Zelensky e un negoziato sempre più urgente

Un articolo di: Gianandrea Gaiani

Fra poco più di un mese la guerra in Ucraina entrerà nel suo quarto anno. Le possibilità per Kiev di recuperare anche solo una parte dei territori rivendicati da Mosca appaiono prossime allo zero. L'avanzata delle truppe di Mosca lungo tutto il fronte del Donbass ha modificato la posizione del presidente ucraino

A ridosso dell’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca sembrano definirsi più chiaramente le posizioni dei diversi protagonisti del conflitto in Ucraina in vista di possibili aperture negoziali.
Il presidente eletto degli Stati Uniti ha dichiarato il 10 gennaio che sono in corso i preparativi per un incontro con il leader russo. “Il presidente Putin vuole che ci vediamo, lo ha detto anche pubblicamente e dobbiamo mettere fine a quella guerra”, precisando che l’eventuale allargamento dell’incontro al presidente cinese Xi Jinping verrà deciso in futuro.
Al di là della configurazione che assumeranno i colloqui, l’impressione è quindi che il conflitto ucraino verrà gestito e auspicabilmente risolto dalle due (o tre) grandi potenze. Uno schema certo gradito a Trump, che non ha mai nascosto di ritenere irrilevanti gli alleati europei e i loro interessi, ma anche a Putin, che ha sempre definito il governo di Kiev un fantoccio degli anglo-americani, accusando l’Europa di aver sacrificato la propria sovranità mettendola in mano a Washington.
Se davvero Trump intende risolvere con i negoziati anche la crisi con l’Iran e il braccio di ferro militare ed economico con la Cina nell’Indo-Pacifico, oltre a riprendere i colloqui interrotti dopo il suo primo mandato con il leader nordcoreano Kim Jong-un, avrà più che mai bisogno di poter contare su una solida intesa con Vladimir Putin.
Gli effetti collaterali del conflitto in Ucraina e le pressioni di USA e UE sulla comunità internazionale al fine di isolare la Russia hanno infatti trasformato le ottime relazioni di Mosca con Teheran e Pyongyang in alleanze politiche e militari a tutti gli effetti, rafforzando ulteriormente l’intesa tra Pechino e Mosca.
Per rovesciare le conseguenze della politica estera dell’amministrazione Biden, Trump dovrà affrontare resistenze ben più forti che in passato e controparti ben più compatte e strutturate, come conferma sul piano economico anche il rapido aumento delle nazioni aderenti ai BRICS.
Putin sembra esserne consapevole e ha reso noto di voler incontrare Trump senza precondizioni mentre il portavoce Dimitri Peskov ha dato un segnale incoraggiante affermando che con “Trump sarà nello Studio Ovale, ci aspettiamo progressi”.
Lo stesso Peskov ha però riferito il 13 gennaio che “al momento non ci sono prerequisiti per riprendere i negoziati con Kiev, poiché l’Ucraina lo ha rifiutato”. Se Putin quindi negozierà solo con Trump, non stupisce che dalla UE giungano reazioni ostili.
L’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza Kaja Kallas ha detto apertamente che la UE è “pronta a sostenere l’Ucraina se gli Stati Uniti cesseranno il loro impegno”, esprimendo scetticismo circa il possibile incontro tra i due presidenti, perché “ciò che la Russia capisce è solo la forza”.
In termini militari però, a causa della ormai cronica carenza di armi e munizioni cedibili a Kiev, l’Europa non è in grado di sostenere da sola il prolungamento dello sforzo bellico ucraino, già minato dalla carenza di armi, munizioni e truppe; soprattutto di truppe ben addestrate.
A questo si aggiungono le crescenti diserzioni e il crollo degli arruolamenti che avvengono per lo più attraverso la coercizione, mentre la gran parte degli ucraini si sottraggono al reclutamento nascondendosi o cercando di fuggire all’estero.
Anche il tentativo di arruolare ucraini residenti all’estero è fallito dopo che la “Legione Ucraina” che la Polonia si era offerta di addestrare ha raccolto l’adesione di appena 700 delle centinaia di migliaia di ucraini residenti o profughi nelle nazioni europee.
Il timore di Bruxelles e di molte cancellerie europee è che un’intesa russo-statunitense possa concedere a Mosca annessioni territoriali e la neutralità di Kiev, lasciando a un’Europa già prostrata economicamente e con un buon numero di governi in crisi o caduti, la pesante eredità del sostegno e della ricostruzione dell’Ucraina, oltre a una costosa, prolungata nuova guerra fredda con la Russia.
Anche in ambito NATO non mancano le preoccupazioni. Il segretario generale Mark Rutte ha rispolverato la retorica della possibile vittoria ucraina annunciato che “dobbiamo fare tutto il possibile per garantire che l’Ucraina abbia ciò di cui ha bisogno per prolungare la lotta e prevalere”.
Tema ripreso l’11 gennaio anche dal presidente uscente Joe Biden secondo il quale “Putin è in una situazione difficile in questo momento e penso che sia davvero importante che non abbia alcun margine di manovra. Se l’Ucraina continuerà a ricevere il sostegno dell’Occidente c’è una reale possibilità che possa prevalere”.
Una narrazione che si basa su tre principi. Il primo punta a evidenziare le difficoltà economiche e militari della Russia causate dalle crescenti sanzioni occidentali e dalle altissime perdite che Mosca subirebbe in battaglia. Secondo le fonti ucraine e NATO oltre 1.500 morti e feriti al giorno: 430.790 nel solo 2024, ha reso noto lo stato maggiore di Kiev.
Stime che appaiono scarsamente credibili, a giudicare dalle testimonianze rese da ufficiali ucraini ai media anglo-sassoni che evidenziano come la superiore potenza di fuoco russa in termini di bombardamenti aerei (Kiev dispone ormai di pochissimi velivoli) e di artiglieria permetta di devastare le postazioni ucraine prima di far avanzare le truppe.
Del resto non è mai successo che chi detiene una netta superiorità in volume di fuoco (valutata da alcuni osservatori tra 5:1 e 7:1 e da altri persino in 12:1 in alcuni settori del fronte) subisca anche le perdite maggiori.
Sempre difficile fare il punto sulle perdite subite dai due belligeranti, sia perché nessuna fonte neutrale può verificarle sia perché si tratta di numeri sensibili anche per la tenuta del fronte interno e quindi esposti alle rispettive propagande. Dall’inizio della guerra il ministero della Difesa russo sostiene di aver ucciso o ferito più un milione di militari ucraini (oltre 595 mila nel 2024).
Il secondo punto tende ad attribuire agli aiuti militari occidentali la capacità di condurre l’Ucraina alla vittoria dopo che l’età di reclutamento dei maschi ucraini verrà abbassata da 25 a 20 o forse 18 anni, provvedimento non ancora in vigore ma già approvato dalla Rada (il parlamento ucraino) dopo reiterate pressioni in tal senso da parte di diverse nazioni della NATO.
Il terzo punto è costituito dalla negazione che i russi stiano vincendo la guerra sul campo di battaglia, come dimostrerebbero l’offensiva ucraina nella regione russa di Kursk iniziata il 6 agosto scorso e le limitate porzioni di territorio ucraino conquistate da Mosca, pari a circa il 18% del territorio di Kiev (108mila kmq, inclusa la Crimea, su 603mila), con progressi dello 0,6 per cento negli ultimi due anni, secondo quanto dichiarato recentemente dal premier italiano Giorgia Meloni.
L’institute for the Study of the War (think tank statunitense di ispirazione neocon e sostenitore della causa di Kiev) ha ammesso che nel 2024 i russi hanno conquistato 4.168 kmq di territorio ucraino, oltre sette volte di più rispetto ai 584 kmq conquistati nel 2023.
Valutare i progressi militari conseguiti da Mosca in base all’estensione dei territori conquistati appare però fuorviante perché la regione di Donetsk, dove sono concentrati gli sforzi russi, è stata fortificata metro per metro dagli ucraini fin dal 2014. Ma anche perché l’obiettivo prioritario dei russi, a Kursk come nel Donbass, sembra essere soprattutto quello di demolire le capacità militari delle forze ucraine annientandone le sempre più limitate risorse e riserve in termini di truppe, armi e munizioni.
Una strategia che sembra funzionare, a giudicare dai continui progressi registrati dalle forze di Mosca fin dal fallimento, nel novembre 2023, della controffensiva ucraina. In sei mesi Kiev perse un’estensione territoriale superiore a quella che aveva riconquistato.
Nella regione di Donetsk le truppe russe hanno accelerato l’avanzata dopo la caduta di Avdiivka, un anno or sono: conquistata Ugledar, i russi hanno completato ormai l’occupazione di Toretsk, di una parte di Chasov Yar, e più recentemente hanno preso Kurakovo e Shevcenko, raggiungendo la periferia di Pokrovsk, roccaforte logistica da cui si diramano le linee di rifornimento delle forze ucraine nella regione.
Sconfitte cocenti per gli ucraini di cui non a caso in Occidente politica e media parlano pochissimo. Le truppe di Mosca sono ormai a pochi chilometri dai confini con la regione di Dnepropetrovsk che non fa parte delle quattro annesse alla Russia con i referendum del settembre 2022 (Donetsk, Lugansk, Zaporizhia e Kherson).
Nella regione di Kharkiv, i russi avanzano oltre il fiume Oskil e hanno raggiunto la periferia di Kupyansk mentre più a nord controllano due aree a ridosso del confine russo da cui potrebbero minacciare la città di Kharkiv.
Nel settore meridionale gli ucraini si attendono un’offensiva nella regione pianeggiante di Zaporizhia diretta a raggiungere l’omonima città capoluogo. E anche nel settore più statico del conflitto, quello di Kherson dove i contendenti sono separati dal fiume Dnepr, diverse fonti riferiscono della possibilità che i russi tentino di attraversare il grande corso d’acqua per riprendere il controllo della sponda destra da cui si ritirarono nel dicembre 2022.
Voci credibili oppure diffuse ad arte per imporre agli ucraini di presidiare tutti i fronti invece di concentrare più forze su quelli più esposti all’iniziativa russa.
Ucraini in ritirata anche nella regione russa di Kursk dove secondo l’ISW le forze di Kiev controllano ora meno di 500 kmq degli oltre 1.100 che avevano conquistato nell’agosto 2024.
Anche la nuova, limitata offensiva scatenata il 5 gennaio si è arenata dopo pochi giorni e i russi hanno ripreso a guadagnare terreno. In questo settore gli ucraini continuano a immettere brigate (che subiscono forti perdite) che avrebbero invece un più proficuo impiego nella difesa del precario fronte di Donetsk.
Per Kiev e i suoi alleati mantenere un piede in territorio russo ha sempre avuto un valore più politico che militare, come ha ben spiegato il segretario di stato statunitense Antony Blinken che il 6 gennaio ha affermato che la posizione dell’esercito ucraino nella regione russa di Kursk “è importante, perché è sicuramente un elemento da tenere in considerazione in eventuali negoziati che potrebbero svolgersi nel corso dell’anno”.
Per Kiev si tratta quindi di una carta da usare come moneta di scambio in un eventuale negoziato mentre Mosca ha tutto l’interesse ad affrontare sul suo territorio, da una posizione di vantaggio, brigate ucraine che non sono quindi disponibili per difendere le regioni di Donetsk, Kharkiv e Zaporizhia.
Al contrario di Kiev la Russia non sembra avere carenza di truppe: il presidente ucraino Volodymyr Zelensky aveva affermato il mese scorso che i russi schierano 800 mila militari nel conflitto, 100 mila in più di quelli annunciati da Putin all’inizio del 2024.
Il vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo, Dmitry Medvedev, ha affermato il 24 dicembre che 440.000 volontari “a contratto” si sono arruolati nel corso dell’anno mentre a inizio dicembre una fonte NATO a Bruxelles ha ammesso che i russi arruolano 30mila volontari ogni mese (360 mila all’anno), con una ferma annuale rinnovabile, ulteriormente favorita dal dicembre scorso con l’azzeramento dei debiti fino all’equivalente di 100mila euro per quanti si arruolano per prendere parte all’Operazione Militare Speciale..
Con queste prospettive, più delle conquiste territoriali russe, è il progressivo annientamento dei reparti e lo sfaldamento delle capacità di combattimento degli ucraini che potrebbe imprimere una svolta militare al conflitto. Un rischio che dovrebbe suggerire di aprire negoziati di pace prima che il tracollo militare di Kiev li renda superflui, trasformando una sconfitta in una disfatta.

Analista storico-strategico

Gianandrea Gaiani