Pakistan, la svolta

Dopo decenni i militari sembrano perdere il controllo del paese. Il partito dell'ex primo ministro Khan, da tempo in prigione, ha vinto a sorpresa le elezioni politiche. Per la potenza nucleare asiatica, quinto paese più popoloso del mondo, si profilano nuove sfide

Gli osservatori internazionali sono unanimi, in Pakistan le forze armate sono il vero perdente delle ultime elezioni dell’8 febbraio. La lista dell’ex campione di cricket ed ex primo ministro Imran Khan, defenestrato dai militari e ora in carcere, ha ottenuto il maggior numero di seggi ma nessun partito ha ottenuto la maggioranza assoluta. Così la Lega musulmana del Pakistan (PML-N) di Nawaz Sharif ha raggiunto un accordo con il Partito popolare pachistano (PPP), guidato da Bilal Zardari figlio di Benazir Bhutto assassinata nel 2007, per formare un governo di coalizione. Un accordo tra due clan, i Bhutto e Sharif, che si contendono da decenni la scena politica.

Ma nessuno crede che questa sia una soluzione stabile mentre le forze armate hanno perso sempre più credibilità soprattutto presso le nuove generazioni in un Paese di 240 milioni dove la maggioranza ha meno di 30 anni.

A quasi 77 anni dalla spartizione dell’India britannica il Pakistan è la prova bruciante che le nazioni non nascono con un tratto di penna sulla carta ma si costruiscono nel tempo. Un monito della storia all’idea che divisioni e unioni forzate siano una via di uscita ai problemi della geopolitica. Le sue frontiere sono instabili e porose, il Kashmir fu subito amputato e venne annesso invece il lontano Bengala, che si separò sanguinosamente nel ’71, le spinte secessioniste nelle aree tribali costituiscono un leit motiv inarrestabile, la popolazione è frammentata in lingue ed etnie diverse: l’elemento unificante è l’Islam che qui ha preso una deriva radicale e destabilizzante.

Non c’è da meravigliarsi che nella “terra dei puri” l’istituzione centrale siano state le Forze armate e al loro interno l’Isi, l’intelligence militare, una sorta di stato nello stato, che ha la sua sede in edificio anonimo e fortificato nel cuore di Islamabad.

All’ingresso non c’è neppure una targa ma tutti sanno che questa è la casa del grande fratello. Fu qui che negli anni ‘80 venne forgiata dal generale Zia ul Haq l’alleanza tra militari e islamici per condurre la Jihad in Afghanistan contro i sovietici, finanziata da americani e sauditi. All’Isi fu poi assegnato il compito di sostenere i Talebani, con il fervente appoggio di Nasirullah Babar, allora ministro degli Interni di Benazir Bhutto.

È qui che fu investito del potere Pervez Musharraf che ha guidato il Pakistan dal colpo di stato del 1999 al 2008, in esilio negli Emirati dal 2016 e morto nel febbraio scorso, condannato in contumacia come mandante dell’omicidio della rivale Benazir Bhutto e con una condanna a morte per aver sospeso la costituzione. La sua storia è piena di lezioni per le élite civili e militari del paese.
Perché in Pakistan potremmo essere a una svolta, per altro densa di incognite? Qui l’esercito ha spesso giocato un ruolo cruciale nel determinare l’esito delle elezioni. Le costanti interferenze dei militari nella politica del paese spiegano i timori sulla correttezza del processo democratico, ma non solo questo.

La potente classe dirigente militare ha esercitato un’enorme influenza nella storia del Pakistan. Lungo la Grand Trunk Road, che porta alla confluenza tra le acque chiare dell’Indo e quelle melmose del Kabul, si incontrano caserme di lucidi mattoni rossi, torrette, fortilizi, bocche da fuoco, altane e ovunque muri sormontati dal filo spinato: è questo il mondo in grigio-verde, ereditato di britannici, che ha dominato il Pakistan per decenni.

I militari hanno assunto il controllo diretto del potere tramite colpi di stato guidati dai generali Ayub Khan (1958-1969), Yahya Khan (1969-1971), Zia-ul-Haq (1978-1988) e Pervez Musharraf (1999-2008).

Ma anche quando non governa in modo diretto, l’esercito ha un peso rilevante sul panorama politico, determinando l’ascesa di alcuni partiti. Nel novembre 2022 l’ex capo di stato maggiore, il generale Qamar Javed Bajwa, ha riconosciuto apertamente il ruolo cruciale avuto dai militari nell’arrivo al governo di Imran Khan poi caduto in disgrazia dopo l’estromissione dell’ex premier Nawaz Sharif.
Le forza armate sostengono spesso personaggi manovrabili che si guardano bene dallo sfidare gli interessi dei militari che controllano anche gran parte dell’economia del Paese.

Il tentativo di Nawaz Sharif di muoversi in modo indipendente dalla linea dell’esercito gli è costato il mandato. I militari si opposero ai tentativi di Sharif di migliorare i rapporti con l’India, perché la tensione latente con New Delhi gli consente di mantenere il controllo sul paese in un duello tra due potenze nucleari. Sharif accettò di presenziare all’insediamento di Narendra Modi, che restituì poi il favore nel 2015 con una breve visita a Lahore. Questo disgelo però ebbe vita breve. Nel 2017 Sharif, dopo aver governato per tre mandati, fu estromesso dal suo incarico con l’accusa di corruzione.

Alle elezioni del 2018 l’esercito ha quindi appoggiato Imran Khan e il suo partito, il Pakistan tehreek-e-insaf (PTI). Questo sostegno si è dimostrato cruciale per la vittoria di Khan: insieme all’Inter-services intelligence agency (ISI, i servizi di sicurezza) ha plasmato con cura l’immagine pubblica di Khan, dipingendolo come un individuo onesto e senza macchia, al contrario degli avversari, descritti come politici corrotti. Questo sforzo ha infuso nei pachistani la speranza di un cambiamento.

Ma dopo l’arrivo al governo, Khan ha cominciato a scontrarsi con le forze armate, in parte a causa di una divergenza di opinioni sulla scelta del capo dell’ISI. Le tensioni sono via via aumentate fino all’estromissione di Khan con un voto di sfiducia del parlamento, nell’aprile 2022. Dopo la sua cacciata, Khan ha criticato apertamente l’esercito, che ha reagito, per poi arrestarlo lo scorso agosto con accuse di corruzione che lui nega con fermezza.

Islamabad si trova in gravi difficoltà dal punto di vista della sicurezza e da quello economico. Non basta l’alleanza con la Cina, maggiore partner commerciale, e l’annuncio del nuovo gasdotto con l’Iran, nonostante Teheran e Islamabad si siano accusate di recente a vicenda per gli scontri in Baluchistan. L’inflazione è salita al 30 per cento, aggravando le difficoltà che già pesano sull’economia come i frequenti blackout e il calo delle esportazioni, delle rimesse e degli investimenti esteri diretti.

Il Pakistan è il quinto paese più popoloso del mondo e una potenza nucleare. È fondamentale che raggiunga una stabilità politica, ma questo non potrà avvenire finché le forze armate non si limiteranno al loro ruolo costituzionale astenendosi da interferenze politiche ingiustificate.

 

Senior correspondant

Alberto Negri