Dopo il primo faccia a faccia in tv con Trump il presidente uscente si è dimostrato inadeguato per guidare gli Stati Uniti per altri quattro anni. Democratici nel panico e di fronte a un doppio dilemma: come sostituire in corsa Biden? E con chi?
A detta di tutti, il primo dibattito presidenziale è stato un disastro per Joe Biden. La cerchia del presidente aveva scommesso che, anticipando il faccia a faccia televisivo alla fine di giugno, Biden sarebbe stato in grado di cambiare la tendenza della corsa, nella quale – nonostante l’impopolarità di Donald Trump tra gli indipendenti e i numerosi processi penali che lo assillano – il presidente uscente era ancora dato in svantaggio dai sondaggi. La scommessa è stata persa, perché Biden è apparso ancora peggio del solito, con una voce rauca e flebile e risposte che a volte, soprattutto nei primi 15 minuti cruciali del dibattito, sono apparse del tutto incoerenti.
La reazione è stata immediata e, cosa significativa, è arrivata soprattutto da parte dei democratici. Mentre il dibattito era ancora in corso, i commentatori hanno raccontato che gli specialisti democratici inviavano messaggi di panico sulla performance di Biden. Nei giorni successivi, le voci che chiedevano al presidente di farsi da parte sono state numerose, comprese quelle dei forti sostenitori delle sue politiche nei principali giornali nazionali, come Thomas Friedman, Paul Krugman e David Ignatius. Per coloro che avevano suggerito il ritiro, già nei mesi scorsi, il dibattito è stato una conferma. Per chi aveva sperato che Biden potesse riaccendersi, come aveva fatto nel suo discorso sullo Stato dell’Unione di marzo, è stata una delusione che ha provocato una dolorosa presa di coscienza.
Ora occorre considerare l’impensabile: costringere il presidente a farsi da parte per il bene del Paese. Joe Biden e i suoi consiglieri più stretti hanno reagito subito. La moglie Jill ha detto che era andato molto bene. Il commento secondo cui il Presidente avrebbe “risposto a tutte le domande” ha dato l’impressione che stesse parlando a un bambino, o che cercasse di proteggere dalla realtà un uomo confuso. Il giorno successivo il Presidente ha tenuto un comizio in cui ha ritrovato la sua voce – ma questa volta leggeva e non era a tarda sera – e ha lamentato la difficoltà di dibattere con qualcuno che mente così tanto. Potrebbe essere troppo poco e troppo tardi. Queste prime due settimane dopo il dibattito saranno cruciali, con l’arrivo dei nuovi sondaggi. Un calo per Biden renderà evidente che superare la debacle negli studi CNN di Atlanta sarà un’impresa ardua, e quindi la possibilità che Trump torni alla Casa Bianca è molto concreta. Se questa sarà la situazione, a metà luglio, la risposta dell’establishment entrerà nel vivo, preparando una resa dei conti con il campo di Biden prima della Convention democratica di agosto a Chicago.
Gli effetti di un ritiro dalla corsa a questo punto sono sconosciuti. Biden e il suo team continueranno a sostenere le stesse argomentazioni di prima, cercando di minimizzare il passo falso nel dibattito. Come nelle primarie, un cambio di candidato significa aprire il partito a lotte interne, scatenando il tipo di divisioni che Biden è riuscito a limitare durante il suo mandato. Infatti, il Presidente ha reso un importante servizio al partito e al Paese negli ultimi anni, adottando il giusto mix per compiere progressi reali su alcune delle questioni più importanti di per gli Stati Uniti. Ha abbracciato la svolta economica rispetto alla globalizzazione e ha sviluppato una nuova forma di politica industriale, innescando un cambiamento che non si vedeva da decenni in Occidente. Allo stesso tempo, cerca di mantenere il dialogo con gli elettori della classe operaia e di evitare di essere bollato come estremista sulle questioni culturali. Questa combinazione è esattamente ciò di cui i democratici avevano bisogno per rispondere alle istanze derivanti dall’ondata populista iniziata con il sostegno da destra a Donald Trump e da sinistra a Bernie Sanders nel 2016.
Nonostante questi successi, è chiaro che Biden non è riuscito a unificare il Paese. È impopolare e deve affrontare le difficoltà causate dall’inflazione, dall’aumento dell’immigrazione durante il suo mandato e da due guerre in cui non è in grado, o non vuole, intraprendere azioni decisive per porre fine ai combattimenti. Invece di convincere gli alleati americani ad adottare il tipo di realismo in politica estera che egli stesso aveva abbracciato all’inizio del suo mandato, Biden vive nella contraddizione di inviare a Israele le armi mentre invoca la pace, e di fornire un sostegno crescente all’Ucraina pur volendo evitare il confronto diretto tra grandi potenze.
Ci sono inoltre importanti fattori politici da considerare nell’eventualità di un ritiro di Biden. Il vicepresidente Kamala Harris è impopolare quanto lui e a disposizione ci sarebbero meno di tre mesi per presentare al Paese un nuovo candidato. La linea standard è che “cambiare cavallo a metà del guado” è una cattiva idea e potrebbe danneggiare il partito. Il rovescio della medaglia è che un candidato più giovane potrebbe dare energia alla corsa e offrire il necessario distanziamento da quelli che la gente percepisce come i fallimenti del governo attuale. I nomi nuovi non mancano, soprattutto tra i governatori democratici di stati importanti. In cima alla lista c’è Gretchen Whitmer del Michigan, seguita da Josh Shapiro della Pennsylvania. Gavin Newsom della California si è messo in mostra negli ultimi mesi, ma scegliere qualcuno di uno stato così di sinistra potrebbe rivelarsi un rischio. Ci sono anche senatori e ministri. Mentre Michelle Obama appare un’ipotesi remota, poiché non ha un’esperienza politica diretta e gli elettori potrebbero essere contrari a dare vita a un’altra dinastia.
A livello più ampio e strategico, le considerazioni sono chiare. Le istituzioni permanenti del governo statunitense – “lo Stato profondo”, come lo chiamano Trump e i suoi amici – non hanno intenzione di permettere il ritorno di qualcuno che non ha alcun rispetto per loro. Due anni fa, un consulente del Pentagono mi disse che se Trump si fosse anche solo avvicinato di nuovo alla Casa Bianca, ci sarebbe stata una forte reazione da parte del settore della sicurezza nazionale per impedire la sua elezione. Ora ci troviamo in quella situazione, rendendo più probabile una spinta istituzionale per un cambio del candidato democratico nelle prossime settimane.
L’altra possibilità è che i membri dell’establishment si rassegnino ad una seconda amministrazione Trump, accettando un nuovo periodo di sconvolgimento sulle questioni economiche e sociali, ma lavorando per garantire che egli possa apportare pochi cambiamenti fondamentali sulle questioni strategiche. L’ultima volta ha funzionato, in quanto il presidente è stato bloccato, ad esempio, nell’attuazione di una nuova politica sulla Russia, e ha contribuito a una correzione politica ampiamente condivisa nei confronti della Cina.
In effetti, c’è stato un significativo livello di continuità nella direzione generale del Paese, tra Trump e Biden, due presidenti che hanno guidato la svolta “post-globale” inaugurando una nuova politica industriale per affrontare l’attuale fase di competizione geopolitica.
Sul piano interno, tuttavia, i rischi sono significativi. Trump non ha mostrato alcun rispetto per le istituzioni del Paese e ha chiarito che intende espandere in modo significativo il potere presidenziale. Questa volta ha anche il sostegno di gran parte dell’establishment repubblicano. La Heritage Foundation, in passato forte sostenitrice del libero mercato, ha elaborato il “Progetto 2025” per la prossima amministrazione Trump. Il piano definisce una strategia per utilizzare il governo per spingere in modo aggressivo le posizioni conservatrici in stile MAGA (Make America Great Again) e per indebolire la capacità di resistenza istituzionale al cambiamento imposto dall’alto. In sostanza, la percezione a Washington è che Trump rappresenti una seria minaccia alla stabilità democratica degli Stati Uniti, come dimostrato dalle sue azioni per contestare le elezioni presidenziali del 2020. Questo potrebbe essere un fattore chiave che incoraggia l’establishment a spingere Joe Biden ad abbandonare la corsa per il 2024 e a provare un nuovo candidato più giovane, contro il quale Trump si troverebbe ad affrontare una sfida molto più dura.