Robert F. Kennedy jr, figlio di Bob Kennedy e nipote del presidente assassinato a Dallas 60 anni fa, ha deciso di candidarsi come indipendente. Proveniente dal campo democratico ma apprezzato dai repubblicani è un outsider in crescita di consensi
Kennedy. Il cognome evoca storia, fama, e obiettivi politici nobili. JFK rimane un mito, una figura di speranza ma anche di tragedia, che nonostante i suoi scarsi tre anni alla Casa Bianca viene identificato con un periodo di svolta nella storia americana. Robert F. Kennedy volle portare avanti il testimone, ma incontrò la stessa sorte del fratello, contribuendo alla sensazione diffusa della perdita di un’occasione di grande cambiamento. Il più giovane della generazione, Ted, non è entrato nel pantheon allo stesso modo dei suoi fratelli, ma è stato senatore per decenni, considerato un’icona liberal che ha contribuito a plasmare a lungo il dibattito nazionale, nonostante i suoi scandali personali.
Ora c’è un nuovo Kennedy a scuotere la vita pubblica americana: Robert F. Kennedy Jr. Proviene dalla stessa famiglia che ha rappresentato la bussola della politica democratica per anni, ma ha svolto la sua carriera lontano da Washington, perseguendo battaglie a favore di cause viste come marginali e anche controverse, senza mai conquistare la fiducia dell’establishment.
Oggi RFK Jr. è un jolly che rischia di scombussolare la campagna presidenziale del 2024, l’indipendente più rilevante degli ultimi decenni, il cui impatto potrebbe non solo modificare il dibattito pubblico ma anche l’esito del voto. In ogni elezione ci sono candidati di partiti minori, come i verdi e i libertari, che portano avanti delle campagne di protesta, a volte sottraendo punti percentuali importanti ai candidati mainstream.
Ma ogni tanto c’è chi riesce ad andare oltre, come Ross Perot nel 1992, che aveva intercettato l’ansia popolare in merito alla delocalizzazione del lavoro. Kennedy, invece, evoca una tradizione riverita della politica americana, e tocca una corda profonda nella popolazione scettica sull’operato delle istituzioni pubbliche. Il suo cognome – nonostante i dubbi circa alcune sue posizioni – dà più peso alle sue critiche.
RFK Jr. è partito come candidato per la nomina democratica. I primi risultati erano incoraggianti per lui, in quanto aveva superato il 20% nei sondaggi contro il presidente Joe Biden. Ben presto, però, è diventato evidente che l’appeal di Kennedy andava oltre la base del partito, e semmai era ancora più forte tra gli elettori conservatori. L’obiettivo del candidato era di costringere Biden a un confronto sulla missione degli Stati Uniti, invocando la fine di quello che Kennedy considera un approccio militarizzato ai problemi internazionali.
Ha affermato, per esempio, che la Russia agisce in buona fede e che è colpa degli Stati Uniti se non si pone fine alla guerra in Ucraina. E che l’aggressività americana, militare e anche economica, sta portando a una contrapposizione con altri paesi, come i BRICS.
Ma il presidente e la dirigenza del partito democratico non avevano alcuna intenzione di accettare un dibattito di questo tipo, temendo danni e divisioni interne che potrebbero tradursi in voti persi alle elezioni dell’anno prossimo. In più, alcuni politici e media di destra hanno fatto il possibile per dare visibilità a RFK Jr., sperando di sfruttare il suo successo per mettere in imbarazzo Biden.
Il muro trovato da Kennedy tra i democratici lo ha spinto a lasciare le primarie del partito e ad annunciare la sua candidatura come indipendente. È probabile anche che l’accusa di far male a Biden abbia svolto un ruolo nella sua decisione: in questo modo rimane in gara fino alla fine, ma non sottrae voti solo al presidente in carica. Infatti Kennedy è visto in modo molto favorevole dagli elettori repubblicani. Di conseguenza, i sondaggi – almeno per ora – indicano che RFK Jr. toglierebbe più voti a Trump che a Biden. In più, RFK jr riesce a coinvolgere cittadini che non avevano mai sostenuto alcun candidato, democratico o repubblicano, negli ultimi anni.
Il fatto di attirare nuovi partecipanti alle elezioni va a toccare un tema fondamentale in politica: come si parla ai delusi, a quelli che votano senza convinzione, e soprattutto a quelli che non votano da tempo. L’affluenza è aumentata negli Stati Uniti negli ultimi anni, toccando la punta del 66% nelle presidenziali del 2020. Ma tutti i sondaggi ci dicono che questa volta l’entusiasmo è in forte calo: circa due terzi degli americani preferirebbero altri candidati. Una situazione in cui generare passione tra gli elettori sarà centrale, e molto difficile.
In questo contesto non deve sorprendere che un outsider riesca a farsi ascoltare da molti cittadini, anche se i media mainstream lo considerano ‘tossico’. Ci sono certamente posizioni di RFK jr che sollevano dubbi, come il profondo scetticismo nei confronti dei vaccini e la tendenza a chiamare in causa il nazismo quando critica il potere economico, oppure lo stato dei diritti civili negli Stati Uniti.
Tuttavia, ci sono alcuni campi dove RFK Jr. può fare breccia nell’attuale dibattito politico. Si cominci con il primo punto sul suo sito web: “porre fine alle guerre infinite”. Nei suoi discorsi Kennedy riferisce che da presidente suo zio – JFK – aveva deciso di spezzare il potere del complesso militare industriale e “frantumare in mille pezzi” la Cia, dopo essersi convinto che l’intelligence aveva soprattutto la funzione di perseguire “un costante flusso di guerra”.
RFK Jr. estende la critica del sistema anche ai temi sociali ed economici: denuncia le minacce alla libertà di espressione, e afferma che esiste un connubio corrotto tra le grandi corporations e le istituzioni di governo. Non ha nemmeno paura delle accuse di complottismo, spiegando che non servono piani segreti quando “ci sono ortodossie che diventano istituzionalizzate, che hanno la propria gravità e che attraggono le persone”.
In una società dove la fiducia nelle istituzioni politiche è a livelli storicamente bassi – una tendenza diffusa nel mondo occidentale – non è difficile capire perché una fetta significativa della popolazione possa interessarsi a simili messaggi. Con le guerre che sono tornate a dominare le notizie, con i conflitti in Ucraina e in Medio Oriente, l’appello di RFK Jr. a creare un “nuovo movimento per la pace”, a respingere la violenza all’estero e in casa, può dirci qualcosa di importante sugli atteggiamenti dei cittadini americani in questo frangente.
Viviamo infatti un periodo di riallineamento, in cui la critica “populista” cresce sia a destra che a sinistra, comprimendo il centro politico. Ci sono elementi evidenti di questo processo, anche se non disegnano necessariamente un quadro coerente. Donald Trump che promette di fermare la guerra in Ucraina, in linea con il successo nell’evitare nuovi conflitti durante il suo mandato alla Casa Bianca. Ma anche la crescente critica, nella società e pure all’interno delle istituzioni pubbliche, al sostegno dell’amministrazione Biden al governo di Israele.
Su questi temi esistono differenze e contraddizioni dentro e tra gli schieramenti politici. Le forze centriste possono anche consolarsi dicendo che si tratta pur sempre di una minoranza, tra l’altro divisa e facile da stigmatizzare criticando l’apparente sostegno fornito a soggetti come Vladimir Putin o Hamas. Ma la candidatura di una figura indipendente, forte della visibilità e della credibilità del proprio cognome, potrebbe significare – ancora una volta – che l’establishment deve fare i conti con l’opinione pubblica anche in merito ad argomenti scomodi e difficili.
Mentre per i media sarà facile criticarlo per posizioni estreme o complottistiche, la realtà è che il messaggio anti-sistema di RFK Jr. avrà un impatto importante sulle presidenziali del 2024, perché dà voce ad alcuni dubbi importanti che spesso rimangono sotto la superficie della politica americana.