini”, più nota come “legge omnibus” (in ragione della quantità e pluralità delle materie legiferate), Milei ha creato ostacoli per lo svolgimento di scioperi e manifestazioni pubbliche; ha proibito praticamente lo svolgimento di riunioni delle opposizione al governo; ha introdotto una condizione di emergenza pubblica che gli permette di prendere decisioni economiche e amministrative senza richiedere l’approvazione del parlamento.
Nonostante sia stata semplificata e abbia perso per strada molti punti controversi, la “legge omnibus” non ha fatto progressi, costringendo Milei a cercare nuove proposte legislative e ad adottare misure che aumentino la sua popolarità. Con questo obiettivo sono state prelevate le risorse dalle mense statali, per le popolazioni a basso reddito, a favore di organizzazioni gestite da chiese evangeliche; è stato approvato un aumento del salario minimo del 30% (anche se la richiesta dei sindacati era dell’85%); ha incontrato Papa Francesco, che aveva precedentemente attaccato definendolo “comunista”; ha riesumato le pretese dell’Argentina sull’arcipelago delle Falkland (o Malvinas), detenuto dagli inglesi.
Tra queste misure, due meritano di essere evidenziate: l’avvicinamento agli evangelici e la ripresa delle rivendicazioni argentine sulle Isole Falkland. L’assegnazione di risorse alle chiese evangeliche – che è stata accompagnata dal dialogo con i loro leader e dalla partecipazione di Milei alle loro cerimonie religiose – rafforza il legame internazionale tra conservatorismo cristiano e autoritarismo di destra. La rivendicazione del possesso delle Falkland è un puro esercizio retorico, ma ripete la strategia della dittatura militare che, nel 1982, già nella sua fase finale, precipitò l’Argentina in un disastro militare nel tentativo di impadronirsi dell’arcipelago. Attualmente, secondo un sondaggio, il 99,8% della popolazione locale preferisce rimanere sotto il controllo britannico.
L’Argentina oggi ha ancora meno potere economico e militare che nel 1982… Riprendere la questione serve solo a ottenere consensi utilizzando il forte nazionalismo argentino. Da una prospettiva democratica tradizionale, il superamento di una crisi come quella argentina richiede la creazione di consensi e un’intensa costruzione politica. Ma Javier Milei sembra insistere sull’estremismo ideologico e sull’antipolitica. Ripete, non nel programma, ma nella pratica, i passi dei leader populisti a cui afferma di opporsi. Il futuro dirà se riuscirà a trionfare, andando contro gran parte delle previsioni.
L’approvazione che Milei continua a ricevere, nonostante la crisi sociale, da parte del 40% circa della popolazione, si spiega con due fattori. Il primo, già menzionato, è il discredito delle politiche precedenti, che induce la gente a fare sacrifici ora per ottenere un futuro migliore. Il secondo è la polarizzazione politica stessa. Nelle società molto polarizzate, come in contesti dove l’attaccamento ai partiti è tradizionale e viene da generazioni, l’adesione politica è fortemente affettiva e appassionata. I militanti preferiscono fare sacrifici piuttosto che riconoscere che i loro avversari avevano ragione. I populismi sono in gran parte sostenuti dall’appassionato sostegno delle loro basi sociali. Si tratta di un capitale politico che può garantire la sopravvivenza del governo Milei, indipendentemente dal fatto che riesca o meno nel suo intento.

Coordinatore del Centro Fede e Cultura della Pontificia Università Cattolica di San Paolo

Francisco Borba Ribeiro Neto