Sulla sorte dei Palestinesi in fuga sono in atto grandi manovre economiche. Fmi, Banca Mondiale e Unione Europea vogliono convincere l'Egitto a diventare la casa di oltre un milione di sfollati. In cambio di molti miliardi.
La guerra sarà lunga, dicono i generali israeliani, perché non sono stati raggiunti “neppure la metà degli obiettivi”. Ma alla fine, tentano di rassicurare, arriverà una fase di “transizione e stabilizzazione” i cui obiettivi non sono ben chiari: tra questi ci potrebbe essere anche una pulizia etnica di Gaza su larga scala, oltre allo sbandierato “sradicamento” di Hamas. Un piano che l’ex capo del Mossad Efraim Halevy ha definito “mal consigliato” e che potrebbe ulteriormente radicalizzare Gaza e la Cisgiordania con scenari ancora peggiori degli attuali.
Mentre a Gaza Nord si prevede, nei documenti israeliani, una sorta di “fascia di sicurezza” senza entrate e uscite, lo “svuotamento” del Sud della Striscia – almeno dei militanti e delle loro famiglie – dipende dai negoziati dietro le quinte con l’Egitto. Il Cairo finora ha respinto ufficialmente e con forza l’insediamento in Sinai di una parte dei gazawi, visto tra l’altro che Hamas è un movimento legato alla Fratellanza Musulmana, nemico giurato del generale-presidente Al Sisi. Ma a Gaza Sud sono già affluiti 1,5 milioni di rifugiati interni alla Striscia e la situazione diventerà a breve ingovernabile. Al punto che, in realtà, Gaza non la vuole nessuno: l’Anp di Abu Mazen, che gli americani vorrebbero coinvolgere, è screditata persino in Cisgiordania; e i Paesi arabi esitano a mandare forze militari che potrebbero scontrarsi con i palestinesi.
Ma dopo le elezioni presidenziali egiziane di questa settimana qualche cosa potrebbe cambiare. All’Egitto sono già arrivati dalle istituzioni internazionali (Fmi, Banca Mondiale, Ue, Afriexibank) impegni per prestiti da 26 miliardi di dollari che potrebbero servire, nel tempo, come un incoraggiamento a ricollocare una parte dei palestinesi in Sinai. Strozzato da un debito estero di 165 miliardi di dollari, l’Egitto potrebbe prendere in considerazione anche l’offerta israeliana di abbonare 20 miliardi di indebitamento. Sulla stampa araba se ne parla, i governi occidentali e del Medio Oriente per ora stanno zitti perché quando verrà il momento diranno che non lo sapevano.
In queste settimane l’Egitto – che fino alla guerra del 1967 governava la Striscia di Gaza – è stato inondato di aiuti finanziari (o per lo meno dalle promesse di aiuti). Il Fondo monetario ha annunciato un aumento immediato dei prestiti al Cairo da 3 a 5 miliardi di dollari. L’obiettivo ufficiale è quello sostenere la quotazione della lira egiziana, che sui mercati valutari è debole e inflazionata. Lo scopo immediato è sostenere un Paese oberato da un debito che richiede, soltanto per quest’anno, il pagamento di 29 miliardi di interessi. Ma la direttrice del Fondo, Kristalina Georgieva, ha anche specificato che questi soldi “sono destinati ad aiutare l’Egitto a fronteggiare gli effetti della guerra di Gaza”.
In Egitto e all’estero si ritiene che questi finanziamenti siano collegati alla guerra di Gaza e alla ricostruzione futura della Striscia. L’African Export-Import Bank sta per definire un prestito da 11 miliardi di dollari, destinato all’insediamento di una nuova zona commerciale speciale e al commercio interafricano. La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen due settimane fa ha incontrato il presidente al Sisi al Cairo, presentando uno studio di Bruxelles per erogare 9,8 miliardi di euro destinanti esplicitamente ad affrontare gli effetti della guerra. Il piano ha lo scopo “di aiutare l’Egitto a sostenere il fardello del debito e prevenire le migrazioni irregolari attraverso il Mediterraneo verso l’Europa”. Ovvero ci si prepara all’eventuale, e probabile, insediamento di centri di raccolta dei profughi.
Assai chiara la dichiarazione a Bloomberg di Gergili Ormusi, capo del settore marketing strategico di Societé Genérale, attiva da sempre in Egitto, secondo il quale il significato di questo afflusso di finanziamenti al Cairo “è giustificato dal ruolo del Paese nel sostenere il prossimo afflusso di profughi palestinesi in fuga dai bombardamenti da Gaza”.
E c’è anche dell’altro. I fondi dell’Unione europea sono motivati dal futuro ruolo dell’Egitto nella regione. All’ultimo G-20 il premier israeliano Netanyahu e il presidente indiano Modi hanno annunciato, insieme, il progetto di una nuova rotta marittima e terrestre per collegare l’India alla penisola arabica, fino ad arrivare ai porti israeliani sul Mediterraneo, per approdare infine sulle coste italiane. Una rotta alternativa alla Via della seta cinese e allo stesso canale di Suez. Dietro al fiume di sangue che scorre a Gaza ci sono anche i nuovi equilibri mondiali.