Pressing su Belgrado

I Balcani, insanguinati negli anni Novanta, sono ancora l'obiettivo dell'espansione occidentale. Ue e Nato si dividono il lavoro utilizzando di nuovo la leva del Kosovo per conquistare la Serbia. Che prova a resistere

La Serbia, al centro dei Balcani, rappresenta la chiave di volta della stabilizzazione di tutta la regione, è condizione imprescindibile per la normalizzazione dei rapporti etnici ed internazionali ed esercita una funzione determinante per lo sviluppo economico e per la pacificazione politica di quell’area geografica. La civiltà serba, nata nel periodo dell’incipiente impero bizantino, crebbe dal VII secolo dopo Cristo nell’area della Raša e del Kosovo e Metohija e si estese nel corso dei secoli seguenti per effetto della dinastia reale dei Nemanjić fino a raggiungere il proprio massimo splendore alla metà del XIV secolo, all’epoca dello Zar Stefano Dusciano. Durante quei secoli lo sviluppo di una profonda fede cristiana da parte dei monarchi e del popolo serbo si manifestò con la costruzione di una straordinaria serie di monasteri, che divennero il rifugio e la protezione di documenti e di opere d’arte di inestimabile valore e che ancora oggi rappresentano un patrimonio culturale per l’umanità intera. I monasteri di Gračanica, Visoki Dečani, il Patriarcato di Peć, Bogorodica Ljeviška, così come le opere a Koriša, Hvosno, Prizren, Banjska, Zvečan, Ubožac, Ajnovac e in centinaia di altri siti archeologico-religiosi sono la testimonianza diretta e tangibile di quei secoli di crescita della nazione serba e della sua forte identità culturale e religiosa.

L’emergente potenza dell’Impero Ottomano nella seconda metà del XIV secolo mise in pericolo la sopravvivenza della civiltà serba: la cruciale battaglia di Kosovo Polje (28 giugno 1389) rappresentò un momento di svolta nella storia del popolo, che accettò di combattere sotto la guida del proprio Zar Lazar Hrebeljanović in condizioni di enorme inferiorità numerica di fronte all’esercito del Sultano Murad. Sconfitti e distrutti nel luogo santo che rappresentava il cuore geografico della loro civiltà i serbi si ritirarono a nord della regione balcanica, fino a scomparire progressivamente come stato, nel XV secolo, per oltre quattro secoli. Il risveglio nel XIX secolo, con una serie di insurrezioni introdotte da Giorgio Petrović (Karađorđe) il 15 febbraio 1804 e a cui fece seguito, trent’anni più tardi, la Costituzione Sretenje di Kragujevac del 15 febbraio 1835, permise ai serbi di avviare il processo di recupero della loro indipendenza, che venne riconosciuta nel 1878 e che avviò il ripristino della monarchia.

Una ulteriore sequenza di conflitti balcanici avrebbe portato la Serbia ad espandersi verso sud per recuperare la regione del Kosovo e Metohija, nel 1913. Travolta dalle operazioni militari durante la prima guerra mondiale, la Serbia uscì alla fine vittoriosa e approfittò del crollo dell’Impero Austro-Ungarico per costituire un nuovo regno insieme ai croati e agli sloveni (Regno dei Serbi, Croati e Sloveni, poi definito Regno di Jugoslavia dal 1929), posto sotto la corona serba dei Karađorđević. La seconda guerra mondiale travolse ancora la Jugoslavia, che uscì però nuovamente vittoriosa grazie alla resistenza comunista condotta da Josip Broz Tito. Dopo la morte di Tito nel 1980, la Jugoslavia si avviò verso un rovinoso processo di instabilità politica che avrebbe preceduto la dissoluzione statuale: i conflitti sorti dal 1991 al 1999 segnarono una ferita profonda nella memoria della Serbia, di cui la parte più dolorosa fu il bombardamento della Nato nel 1999 e la prospettiva di perdere la sovranità sulla provincia autonoma di Kosovo e Metohija.

Qualche giorno fa, il 17 febbraio 2024, è ricorso il 16° anniversario della proclamazione unilaterale di indipendenza del Kosovo da parte dei rappresentanti della locale comunità kosovaro-albanese. Dal 2008 ad oggi tale atto ha rappresentato una fonte irrisolta di problemi e di instabilità per la regione balcanica e per la Serbia. Il territorio del Kosovo, divenuto terra di conquista neocoloniale da parte degli Stati Uniti d’America dopo il bombardamento della Nato nel 1999, è a tutti gli effetti un non-Stato. Riconosciuta come stato indipendente soltanto da una minoranza di paesi del mondo (solo 84 paesi su 193 facenti parte dell’Organizzazione delle Nazioni Unite ne hanno riconosciuto l’indipendenza), l’autoproclamata Repubblica del Kosovo non ha la legittimità di uno stato sovrano e non possiede, quindi, una giurisdizione amministrativa sul territorio di Kosovo e Metohija. Ma negli ultimi 16 anni la comunità occidentale ha cercato di considerare il Kosovo come stato sovrano, ha influenzato altri paesi affinchè seguissero la medesima linea ed ha esercitato pressioni di vasta scala su Belgrado, affinchè rinunciasse alla propria sovranità su Kosovo e Metohija per favorirne l’indipendenza.

Ma Belgrado non rinuncerà mai alla propria sovranità su Kosovo e Metohija, quantunque ciò possa allontanare la data di adesione della Serbia all’Unione Europea. In un comunicato diramato il 17 febbraio 2024 dal Vice Primo Ministro e Ministro degli Affari Esteri del governo serbo Ivica Dacic, si specifica che la data del 17 febbraio è quella in cui “l’ordine legale internazionale è stato distrutto” e rammentando “la pulizia etnica di cui da secoli è vittima il popolo serbo, il cui stato venne creato in Kosovo e Metohija”, conclude affermando che la Serbia “non riconoscerà mai l’unilaterale dichiarazione di indipendenza del cosiddetto Kosovo”.

Nel corso degli ultimi due anni gli elementi di tensione fra serbi e kosovaro-albanesi sono aumentati considerevolmente e ciò è dovuto principalmente al fatto che i rappresentanti dell’autoproclamata Repubblica del Kosovo hanno cercato con insistenza e violenza normativa di imporre la legittimità della loro amministrazione su tutto il territorio del Kosovo e Metohija. Rappresentando uno stato non universalmente riconosciuto la classe politica dell’autoproclamata Repubblica del Kosovo non dovrebbe poter avere alcuna legittimità amministrativa sul territorio, tantomeno sul territorio popolato in prevalenza dai serbi (le enclavi serbe e la parte settentrionale del Kosovo).

E invece gli atti di forza si sono manifestati, suscitando enormi tensioni e scontri. L’8 dicembre 2022, nell’enclave serba di Velika Hoča, vicino a Orahevac, la polizia dell’autoproclamata Repubblica del Kosovo ha sequestrato 42.000 litri di vino della Vinica Petrović, asserendo che la vendita di tale vino, nei periodi precedenti, aveva avuto luogo senza un’autorizzazione. Quale autorizzazione doveva chiedere un’azienda serba che non riconosce l’amministrazione di Pristina e che aveva diritto a non riconoscerla fino a quando quest’ultima non fossa stata universalmente riconosciuta? Un secondo atto di forza amministrativa ha avuto luogo nel 2023, quando i rappresentanti dell’autoproclamata Repubblica del Kosovo hanno cercato di indire nuove elezioni municipali nei comuni del nord del Kosovo e Metohija (Kosovska Mitrovica, Leposavić, Zubin Potol e Zvečan), il 23 aprile. La stragrande maggioranza degli aventi diritto al voto erano cittadini serbi, i quali, non riconoscendo la legittimità dell’amministrazione dell’autoproclamata Repubblica del Kosovo, coerentemente non sono andati a votare. I pochissimi elettori kosovaro-albanesi (il 3,47% degli aventi diritto al voto) hanno eletto quattro candidati kosovaro-albanesi. Quando, nel maggio 2023, le forze di polizia dell’autoproclamata Repubblica del Kosovo, affiancate dalle forze armate internazionali della KFOR, hanno cercato di insediare i quattro eletti si sono verificati seri scontri con la popolazione locale, la quale riteneva i propri diritti violati da un atto di prevaricazione ingiustificato ed illegittimo.

Anche in tal caso i rappresentanti dell’autoproclamata Repubblica del Kosovo hanno cercato di condurre un’azione in profondità per imporre la loro giurisdizione su tutto il territorio di Kosovo e Metohija. Un’ulteriore azione di forza si è verificata più recentemente, all’inizio di febbraio 2024, quando i rappresentanti dell’autoproclamata Repubblica del Kosovo hanno comunicato che la moneta serba, il Dinaro, sarebbe stato abolito sul territorio di Kosovo e Metohija, anche nel nord della provincia, che è popolata praticamente solo da cittadini serbi. Questa misura ha avuto non soltanto conseguenze di natura finanziaria (4 banche e 15 istituzioni finanziarie nel nord del Kosovo operano con il Dinaro serbo), ma anche morali e culturali: si vuole trascurare, ad esempio, il valore morale e culturale che la moneta tradizionale di un popolo rappresenta per i suoi cittadini? Taluni la considerano una bandiera, così come le targhe automobilistiche serbe, che, dall’autunno del 2022, furono da Pristina vietate anche nella zona settentrionale della regione, creando enormi tensioni in seno alla popolazione locale.

Quali elementi possono essere tratti da questi ultimi eventi e come possono essere interpretati? Vista la particolare situazione internazionale, in primo luogo, i rappresentanti dell’autoproclamata Repubblica del Kosovo stanno cercando di accelerare i tempi di una da loro auspicata normalizzazione politica e amministrativa, vista la tendenza generale. Il numero di paesi che hanno riconosciuto l’indipendenza del Kosovo, infatti, è in diminuzione: alcuni paesi che avevano riconosciuto tale proclamazione unilaterale di indipendenza hanno fatto marcia indietro. Il conflitto in Ucraina, così come quello in Medio Oriente, inoltre, potrebbero diventare fonte di ispirazione per Belgrado, per condurre un’operazione militare in Kosovo e Metohija, al fine di riprendere il controllo del territorio.

A lato della questione balcanica, in secondo luogo, emergono le condotte dell’Unione Europea e degli Stati Uniti d’America. L’Unione Europea sembra assolutamente incapace di guidare un processo di pacificazione a livello regionale: la mancanza di credibilità dell’Unione Europea risiede nel fatto che non è stata in grado di fungere da interlocutore neutrale ed imparziale. Impacciata nei modi e negli argomenti l’Unione Europea, malgrado cinque suoi membri non abbiano riconosciuto l’indipendenza del Kosovo (Spagna, Romania, Slovacchia, Grecia e Cipro), si è sempre comportata come un interlocutore di parte, che attende soltanto una possibile soluzione: il riconoscimento dell’indipendenza dell’autoproclamata Repubblica del Kosovo da parte di Belgrado. Attraverso il Processo di Berlino per i Balcani Occidentali o attraverso i negoziati per l’adesione all’Unione Europea o attraverso le promesse di aiuti finanziari, le autorità dell’Unione Europea hanno costantemente esercitato pressioni su Belgrado, cercando – in modo obiettivamente molto scorretto – di mettere la Serbia davanti ad un fatto compiuto. Il sostegno dell’opinione pubblica serba all’adesione di Belgrado all’Unione Europea, difatti, è diminuito nel corso degli ultimi mesi (soltanto poco più del 40% dei cittadini serbi sostiene oggi l’adesione di Belgrado all’Unione Europea).

Le recenti elezioni legislative, provinciali e municipali in Serbia, del 17 dicembre 2023, hanno confermato un sostanziale consenso del popolo al partito del Presidente della Repubblica, ma da più parti in Europa si sono sollevate voci di ostilità nei confronti di Belgrado, in relazione a presunte irregolarità o brogli: tali voci sembrano avere un’origine pretestuosa, mirante più a delegittimare la classe dirigente serba che a fare luce reale sulla regolarità o meno delle elezioni. Gli Stati Uniti d’America, inoltre, sembrano giocare la partita in modo ambiguo, sostenitori e critici al tempo stesso di Pristina.

Essendo i primi sostenitori dell’autoproclamata Repubblica del Kosovo, avendo riconosciuto per primi l’indipendenza del Kosovo, il 17 febbraio 2008, avendovi installato la più grande base militare dei Balcani (Camp Bondsteel, vicino a Uroševac), gli Stati Uniti d’America hanno agito sempre a favore dei rappresentanti dalla parte kosovaro-albanese, a detrimento della parte serba. Non è un caso che molti osservatori considerino che l’autoproclamata Repubblica del Kosovo sia, in realtà, un protettorato degli Stati Uniti d’America nel cuore dei Balcani, malgrado Washington, durante il XX secolo, sia sempre stata a favore del processo di decolonizzazione. È  evidente che ogni passo, ogni azione, ogni iniziativa presa da parte dei rappresentanti di Pristina, sia sempre stata concordata preventivamente con Washington, con cautela, soppesando ogni possibile ricaduta ed ogni possibile vantaggio per la causa dell’indipendenza. E’ altamente improbabile, quindi, che tutte le più recenti iniziative prese dai rappresentanti dell’autoproclamata Repubblica del Kosovo siano il frutto di una decisione unilaterale kosovara, anzi, si ha ragione di ritenere che esse siano il risultato di un preliminare suggerimento da parte di Washington.

A maggior ragione, quindi, si resta sbalorditi quando si assiste a quanto avviene oggi a livello ufficiale, quando la classe politica statunitense cerca tiepidamente di prendere le distanze da quanto Pristina decide di fare: sembra verosimile ritenere, infatti, che Washington sia propensa a concordare con Pristina, per salvaguardare la propria rispettabilità di fronte alla comunità internazionale, di fare un doppio gioco, suggerendo in sede riservata alla parte kosovaro-albanese come procedere politicamente, pur dissociandosi poi pubblicamente dall’operato di Pristina. Tale condotta non sarebbe molto dissimile da quanto avviene oggi, probabilmente, fra Stati Uniti e Israele in relazione alla crisi mediorientale.

La stabilizzazione della regione balcanica, in conclusione, è possibile soltanto coinvolgendo in modo rispettoso ed equo tutte le parti in gioco e non può essere ottenuta in modo duraturo ed efficace senza il contributo di un’azione obiettiva e trasparente da parte della comunità internazionale, nel nome di quella “diplomazia aperta” e leale di cui proprio il Presidente degli Stati Uniti d’America Woodrow Wilson fu ispiratore nel gennaio del 1918, poco più di cent’anni or sono.

Docente di Storia dell’Integrazione Europea Università degli Studi di Udine (Italia)

Stefano Pilotto