Valori e disvalori: la crisi della Sinistra in Europa

Un articolo di: Pablo Iglesias

L’affermazione elettorale dei partiti conservatori e di estrema destra rivela la sconfitta culturale dei progressisti. L’egemonia che ha caratterizzato il Novecento lascia il posto alla subalternità.

L’affermazione elettorale dei partiti conservatori e di estrema destra rivela la sconfitta culturale dei progressisti. L’egemonia che ha caratterizzato il Novecento lascia il posto alla subalternità. Tutti gli esponenti della sinistra, soprattutto in Europa, sono figli dell’impatto geopolitico e ideologico della Rivoluzione d’Ottobre. Da quel catalizzatore che definì ciò che Eric Hobsbawm chiamò il Secolo Breve, emersero i partiti comunisti, spesso come scissioni dei partiti socialisti. Da quel momento in poi ebbe inizio un mondo geopolitico in cui l’URSS e il movimento comunista configurarono una ‘roba spaventosa’ che diede forma ai vari fascismi. I fascismi non furono un’eccezione sul piano storico, bensì alternative perfettamente percorribili e organizzate a una modernità anti-illuministica. Di fatto, furono anche una condizione per le politiche dei fronti popolari e della resistenza che avrebbero alimentato l’antifascismo sociale presente nel costituzionalismo europeo del dopoguerra. Essere di sinistra in Europa occidentale significava, fondamentalmente, essere comunista o socialdemocratico. Quest’ultima corrente, proprio in conseguenza dell’esistenza dell’URSS e del blocco dell’Est, conobbe i suoi maggiori successi politici in Europa. Al punto che alcuni dei più importanti partiti comunisti dell’Europa occidentale tentarono, a loro modo, di essere socialdemocratici e pragmatici in termini geopolitici. Attraverso quello strano manufatto, l’eurocomunismo, emerso in Italia dalle macerie lasciate dall’aviazione cilena nel Palazzo della Moneda, dove perse la vita l’ultimo socialdemocratico che aspirava a costruire il socialismo: Salvador Allende.

Oggi i dibattiti di quel mondo in cui Berlinguer si sentiva al sicuro sotto l’ombrello della NATO, Carrillo viaggiava negli Stati Uniti o Jean Paul Sartre modificava il Partito comunista francese con la questione algerina (scrivendo il prologo de “I dannati della terra” a Frantz Fanon, una delle figure ispiratrici nella lotta contro il colonialismo), ci lasciano molto indietro.

Quando la sinistra post-comunista non si è ripresa dall’esperienza di Tsipras in Grecia, incapace di piegare anche solo un po’ il braccio ai poteri dell’Unione Europea, e ha finito per portare il partito in una strana direzione, mettendo il timone di Syriza nelle mani di un uomo d’affari liberale favorevole alla maternità surrogata, alla guerra in Ucraina e alla decisione di Israele (con il sostegno degli Stati Uniti) di porre fine alla questione palestinese attraverso la pulizia etnica… la sinistra europea si ritrova a un punto di non ritorno.

La sinistra post-comunista è già extraparlamentare in Italia e potrebbe presto esserlo in Germania, dove la scissione di Sahra Wagenknecht potrebbe mettere il suo ex partito Die Linke fuori dalle istituzioni. Wagenknecht rappresenta uno strano progetto nazionalista tedesco, che combina la difesa di un’intesa con la Russia con un discorso anti-immigrazione, il rifiuto del femminismo e la difesa dei diritti LGBTI considerati “semplici questioni culturali”, che allontanano la classe operaia dai problemi reali.

In Spagna, il tentativo di Sumar di sostituire Podemos come spazio a sinistra del PSOE significa una deriva verso il modello dei Verdi tedeschi, inteso non come impegno a denunciare la crisi climatica, ma come il modo più innocuo possibile di contendere lo spazio alla socialdemocrazia all’interno dei suoi parametri. I Verdi non hanno problemi con il neoliberismo, né con la NATO, né con le principali linee della politica estera europea, compresa la politica sull’immigrazione. E molte volte si collocano, di fatto, a destra della stessa socialdemocrazia.

In Francia, non sembra che la forza elettorale di Mélenchon, che ha saputo organizzare tutte le sinistre sotto la sua egemonia, possa essere facilmente ereditata dal suo partito. E la situazione degli altri partiti nella famiglia della sinistra post-comunista in Europa non è eccellente. Se abbracciassimo il pessimismo potremmo dire che lo spazio per una sinistra con queste caratteristiche si sta esaurendo in Europa. E questo ha molto a che fare con le trasformazioni di un mondo che ha poco a che vedere con le basi ideologiche e politiche del Secolo Breve, le quali hanno reso possibile la sinistra così come la conosciamo. Ciò potrebbe portarci a concludere che in Europa ci sarebbe spazio solo per un tipo di progressismo come quello rappresentato da Pedro Sánchez, dal PD italiano o dai socialdemocratici tedeschi.

Nonostante la maggiore salute elettorale di queste realtà, è tuttavia evidente che il processo di ‘destrizzazione’ che il continente sta vivendo, e che si accompagna alle dinamiche di guerra nel cuore dell’Europa e in Medio Oriente, lascia la socialdemocrazia europea in un’estrema debolezza. Tanto più che anche alcuni settori dell’estrema destra arrivano a reclamare la difesa dei diritti dei lavoratori (nazionali) e di alcuni istituti di welfare storico europeo.

Quanto abbiamo detto finora non presenta molti elementi nuovi e, con qualche sfumatura, potrebbe essere condiviso da molte delle menti che in questi anni riflettono sui problemi e sulle prospettive della sinistra europea. Permettetemi però una riflessione che mi sembra più originale per la sua rarità. A mio avviso, il problema fondamentale delle diverse tradizioni della sinistra europea non ha tanto a che fare con le condizioni geopolitiche ambientali, ma con il loro languire come forze ideologiche. La mancanza di vigore sotto questo aspetto contrasta con l’enorme salute della destra come progetto culturale.

Leggendo in questi giorni la monumentale opera di Enzo Traverso sulla trattazione marxista della questione ebraica, sono rimasto colpito dall’ironia pungente con cui l’autore ha sottolineato l’enorme arroganza dei marxisti, che vedevano nel nazionalismo sionista un vecchio prodotto ottocentesco, da superare con una specie di cosmopolitismo e di universalismo socialista che sarebbero andati di pari passo con lo sviluppo globale del capitalismo.

Buona parte dei problemi della sinistra in Europa poggiano su quella stupida fiducia della sinistra secondo la quale lo stesso sviluppo delle forze produttive dimostrerebbe la ragione del marxismo, così da lasciare indietro il nazionalismo e le deviazioni dai principi illuministi. E’ semplicemente una menzogna che la storia sia governata da leggi che portano inevitabilmente al miglioramento delle condizioni di vita dell’umanità. Al contrario, come insegnava il maestro Tronti, è solo la politica – come azione tesa a rettificare la storia stessa –  che può allontanarci dall’orrore. L’Olocausto non fu una deviazione storica, ma uno dei suoi probabili risultati, come possiamo vedere oggi che il collasso climatico e la Terza Guerra Mondiale appaiono come opzioni perfettamente realizzabili e possibili per l’umanità.

In questo contesto, per lottare politicamente contro una realtà che ha poco da invidiare in termini di orrori al mondo della Prima Guerra Mondiale, la sinistra deve partire dal presupposto che il terreno principale del combattimento politico è l’ideologia. Come stiamo vedendo, la chiave di ciò che sta accadendo a Gaza non è tanto l’orribile bilancio delle vittime causato dai bombardamenti israeliani, quanto piuttosto la sua interpretazione. Finché prevarrà la narrativa secondo cui il diritto di difesa di Israele dovrebbe consentirgli di uccidere i bambini palestinesi necessari per distruggere Hamas, la sinistra avrà poco da fare. E a questo punto sono ridicoli gli approcci dei settori socialdemocratici che dicono, in sostanza, che Israele ha il diritto di difendersi ma che dovrebbe bombardare un po’ meno Gaza.

Al contrario, la sinistra dovrebbe spiegare senza complessi che l’occupazione, l’apartheid e il colonialismo sono i crimini all’origine del conflitto e che difendere la democrazia significa difendere la causa palestinese. Solo una sinistra che assume la cultura e l’ideologia come terreni mediatici fondamentali della lotta politica avrà una possibilità di sopravvivere nel mondo di oggi.

Fondatore di Podemos, Vice primo ministro, docente Università Complutense

Pablo Iglesias