Errori tattici e strategici hanno portato al fallimento della controffensiva di Kiev. Sottovaluta la capacità dell'apparato militare russo, la leadership ucraina deve fare i conti con la minore disponibilità a sostenerla da parte USA
La Guerra in Ucraina sta per entrare nel terzo anno con una rinnovata situazione di equilibrio. Un equilibrio frutto di più fattori. Cominciamo col dire che la controffensiva ucraina dello scorso anno, lanciata tra tante attese ai primi di giugno, ha finito con lo spegnersi stancamente in autunno senza raggiungere gli obiettivi prefissati. Tokmak e il Mar d’Azov sono rimasti lontani, mentre l’avvolgimento di Bakhmut è fallito nonostante la dipartita, in tutti i sensi…, della Wagner. Le forze di Kiev hanno commesso un grave errore strategico: hanno attaccato dove i Russi erano più forti e organizzati e dove la loro difesa era più solida e profonda, e lo hanno fatto, peggio, con un supporto aereo limitato.
Probabilmente pensavano che i Russi mollassero e “sbracassero”. Insomma, sbagliando, pensavano che il fattore morale potesse rappresentare la variabile capace di rompere l’equilibrio. Non è stato così. Le forze di Mosca hanno tenuto botta e si sono dimostrate “resilienti”, appoggiandosi a una ridondate e tradizionale difesa statica, ma contando pure su fattori che, per esempio durante la controffensiva di Karkiv della primavera-autunno 2022, non avevano: molti più uomini, bombe d’aereo guidate, tanti droni.
Nel frattempo, proprio nel bel mezzo della controffensiva di Kiev, ha iniziato a ridursi il supporto occidentale a causa dell’impasse al Congresso americano tra Democratici e Repubblicani, ma anche per via dei limiti di un sistema logistico-industriale, come quello occidentale, strutturato per operare in condizioni di assenza di conflitti su larga scala e per produrre a richiesta, senza preoccuparsi di scorte e magazzino. Il ramp-up è inoltre complicato perché mancano personale e produzioni di base. “Banalmente”: polveri, chimica per propellenti e via dicendo. E pure l’obiettivo dell’UE di fornire all’Ucraina un milione di proietti di artiglieria entro marzo non verrà raggiunto.
Il risultato è che le forniture si sono ridotte e l’artiglieria russa è tornata a sparare giornalmente più del doppio di quella Ucraina, grazie anche all’accordo politico-strategico formalizzato tra Mosca e Pyongyang lo scorso autunno; accordo che ha rimpinguato l’arsenale russo di oltre un milione di proiettili di artiglieria e di decine di missili balistici tattici (che le forze russe hanno già iniziato a “recapitare” contro obbiettivi in Ucraina).
Prendiamo poi il caso dei missili balistici a corto raggio americani ATACMS, invocati per mesi dagli Ucraini e alla fine consegnati, ma solo in una ventina di esemplari. Oppure il caso dei missili da crociera a lungo raggio Storm Shadow che, impiegati con successo dagli ucraini nella cosiddetta campagna di Crimea, sono stati forniti solo a singhiozzo. Pure in questo caso le scorte erano relative: la linea di produzione dello Storm Shadow è chiusa da anni e riaprirla solo per Kiev non era, e non è, per usare un’espressione tecnica, costo-efficace.
Insomma, nel momento decisivo l’Occidente è un po’ mancato e adesso tutto è legato allo sblocco dei fondi USA e alle trattative tra Democratici e Repubblicani, condizionate dal clima elettorale e dalla debolezza delle candidature: Trump braccato dalla giustizia, Biden braccato dal peso degli anni e del fisico. E qui si incunea il fendente della strategia ibrida russa: tirare avanti la guerra e far sì che in America, e di conseguenza in Europa, maturino certe condizioni e contraddizioni, e il legame con Kiev si allenti piano, piano.
Mosca si è riadattata di conseguenza: la mobilitazione parziale ha avuto effetto e gli organici vengono continuamente rimpolpati grazie all’afflusso di nuovi volontari a contratto. Il più ampio bacino di mobilitazione pesa, è evidente. Kiev, invece, fa molta fatica a portare le risorse necessarie sotto le armi e, come dimostra il nuovo disegno di legge sulla mobilitazione, si è stati costretti ad abbassare decisamente i requisiti aprendo i ranghi in massa a donne, malati (tubercolotici, sieropositivi, malati cronici, ecc.), persone con disturbi mentali e così via.
Ma l’adattamento ha riguardato in misura rilevante pure il settore industriale e della produzione militare. Le sanzioni occidentali hanno avuto su questo terreno un impatto decisamente limitato. La Russia ha avuto la capacità di rimpiazzare la componentistica di fornitura occidentale con triangolazioni – via Turchia, EAU etc. – o con forniture provenienti da Cina e Corea del Nord, mentre alcune lavorazioni sono state impiantate in casa. La disponibilità di materie prime ha fatto il resto. Più in generale c’è un ramp-up della produzione per via del regime di guerra e degli investimenti pubblici: fabbriche che lavorano H24, 7/7 e su tre turni e un bilancio della Difesa che quest’anno sfonderà abbondantemente quota 100 miliardi di dollari. Questo ha permesso di industrializzare alcune capacità che, due anni fa, erano ancora allo stato di sviluppo e prototipale (una per tutti: il missile aero-balistico Kinzal), di produrre su larga scala droni, i kit di guida satellitare per le bombe d’aereo, e di alimentare con buona continuità l’arsenale di missili balistici e da crociera. Insomma, oggi la Russia ha una serie di strumenti per fronteggiare una guerra convenzionale su larga scala che prima non aveva (e che non aveva mai avuto dall’epoca sovietica). E questo lo si sta vedendo con la campagna d’inverno scatenata nelle ultime settimane a colpi di missili e droni contro l’apparato industriale e logistico ucraino..
Sul campo, nel frattempo, la situazione è di sostanziale stallo: l’inverno, che a queste latitudini tradizionalmente rallenta le operazioni, e la relativa superiorità della difesa, grazie all’uso di artiglieria, campi minati, fortificazioni e droni, producono un grande equilibrio. Gli Ucraini continuano a difendere Avdivka e il settore di Svatove, mentre le forze di Mosca mantengono l’iniziativa sull’asse Bakhmut-Chasiv Yar e a sud di Marinka.
La Guerra in Ucraina si conferma così un pozzo senza fine di uomini e mezzi: un pozzo che prima o poi andrà chiuso.