Mosca guarda a Est: scelta obbligata?

Un articolo di: Aldo Ferrari

Da sempre attratta dall'Oriente quanto dall'Europa, la Russia viene considerata una anomalia dall'Occidente. La conseguenza è il rafforzamento di un polo asiatico alternativo a quello euro-atlantico.

Si dice spesso che la Russia è un paese difficile da comprendere, magari citando la celebre frase di Winston Churchill secondo la quale questo paese sarebbe “un indovinello avvolto in un mistero all’interno di un enigma”. Ma la frase dello statista inglese è comprensibile solo se citata per intero, con la sua conclusione: “ma forse c’è una chiave. E questa chiave è l’interesse nazionale russo” (…. a riddle wrapped in a mystery inside an enigma; but perhaps there is a key. That key is Russian national interest). Ecco, il punto centrale della questione è proprio questo, vale a dire l’interesse nazionale della Russia, così come lo percepiscono le sue élite politiche almeno a partire dalla metà del Cinquecento. Fu allora, infatti, che sotto Ivan IV (il Terribile) la Russia divenne un impero sulla base di una ideologia che – dopo il crollo nel 1240 della Rus’ di Kiev, molto sviluppata culturalmente ed economicamente, ma frammentata politicamente – ritiene indispensabile per la sua stessa esistenza che il paese sia retto con fermezza da un’unica mano. Questa dimensione autocratica del potere, che prescinde dalla sua forma istituzionale (zar, segretario del partito comunista, presidente), ha caratterizzato la Russia sino ai nostri giorni, in controtendenza con l’Europa che negli ultimi secoli ha conosciuto invece una progressiva liberalizzazione del sistema politico.

La differenza di queste dinamiche politiche viene solitamente interpretata in Europa/Occidente come una anomalia della Russia. Il che vale però soltanto se a questo paese si guarda under western eyes, come una parte malriuscita dell’Europa, della quale non è mai divenuta parte integrante. Ma esiste anche un altro approccio, probabilmente più produttivo, che consiste nel riconoscere alla Russia una propria specificità politica e culturale, determinata in primo luogo dalla sua collocazione eurasiatica. Sin dal Medioevo la Russia ha infatti avuto con l’Asia legami molto più intensi e duraturi di quanto sia avvenuto ai paesi europei. Di particolare significato è in effetti la lunga sottomissione ai Mongoli, durata sino al 1480. Tornata indipendente sotto la guida di Mosca, la Russia ha conosciuto una straordinaria espansione geografica non solo verso ovest, “raccogliendo” le terre della Rus’ kieviana, ma anche verso est, occupando gran parte delle steppe eurasiatiche. Dal punto di vista storico l’impero russo ha in effetti fuso l’eredità bizantina con quella mongola, assorbendo nel corso della sua espansione una gran quantità di popoli e culture “orientali” in una modalità peraltro per molti aspetti differente da quella degli imperi coloniali europei.

Questa dimensione eurasiatica non è stata cancellata dalla forte europeizzazione culturale conosciuta dalla Russia soprattutto sotto Pietro il Grande. Le dinamiche politiche e socio-economiche del paese hanno continuato ad essere ampiamente distinte da quelle europee. Si pensi in particolare alla sopravvivenza della servitù della servitù della gleba sino al 1861 e dell’autocrazia sino al 1917. Anche la lunga, tragica e grandiosa parentesi comunista, pur basata su un’ideologia di origine europea, ha in effetti ulteriormente allontanato la Russia/URSS dal modello europeo/occidentale.

Il crollo dell’URSS e dell’ideologia comunista sembrò consentire un nuovo e sostanziale avvicinamento della Russia all’Occidente, ma questa prospettiva si è rivelata effimera. Dopo il disastroso decennio “occidentale” conosciuto sotto le presidenze di El’cin, la Russia ha ripreso in effetti a seguire un percorso politico autonomo. Un ruolo fondamentale in questa direzione spetta a Evgenij Primakov, una figura politica di grande rilievo della Russia contemporanea, che alla fine degli anni 90 dello scorso secolo sostenne la necessità di un nuovo ordine internazionale basato non sull’egemonia unipolare degli Stati Uniti, ma su un equilibrio multipolare.

Questa visione multipolare, divenuta centrale nella politica estera della Russia di Vladimir Putin, si fonda in primo luogo sulla creazione di uno stretto rapporto di collaborazione con la Cina. Il primo prodotto importante di questa collaborazione è stato la nascita nel 2001 della Shangai Cooperation Organisation (SCO), che inizialmente comprendeva Russia, Cina, Kazakhstan, Tagikistan e Uzbekistan, poi raggiunti nel 2017 da Pakistan e India e nel 2023 dall’Iran.

L’orientamento di Mosca verso l’Asia si è rafforzato in seguito alle “rivoluzioni colorate” in Georgia e Ucraina (2003-2004) e all’espansione verso est della NATO (2004), i cui effetti negativi erano stati lucidamente previsti già nel 1998 da George Kennan, l’artefice della politica di contenimento dell’URSS durante la Guerra Fredda. Anche la nascita nel 2008 del Partenariato Orientale dell’Unione Europea, un’iniziativa polacco-svedese rivolta alle repubbliche post-sovietiche dell’Europa Orientale e del Caucaso meridionale, venne percepita da Mosca come un nuovo tentativo di avvicinare alla NATO altri paesi dello spazio post-sovietico dopo quelli baltici. In opposizione a questi processi espansivi dell’Occidente la Russia ha rafforzato la sua svolta verso est, in primo luogo con la creazione nel 2014 dell’Unione Economica Eurasiatica (di cui fanno parte Russia, Bielorussia, Kazakhstan, Armenia e Kirghizistan) e con la nascita, a partire dal 2015, del progetto della Grande Eurasia, che prevede un ulteriore sviluppo del rapporto con la Cina e altri paesi asiatici. Una svolta dettata non solo dai sempre più gravi contrasti con l’Occidente, ma anche dalla convinzione che quest’ultimo abbia ormai perduto la sua centralità e che per la Russia sia quindi più vantaggioso costruire un rapporto privilegiato con i paesi dell’Asia la cui crescita sta radicalmente cambiando lo scenario internazionale.

Tuttavia, nel nuovo ordine multipolare che si sta delineando Mosca si trova in effetti rispetto a Pechino in una posizione complessa, molto funzionale dal punto di vista economico e politico, ma al tempo stesso estremamente rischiosa alla luce del crescente divario tra i due paesi. L’affermazione come potenza dominante della Cina – così vicina geograficamente e tanto più forte nella sfera economica e demografica – costituirebbe una prospettiva non certo positiva per la Russia. Anche senza condividere la pregiudiziale ostilità di molti osservatori occidentali rispetto ai progetti di integrazione eurasiatica c’è da chiedersi quanto questa situazione corrisponda agli interessi di Mosca. Ma altrettanto legittima è la domanda se sia così conveniente per l’Occidente persistere nell’atteggiamento miope ed arrogante che negli ultimi tre decenni ha avuto nei confronti della Russia. Un atteggiamento che ha contribuito non poco alla svolta verso est di questo paese ed al suo avvicinamento alla Cina, che dell’Occidente e in particolare degli Stati Uniti è il maggior competitore.

Storico della Russia e del Caucaso all'Università Ca' Foscari di Venezia

Aldo Ferrari