Un sasso nello stagno che rischia di fare rumore. Lo ha lanciato Robert F. Kennedy jr, il nipote del presidente assassinato nonché figlio di Robert, a sua volta abbattuto a colpi di pistola alla fine di un comizio, durante la campagna elettorale che lo stava proiettando verso la presidenza degli Stati Uniti.
RFK jr lo aveva detto e adesso lo ha fatto: vuole che siano resi noti i documenti top secret che riguardano l’omicidio di John Kennedy. Lo reclama con una petizione pubblica che sta raccogliendo una valanga di sottoscrizioni.
Era il 22 novembre 1963 quando il presidente più amato della storia americana venne ucciso. Per legge quei documenti avrebbero dovuto essere divulgati già da sei anni, a oltre mezzo secolo dai fatti. Trump, alla Casa Bianca, si rifiutò di dare il suo placet. E una volta al suo posto anche il democratico Biden ha rifiutato di farlo, nonostante il ‘Kennedy Records Assassination Act’ del 1992 lo imponesse.
Quello che i documenti così gelosamente secretati potrebbero rivelare è sospettato da molti, da decenni. Non un omicidio concepito e realizzato da un unico killer, Lee Haarvey Oswald, ma un complotto. Pensato e portato a termine da quel deep state che rappresenta l’anima oscura anche degli Stati Uniti. Uno ‘stato profondo’ di cui la Cia, per Kennedy jr, è stata protagonista decisiva nell’attentato di Dallas.
“Nel 1960-’61, durante la crisi della Baia dei Porci (a Cuba, ndr) mio zio si rese conto che la Cia si era trasformata in un’agenzia la cui funzione era quella di fornire al complesso militare-industriale un canale costante di nuove guerre. Mio zio si rese conto che la Cia gli aveva mentito e licenziò Allen Dulles, il capo della Cia, Charles Cabell e Richard Bissell: le tre persone più importanti della Cia. E in quel momento disse: ‘voglio prendere la Cia, farla in mille pezzi e disperderla nel vento’ “.
Nelle sue dichiarazioni in tv, sui social e alla stampa, RFK jr non chiede giustizia in quanto direttamente toccato dalla tragedia familiare. Ma ne fa un presupposto politico. Perché RFK jr è a sua volta candidato per le elezioni presidenziali dell’anno prossimo. Un candidato scomodo, per tutti. E sotto ogni punto di vista.
E’ sceso in campo prima dell’estate per stimolare il partito democratico a trovare un’alternativa a Biden, di cui è stato sodale per decenni e di cui è amico. Un presidente troppo anziano e secondo RFK jr incapace di dare la rotta a un paese disorientato e spaccato come mai prima nella sua storia recente.
Così ingombrante RFK jr, con quel nome che solletica l’elettorato liberal, e così attraente per i repubblicani che vogliono tutto tranne altri quattro anni di Biden, da risultare adesso un terzo incomodo insidioso. Il mainstream che prima lo aveva scientemente ignorato, per poi passare a dileggiarlo per le sue posizioni antivax (pre pandemia Covid), adesso comincia a prenderlo in considerazione. Se i sondaggi di Time, Cnn, Fivethirtyeight lo danno con un giudizio favorevole costantemente intorno al 40 per cento, la candidatura lanciata a maggio rischia di essere problematica per i due challenger ufficiali: Biden e Trump, entrambi con problemi tra settori consistenti dei rispettivi elettorati.
Ma RFK jr non vuole solo rimuovere il segreto su documenti che a suo avviso confermerebbero ciò che le manipolazioni giudiziarie, le inchieste monche, le ricostruzioni balistiche impossibili come quella sul ‘proiettile magico’, il lavoro opaco della Commissione Warren (della quale volle far parte lo stesso Dulles, capo della Cia silurato) coprono ingiustificatamente da 64 anni. L’intenzione dichiarata, e reiterata, è di fare quello che suo zio non potè perché eliminato: smantellare la Cia. RFK jr, se eletto, vuole farla tornare a essere una agenzia che raccoglie informazioni e non che produce pretesti per alimentare quello che il presidente Eisenhower, il generale che vinse due mandati alla Casa Bianca, definì nell’ultimo suo discorso alla nazione un rischio per la democrazia americana: il complesso militare-industriale.
Una potentissima e bulimica macchina bellicista contro cui RFK jr si è apertamente schierato. Sostenendo la pretestuosità della guerra in Ucraina. “Avremmo dovuto ascoltare quello che diceva Putin da anni. Ci eravamo impegnati con la Russia, con Gorbaciov, a non spostare la Nato di un solo pollice verso Est. Poi siamo andati dentro e abbiamo mentito. Altri 13 paesi nella Nato, abbiamo installato sistemi missilistici con capacità nucleare, abbiamo svolto esercitazioni congiunte con l’Ucraina (…). Se consideriamo gli accordi di Minsk, ai quali i Russi si sono offerti di sottostare, sembrano oggi davvero un buon accordo. Siamo onesti: è una guerra degli Stati Uniti contro la Russia, che essenzialmente sacrifica il fiore della gioventù ucraina in un mattatoio di morte e distruzione per l’ambizione geopolitica di un cambio di regime che rimuova Putin e per esaurire l’esercito russo in modo tale che non possa combattere in nessun’altra parte del mondo”.
Se quella geopolitica è “un’ambizione spesso dichiarata dei neo conservatori”, i democratici, secondo RFK jr, sono allineati. “Il presidente Biden ha affermato che la sua intenzione era quella di sbarazzarsi di Vladimir Putin e il segretario alla Difesa Auistin ha affermato che il nostro scopo è esaurire l’esercito russo”.
Un uomo culturalmente attrezzato, un avvocato ambientalista di grande successo, un figlio e nipote di grandi leader liberal che si schiera contro i massimi poteri americani. Una sfida apparentemente impossibile, e ad alto rischio. Rischio di cui RFK jr è pienamente consapevole. A qualche intervistatore che gli chiedeva se non temesse di fare la stessa fine di John Kennedy e di Bob Kennedy ha risposto senza esitazioni: “sono consapevole di questo pericolo”.
Lui sì, ma gli Stati Uniti del ventunesimo secolo riuscirebbero a superare un altro atto, con lo stesso nome, della stessa tragedia?