La retorica di stagione non ha deluso. Puntuale è tornato a primeggiare nel racconto del conflitto russo-ucraino il ‘Generale Inverno’. Lo scenario di fango coperto dal ghiaccio si presta, le temperature largamente sotto lo zero che cristallizzano tutto, pure.
“Guerra di trincea, pochissimi spostamenti lungo la linea del fronte”. Una descrizione minimalista che si abbina alla definizione di ‘stallo’ che i generali ucraini hanno denunciato, provocando l’irritazione di Zelenski, quando l’autunno era ancora tiepido.
Messa così non resterebbe che aspettare la primavera, il disgelo, e – appena il fango si sarà asciugato – la ripresa delle iniziative militari. Che un anno fa avevano un solo profilo: controffensiva. Quella che Kiev aveva promesso puntando a riprendere tutti i territori sotto controllo russo: gran parte del Donbass e Crimea. Poi la controffensiva si è scontrata con l’arroccamento russo e i trimestri sono trascorsi senza che sia successo nulla, o quasi.
Su quel ‘quasi’ si sono impegnati i giornalisti americani. Prima andando a registrare da vicino, a Kiev, gli umori veri che ammantano il vertice politico, presidente Zelenski in testa. Poi andando a sondare convinzioni e preoccupazioni delle gerarchie militari. E infine andando sul campo di battaglia.
Il quadro della situazione che emerge dalle inchieste, tra gli altri, di Time e New York Times è eloquente e a suo modo sorprendente. Bucando la spessa cortina della propaganda ucraina la stampa americana ha rivelato che Zelenski ha perso buona parte del suo carisma; che i suoi generali fanno fatica a seguirlo e a loro volta vengono criticati dal presidente; che la corruzione continua a consumare risorse destinate ai soldati; che la controffensiva non solo ha mancato gli obiettivi ma si è trasformata in strategia difensiva.
Lo ‘stallo’, che era una dimensione del conflitto inammissibile fino a qualche settimana fa, viene adesso accettato quasi con sollievo. Perché in realtà la situazione lungo il fronte è dinamica, con l’iniziativa che lentamente, mese dopo mese, è passata ai russi.
A ottobre l’ISW, l’Istituto americano per lo Studio della Guerra, aveva già registrato che dall’inizio dell’anno, anziché avanzare, le truppe di Kiev avevano perso qualche centinaio di chilometri quadrati di territorio. Mappe interattive, pubblicate da diverse testate, mostravano quello che lo stesso ISW escludeva qualche tempo prima. Adesso è la volta dell’intelligence britannica, che quotidianamente ha profuso dati oggettivi e wishful thinking, a constatare la lenta avanzata delle truppe di Mosca.
Gli stessi analisti che prevedevano il perforamento su più fronti della linea difensiva russa prevedono ora una ‘controffensiva’ russa che potrebbe arrivare a Sloviansk, Kramatorsk, Kharkov…
Lo sviluppo delle dinamiche sul campo era in realtà ben noto ai vertici militari americani. Dalla primavera scorsa mettevano in guardia sulle eccessive aspettative alimentate intorno alla ‘controffensiva’ ucraina. Puntualmente ignorati o, peggio, corretti dai funzionari politici che gravitano sulla Casa Bianca, si ritrovano ora nella condizione di involontarie Cassandre.
La stessa sorte che stanno affrontando i capi di stato maggiore ucraini, ai quali ora Zelenski imputa la necessità di una mobilitazione straordinaria di 400-500 mila uomini per rinsanguare un esercito malmesso. Quanto, era intuibile un anno fa, quando la presidente della Commissione UE, Ursula Von der Leyen, si era fatta sfuggire il numero di centomila morti, un segreto di Stato. Da mesi le fonti militari americane parlano di centocinquantamila soldati ucraini messi fuori combattimento e di un numero crescente di uomini che si sottraggono all’arruolamento.
Le inchieste giornalistiche americane hanno documentato la ruvida azione delle autorità di Kiev, che adesso procedono all’arruolamento forzato di persone intercettate per strada o addirittura ricoverate in ospedale con accertate patologie.
E’ anche per questo che Zelenski ha perso oltre il venti per cento dei consensi rispetto a un anno fa. Forse anche per questo ha rinviato ‘sine die’ le elezioni presidenziali previste nei prossimi mesi. Ed è forse per questo insieme di motivi che analisti americani introdotti nella Washington che conta – come Charles Kupchan, Richard Haass, Serge Schmemann – da mesi suggeriscono di ridefinire i termini di un ‘successo’ che prescinda dalla riconquista del territorio che è sotto il controllo di Mosca.