I due candidati dei partiti tradizionali si mettono d’accordo tra loro e con un paio di media e tagliano fuori dal momento cruciale della campagna elettorale i candidati indipendenti, in particolare uno, il più insidioso. Succede negli Stati Uniti, dove Biden e Trump, divisi su tutto e pronti ad accusarsi reciprocamente di essere dei delinquenti, trovano l’intesa per impedire a Robert Kennedy jr di partecipare ai dibattiti televisivi. Patto a due che passa sopra le regole della FEC (Federal Election Commission), che negli ultimi quarant’anni ha regolamentato gli accessi agli spazi televisivi più importanti: i faccia a faccia dei candidati alla Casa Bianca. Per scongiurare il rafforzamento della candidatura di RFK jr, di solida tradizione democratica ma apprezzato per le sue posizioni su vaccini e immigrazione anche dagli elettori repubblicani, il presidente in carica e quello che vorrebbe tornare a esserlo hanno deciso di anticipare di tre mesi i dibattiti tv. Il primo in onda il 27 giugno sulla Cnn, il secondo il 10 settembre sulla ABC. La mossa è stata congegnata per impedire a RFK jr di avere il tempo necessario per registrare le firme a sostegno della sua candidatura in tutti i 50 stati della federazione più il distretto di Columbia (Washington). Un onere che incombe solo ai candidati indipendenti, che necessita di migliaia di volontari, di milioni di dollari e che è sottoposto al vaglio degli ispettori di ciascuno stato. Vaglio che per legge deve avvenire entro la fine di agosto. Poiché una delle condizioni poste dalla Cnn era quella della certificazione delle firme a sostegno della candidatura di Kennedy in un numero di Stati sufficiente a garantire la maggioranza dei Grandi elettori (270) la tagliola è scattata automaticamente, nonostante il “terzo incomodo” avesse annunciato di aver presentato le liste in un numero di Stati sufficiente a superare il quorum richiesto. Nulla da fare. I maggiorenti della politica statunitense hanno fatto blocco, dimostrando una volta di più che l’accesso ai vertici del potere assoluto segue percorsi variabili, piegando le regole a seconda degli interessi. Una immagine opaca della democrazia americana che finisce per alimentare il disincanto a livello internazionale. In particolare in quei mondi – in Asia, Africa e America Latina – in cui il processo critico nei confronti del sistema Usa sta rafforzando, spiega nella sua analisi Tim Murithi, la tendenza a creare gruppi di paesi in grado di dare vita a un sistema decisamente multipolare. Un problema, quello della leadership, che affligge anche l’Europa. Nei suoi rapporti con le guerre in corso – Ucraina e Gaza – l’affermarsi di un doppio standard porta, secondo Gianandrea Gaiani, a considerare la politica estera europea incoerente e quindi inaffidabile.