Zelenski, Kursk e il Donbass

L'attacco ucraino in territorio russo ha sorpreso anche gli alleati di Kiev. Mossa geniale per mettere in difficoltà Mosca o gesto disperato per tentare di rilanciare il negoziato? Sul fronte ucraino, intanto, l'avanzata russa accelera

Gli ultimi sviluppi del conflitto russo-ucraino sono caratterizzati da due differenti teatri operativi, dominati da diverse dinamiche politico-strategiche e belliche: i fronti dell’Ucraina sud-orientale estesi per oltre 900 chilometri tra le regioni di Kherson, Zaporizhia, Donetsk, Lugansk e Kharkov; e il fronte sviluppatosi dal 6 agosto su un’area di circa un migliaio di chilometri quadrati nella regione russa di Kursk, in seguito alla penetrazione offensiva ucraina.
Sui fronti ucraini i progressi delle forze russe hanno subito una forte accelerazione in agosto. A Kherson il fiume Dnepr separa i contendenti ma la superiorità aerea e d’artiglieria dei russi consente da tempo di colpire con precisione postazioni, comandi e centri logistici ucraini sulla riva destra del corso d’acqua.
Più a est, nella regione di Zaporizhia, la pressione russa resta blanda e sembra diretta a indebolire il nemico colpendone le retrovie più che a perseguire conquiste territoriali. Dalle regioni di Kherson, Zaporizhia e Donetsk i russi hanno trasferito alcuni reparti nella regione di Kursk, sotto attacco ucraino, ma la loro entità non è tale da cambiare i rapporti di forza che vedono i russi attaccare con ampio vantaggio numerico (e qualitativo) in termini di truppe addestrate, mezzi e potenza di fuoco. Inoltre l’apertura della nuova linea ferroviaria, che corre da Rostov a Mariupol costeggiando il Mare d’Azov, ha accorciato le linee logistiche che alimentano le forze russe accelerando i movimenti di uomini e mezzi.
I fronti di Donetsk, Lugansk e Kharkov registrano i più marcati progressi territoriali dei russi, il cui lento progredire è legato al fatto che gli ucraini hanno fortificato numerose aree urbane e rurali fin dal 2014, quando scoppiarono le ostilità nel Donbas. Dall’inizio di agosto sono caduti in mano russa una ventina di centri abitati, mettendo in crisi gli ultimi capisaldi ucraini – che fanno da perno alla difesa – puntando a tagliare le vie di rifornimento che li alimentano.
Negli ultimi giorni le truppe russe sono penetrate nei sobborghi di Chasov Yar, hanno raggiunto l’area urbana di Toretsk e sono giunti a pochi chilometri da Pokrovsk (da dove gli ucraini hanno iniziato a evacuare i civili) con un’accelerazione che si è accentuata dopo l’inizio dell’offensiva ucraina a Kursk. Aspetto che si conferma anche sui fronti di Lugansk e Kharkov. L’ulteriore avvicinamento di forze russe provenienti da est al caposaldo di Kupyansk va abbinato ai progressi conseguiti a nord, dopo che in maggio le truppe russe sono penetrate dal confine russo nella regione ucraina di Kharkov, assumendo il controllo di un’area che sta ampliandosi negli ultimi giorni, paradossalmente in coincidenza con un minore impiego delle forze aeree, dirottate in buon numero nella vicina regione di Kursk.
Sui fronti ucraini le forze di Kiev risentono di carenze generalizzate di truppe, armi e munizioni ma, secondo molti report dei blogger militari sia russi che ucraini, soffrono soprattutto la mancanza di truppe giovani e addestrate e di riserve con cui avvicendare i battaglioni da mesi in prima linea.
Il crollo del consenso popolare nei confronti della guerra e della dirigenza ucraina sembra trovare conferma negli almeno 800 mila ucraini che si nascondono per non farsi arruolare, secondo le stime che il presidente della commissione Affari economici del Parlamento ucraino, Dmytro Natalukha, ha riferito al Financial Times. Mentre i casi di diserzione perseguiti dalla magistratura dall’inizio della guerra sono 63mila, quasi la metà registratisi nei primi sette mesi del 2024. I numeri reali potrebbero però essere molto più alti e su Kiev giungono pressioni crescenti da alcuni alleati della NATO affinché il reclutamento venga esteso ai giovani che hanno compiuto 18 anni invece degli attuali 25.
Nei cieli le forze aeree ucraine hanno ormai perso un gran numero di aerei di tipo russo-sovietico in dotazione (Su-27, Su-25, Su-23 e Mig 29) ancora operativi. Mentre i tanto attesi F-16 forniti da alcuni governi europei, che li hanno radiati dopo 40 anni di servizio, volano in numero molto limitato sull’Ucraina meridionale, tenendosi per ora lontano dalla linea del fronte per non rientrare nel raggio d’azione della difesa aerea a medio raggio russa. Non è neppure certo che gli F-16 in servizio con i colori ucraini siano basati sul territorio nazionale: i russi sospettano che venga utilizzato un aeroporto in Moldova o quello di Fetesti, in Romania, dove vengono addestrati i piloti ucraini.
Kiev sembra avere difficoltà anche a trovare un numero di piloti sufficiente e sta rivolgendosi all’estero per reperire piloti di F-16 da arruolare nella Legione Internazionale, che ha già fornito a Kiev molte migliaia di volontari – che i russi chiamano “mercenari” – ma che sarebbe probabilmente più corretto definire combattenti internazionali messi in campo anche da diverse nazioni della NATO per combattere i russi indossando l’uniforme ucraina.
Dei circa 12mila militari ucraini che fonti militari russe ritenevano il 15 agosto fossero penetrati nella regione russa di Kursk un buon numero sarebbero stranieri, come dimostrerebbero anche alcuni video che mostrano militari in uniforme ucraina che in combattimento parlano tra loro in lingua inglese.
Del resto, come abbiamo anticipato in apertura, le operazioni sul fronte di Kursk hanno caratteristiche completamente diverse da quelle che si riscontrano sui fronti ucraini. L’attacco ordinato da Kiev, che sembra aver coinvolto tre brigate dell’esercito (due meccanizzate e una di fanteria leggera al completo, equipaggiate con i migliori mezzi occidentali e i combattenti meglio addestrasti disponibili) più una della Guardia Nazionale, ha colto di sorpresa le forze russe che presidiavano il confine con militari di leva (che Mosca non impiega nel conflitto in Ucraina) e guardie di frontiera, che in Russia dipendono dai servizi di sicurezza interna (FSB, ex KGB), che si sarebbero arresi in non meno di 300.
L’impatto dell’attacco ucraino è stato senza precedenti. I russi si erano già fatti cogliere di sorpresa nel settembre 2022 dall’attacco che permise agli ucraini di riconquistare i territori perduti nella regione di Kharkov. Anche in quell’occasione le colonne blindate ucraine penetrarono rapidamente in profondità nelle sguarnite linee difensive russe, e anche all’epoca le reazioni e le proteste a Mosca furono severe, costringendo il Cremlino ad annunciare la mobilitazione di 300 mila riservisti.
L’attacco del 6 agosto a Kursk appare però ancora più grave, anche in termini di immagine, perché il territorio nazionale russo non veniva invaso dalla fine della Seconda guerra mondiale: Mosca ha dovuto evacuare almeno 120 mila civili, lasciandone diverse migliaia sotto l’occupazione ucraina, e proclamare lo stato d’emergenza per “terrorismo” nelle regioni di confine di Kursk, Belgorod e Bryansk. Per coordinare gli sforzi di militari, guardie di frontiera, guardia nazionale (Rosvgardia) e autorità civili Vladimir Putin, in evidente imbarazzo, ha nominato un suo fedelissimo, l’ex generale e governatore di Tula Alexei Dyumin.
Molti analisti anche in Occidente hanno evidenziato che le forze ucraine messe in campo per l’attacco a Kursk sarebbero state meglio impiegate per rafforzare le traballanti difese nel Donbass e che le perdite subite a Kursk non saranno rimpiazzabili, con il rischio di una duplice disfatta ucraina. Valutazioni che hanno indotto alcuni osservatori a paragonare l’offensiva di Kursk a quella tedesca nelle Ardenne, nel dicembre 1944, cinque mesi prima della resa del Terzo Reich.
Da tempo circolavano notizie circa una forza di pronto impiego, addestrata ed equipaggiata dagli alleati della NATO e mantenuta in riserva per arginare falle in caso di tracollo di una parte del fronte o per condurre contrattacchi.
A quanto pare questa forza, composta forse da circa 25 mila combattenti, in parte stranieri, è stata impiegata per l’attacco a Kursk e per controllare le retrovie di questo fronte, che si trovano nella regione ucraina di Sumy, dalle cui aree adiacenti il confine i civili vengono evacuati su disposizione di Kiev. Che evidentemente teme un’offensiva russa sul lato occidentale del confine, dove fonti militari ucraine segnalano la presenza di “sabotatori” russi.
I primi dieci giorni sono stati caratterizzati da una guerra di movimento in cui gli ucraini puntavano più a seminare scompiglio e a spingersi più a est possibile che a consolidare conquiste territoriali: colonne blindate tese a raggiungere centri abitati e allargare l’area sotto il loro controllo fino a un massimo di 30 chilometri dal confine, aggirando le difese che i russi stavano costituendo con reparti richiamati dall’Ucraina, da Kaliningrad e da diverse regioni della Federazione che hanno permesso già intorno a Ferragosto di riconquistare alcuni centri abitati e di ridurre gli spazi di manovra verso est degli ucraini. Le truppe di Kiev sembrano poter controllare la cittadina di Sudzha, sede della stazione di pompaggio del gasdotto che invia ancor oggi in Europa, attraverso l’Ucraina circa 40 milioni di metri cubi di gas al giorno.
La distruzione annunciata da Mosca, e non smentita da Kiev, di sei lanciatori per missili da difesa aerea Patriot e BUK che offrivano un ombrello antiaereo agli attaccanti sembra aver permesso ai russi di impiegare ampiamente le forze aeree dotate di bombe guidate a lungo raggio. Armi che avrebbero causato una parte rilevante delle perdite ucraine subite nelle retrovie, mentre le imboscate contro diverse colonne hanno permesso di individuare e distruggere numerosi armamenti occidentali impiegati dagli ucraini sul suolo russo, tra cui carri armati britannici Challenger 2, obici M777 e veicoli da combattimento statunitensi Bradley e Stryker, tedeschi Marder e francesi VAB. Londra e Washington non hanno però autorizzato Kiev a impiegare sul suolo russo i missili a lungo raggio ATACMS e Storm Shadow.
Oltre che da fonti militari russe, le severe perdite subite dagli ucraini a Kursk sono state confermate anche da reporter britannici che hanno visto una lunga colonna di ambulanze raccogliere corpi e feriti al confine. Mentre scriviamo l’impressione è che l’attacco a Kursk non sia sostenibile nel tempo da Kiev – chiamata a parare il rischio di un imminente disastro militare in Donbas – e che persegua obiettivi più politici che militari. Se Kiev, oltre al prestigio per aver invaso il territorio russo, puntava a imporre ai russi di fermare l’offensiva nel Donbass l’obiettivo sembra essere fallito e saranno gli ucraini a trovarsi con una “coperta” militare sempre più corta.
Kiev sostiene che questa offensiva metterà in sicurezza la regione di confine di Sumy e costringerà Mosca a negoziare con minori pretese. Ma è più probabile che, al contrario, aumenti la pressione russa su tutta la frontiera e allontani ogni ipotesi di trattativa, compromettendo la bozza di negoziato che Donald Trump e Viktor Orban avevano elaborato e che il premier ungherese aveva presentato a Kiev, Mosca, Pechino e Ankara.
Uno sviluppo gradito all’attuale amministrazione statunitense impegnata, già nell’aprile 2022, a far saltare l’accordo tra russi e ucraini, mediato dalla Turchia. Il principio di base resta che la guerra deve continuare per logorare la Russia. Non è inoltre credibile che l’attacco a Kursk sia stato messo a punto senza il supporto diretto e d’intelligence degli anglo-americani, che appaiono direttamente coinvolti nell’operazione con quelle che potremmo chiamare “forze irregolari” o “sotto copertura”. Un aspetto che configura ampi rischi per i partner della NATO, per la gran parte trovatisi davanti al fatto compiuto di un’operazione non priva di pericoli. Basti ricordare che l’invasione del territorio nazionale è una delle condizioni per cui la dottrina nucleare russa prevede il possibile ricorso alle armi atomiche.
L’attacco a Kursk potrebbe rafforzare la narrazione del Cremlino che in questa guerra il nemico sono le potenze occidentali, di cui l’Ucraina è solo uno strumento sacrificabile: elemento che potrebbe portare molti altri volontari a unirsi agli oltre 600 mila russi arruolatisi a contratto per combattere in Ucraina. Da tempo, del resto, Kiev sta facendo di tutto per colpire la Russia in profondità e per internazionalizzare il conflitto: con il sorvolo di droni sulla Bielorussia e rivendicando il supporto offerto a milizie africane per colpire i contractor russi in Sudan e Mali. Forse nella speranza di coinvolgere direttamente i paesi della NATO nella guerra.

Analista storico-strategico

Gianandrea Gaiani