Opinions #2/25

Opinions #2 / 25

Il Canada, presidente di turno del G7 per il 2025 si ritrova senza un leader, un primo ministro e un governo. Il figlio d’arte Justin Trudeau, erede di un primo ministro rimasto in carica per 16 anni, si è dimesso dopo due lustri al potere per qualche piccolo scandalo legato alla gestione degli affari personali ma soprattutto per il crollo di popolarità a cui è andato incontro negli ultimi due anni. Decapitato momentaneamente il G7, il resto del club dei Grandi della terra (la definizione appare un po’ datata ma in effetti compie 50 anni) vive uno dei momenti peggiori della sua storia. Con la Germania che si avvia a una velenosa campagna elettorale anticipata dopo il fallimento della coalizione tra socialdemocratici, verdi e liberali. Il Cancelliere Scholz ha pochissime probabilità di restare al suo posto dopo il voto ma spera in un risultato solo moderatamente negativo dell’SPD per formare un’alleanza di governo, ancora una volta, con i cristiano-democratici. Una riedizione della “grosse coalition”. L’altro caposaldo della costruzione europea, la Francia, vive una crisi politica ancora peggiore. Con le scelte avventate che hanno caratterizzato il secondo mandato di Emmanuel Macron, in discussione non c’è solo capacità di formare governi stabili in un parlamento ormai diviso in tre blocchi (destra sovranista, centro, sinistra) ma la stessa tenuta del presidenzialismo nel formato Quinta Repubblica. In entrambi i casi, a Parigi come a Berlino, è l’ombra della destra più o meno estrema che incombe. Elementi più che sufficienti per alimentare ogni genere di inquietudine per le sorti dell’Unione europea. Ma c’è anche altro. L’alleato/ispiratore di Donald Trump, l’ubiquo Elon Musk, ha lanciato nelle ultime settimane una campagna violentissima contro gli alleati europei del presidente americano in pectore. I bersagli sono prevalentemente i leader socialdemocratici, come Scholz e il premier britannico Starmer. Ma nei suoi attacchi, portati attraverso la sua piattaforma social X (ex Twitter), c’è chi intravede un progetto politico. “Vuole guidare la nuova internazionale reazionaria” ha dichiarato Macron parlando al corpo diplomatico francese. Che a capo di questa iniziativa ci sia l’uomo più ricco del mondo, padrone della Tesla, detentore della più imponente costellazione satellitare, nonché uomo di fiducia di Trump, è fonte di improvvisa preoccupazione al di qua dell’Atlantico. Al punto che anche il governo italiano, vicino a Trump e amico di Musk per interposta amicizia del presidente del Consiglio Meloni, ha qualche imbarazzo a presentare l’accordo per la fornitura dei suoi servizi satellitari allo stato italiano. Se è vero che Henry Kissinger poteva irridere le leadership ruotanti e intermittenti con cui doveva trattare in Europa (“qual è il numero telefonico dell’Europa?”) di sicuro Trump avrà vita facile, all’inizio del suo nuovo mandato presidenziale, a trattare con una Unione europea molto fragile e con molti governi nazionali deboli. A suo tempo il suo atteggiamento altezzoso in occasione dei vertici del G7 fece impressione. Quest’anno potrebbe essere peggio, per i suoi alleati, ai quali non verrà chiesta lealtà ma fedeltà. Giustamente si moltiplicano le analisi sull’origine di questo nuovo squilibrio, che riporta agli anni del Secondo dopoguerra. Molte si concentrano sugli effetti della pandemia (Covid) sull’economia. Alcune sottolineano l’alterazione del gioco liberista intervenuto in Occidente con il mega intervento dello Stato a favore delle imprese americane voluto da Biden. Altre ancora si soffermano sui limiti alla crescita che l’Europa si è auto-imposta legandosi al “Green deal”, basato su una transizione ecologica tanto virtuosa quanto drastica. E infine innumerevoli le valutazioni che hanno legato il crollo di competitività dell’economia europea con le cause dell’aumento del costo dell’energia. Moltiplicato di oltre quattro volte con la rinuncia al gas russo, a causa delle sanzioni e del sabotaggio dei tubi sottomarini del North Stream. In pochi, in verità, hanno trattato il risvolto più scabroso. Cambiare fornitore, da Mosca a (prevalentemente) Washington, è costato ai paesi europei, Germania in primis, un salasso che fa danzare l’intero continente sul confine tra stagnazione e recessione. Mentre nel resto del mondo, guerre o non guerre, il PIL è mediamente cresciuto. Eppure, spiega Andrew Spannaus, anche per Trump le scelte economiche non saranno una passeggiata. A complicarle, come si è già visto nei giorni scorsi, sono le diverse linee che attraversano le fila dei suoi congressisti. Tra sostenitori di tagli radicali alla spesa sociale e sostenitori della riduzione delle tasse. Problema che su scala diversa, ma in tempi più ravvicinati, dovrà affrontare il debolissimo nuovo governo francese, guidato dal centrista Francois Bayrou. Nella sua analisi Pascal Boniface inquadra l’attuale debolezza della Francia nei suoi tormenti interni ma anche con la sorprendentemente veloce perdita di peso a livello internazionale. A cominciare dall’ex “cortile di casa” africano, dove uno dopo l’altro i governi dei paesi ancora ieri deferenti nei confronti di Parigi hanno imposto lo smantellamento delle basi militari: presìdi che hanno garantito, nel lungo periodo post-coloniale, un sapore di grandeur alla Francia ridimensionata del Ventunesimo secolo.

Senior correspondant

Alessandro Cassieri