Polonia e Ucraina, fratelli-coltelli

Un articolo di: Massimo Nava

Alleati contro la Russia, i due paesi si ritrovano in contrasto su altri temi. Varsavia rivendica l'interesse nazionale di fronte all'invasione di prodotti e manodopera a basso costo dall'Ucraina. E con il braccio di ferro doganale si riaprono antiche ferite

Se il calcio unisce…l’estate del 2012 simboleggiò il solido gemellaggio Polonia/Ucraina per i campionati europei. Mai così vicini i due popoli. E ci fu un tempo in cui anche i confini erano confusi dalla Storia. Leopoli era una città a metà polacca e la Galizia era cattolica. La guerra in Ucraina ha intensificato i rapporti. La Polonia è diventata la trincea della solidarietà, del sostegno militare e politico al governo di Kiev, l’avamposto sempre più armato della Nato. E milioni di ucraini – profughi in maggioranza, ma anche benestanti e non pochi disertori – si sono trasferiti in Polonia. Quattrocentomila nella sola Varsavia. E meglio sarebbe dire che vi hanno messo radici: perché molti hanno trovato un lavoro, persino stabile, nelle campagne e nell’industria, hanno aperto commerci, trovato e comprato appartamenti, offerto servizi.

Ma il protrarsi indefinito della guerra ha rotto la luna di miele, fatto nascere contrasti di natura sociale ed economica, riaperto antiche ferite. E a questo punto dovremmo chiedere aiuto alla psicoanalisi di massa per spiegare, ancor meglio dell’analisi politica, questo rapido cambiamento di prospettive. Perché, in fin dei conti, ciò che unisce polacchi e ucraini è soprattutto il comune nemico, la comune minaccia, il retaggio di una storia di sangue: in una parola, la Russia. In molti ambienti della società polacca si avverte la consapevolezza che gli ucraini si stiano battendo anche per Varsavia: una sorta di resistenza all’ipotesi che i russi sarebbero potuti arrivare al Baltico. Per il resto, risulta però difficile parlare ancora di amore, benché le relazioni fra i due Stati rimangano stabili e l’impegno militare, da parte di Varsavia, non sia venuto meno.

I primi contrasti sono nati per una logica competitività sociale ed economica. Ci sono state le proteste degli agricoltori e il blocco delle dogane per le importazioni di grano e prodotti della terra ucraina. Ed è cresciuto il malcontento per i servizi (posti nelle scuole e negli asili, assistenza sociale etc) concessi troppo generosamente agli ucraini. Talvolta, ai giovani ucraini fuggiaschi viene rimproverato di bighellonare nei caffè anziché stare al fronte. Molti sono i metodi per entrare illegalmente in Polonia. E come spesso avviene, l’estremismo ha soffiato sul fuoco. I nazionalisti polacchi di estrema destra hanno spesso rievocato i massacri subiti dai polacchi in Volina e Galizia orientale, durante la seconda guerra mondiale, ad opera dei nazionalisti ucraini dell’UPA. L’UPA era una milizia che inizialmente si era alleata alle truppe naziste, per poi cambiare fronte e lottare per l’indipendenza dello Stato.

Il presidente ucraino Zelensky e il polacco Duda hanno speso belle parole di riconciliazione e nel 2023 si sono abbracciati durante una toccante cerimonia nella cattedrale dedicata a Pietro e Paolo a Lus’k. Ma il governo ucraino non riconosce la completa responsabilità dell’eccidio. D’altra parte, l’insurrezione ucraina era sostenuta da ambizioni territoriali, che – ieri come oggi – continuano ad alimentare i conflitti.

Lus’k (in polacco Łuck), situata sull’ansa del fiume Styr, è sempre stata contesa tra polacchi, ucraini e russi, e luogo di terribili massacri che si sommarono alle deportazioni degli ebrei ad opera dei nazisti. Ovviamente, il sostegno militare e politico della Polonia ha medicato la dolorosa memoria, ma la controversia resta in parte ancora aperta. Insieme siamo più forti, ripetono i leader non sempre ascoltati dal popolo, soprattutto dalle generazioni più anziane.

La Polonia ha minacciato di bloccare la futura adesione dell’Ucraina all’Unione europea finché Kiev non si assumerà la responsabilità delle uccisioni e non consentirà l’esumazione di migliaia di vittime. “L’Ucraina non entrerà a far parte della Ue a meno che la questione non venga risolta, non vengano effettuate le riesumazioni e organizzata una commemorazione adeguata”, ha detto il ministro della Difesa polacco Wladyslaw Kosiniak- Kamysz. Ma Stepan Bandera, capo dei nazionalisti ucraini dell’epoca, è ancora venerato come un eroe da gruppi volontari e paramilitari ucraini. La Polonia afferma che circa 100 mila polacchi furono uccisi in quei due anni. Migliaia di ucraini morirono anche come vittime delle rappresaglie polacche.

Il primo ministro polacco Donald Tusk è stato categorico: “L’Ucraina dovrà essere all’altezza delle aspettative polacche e non diventerà membro dell’Unione europea senza il nostro consenso. L’Ucraina deve rispettare gli standard, e sono molteplici. Non è solo una questione di parametri commerciali, di confine, legali ed economici. È anche una questione di standard culturali e politici”. Kiev si è comunque detta disponibile ad affrontare la questione dell’esumazione delle vittime. Il National institute of national memory del Paese ha affermato che, in risposta alle “richieste dei cittadini polacchi”, l’identificazione delle vittime dovrà essere completa. Comunque sia, il collegamento politico fra memoria storica e allargamento della famiglia europea all’Ucraina è un crinale delicato e pericoloso, anche perché in ultima analisi il dissenso fra Varsavia e Kiev farebbe piacere a Vladimir Putin.

Editorialista del Corriere della Sera

Massimo Nava