Guida ai problemi dell’economia internazionale

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Un articolo di: Riccardo Fallico
DOSSIER DI RICCARDO FALLICO
Il primo "banco" a Genova nel 14° secolo. Miniatura del 1340. The British Library

Nel quattordicesimo secolo le città di Firenze, Venezia e Genova videro nascere i primi “banchi” e già verso gli inizi del 1500 non era inusuale per sovrani e commercianti rivolgersi ai “banchieri” per ottenere i finanziamenti necessari per intraprendere campagne militari o promuovere affari. Cristoforo Colombo, per esempio, nonostante l’appoggio sia politico, ma anche economico, della corona spagnola, dovette rivolgersi ad una banca di Genova, la Casa delle Compere e dei Banchi di San Giorgio, della quale gli stessi sovrani spagnoli, Ferdinando II d’Aragona e Isabella di Castiglia, erano clienti, per chiedere a prestito una parte della somma necessaria per organizzare e realizzare il suo viaggio alla scoperta delle Americhe. Secondo gli accordi stipulati tra il navigatore genovese e la corona spagnola, infatti, Colombo si sarebbe dovuto fare carico personalmente di versare metà dei due milioni di maravedì, moneta d’oro spagnola di allora, necessari per finanziare l’armamento delle caravelle. Questo è solo uno dei tanti esempi che testimonia come il credito abbia ricoperto molta importanza per lo sviluppo dell’attività economica. Negli anni le stesse forme di erogazione del credito sono state trasformate, diversificate e affinate per adeguarsi alle necessità di finanziamento dei mutuatari. Oltre all’erogazione di un puro prestito bancario, infatti, si sono sviluppate diverse forme di credito commerciale, come la lettera di credito, ma tra gli strumenti di finanziamento che hanno assunto forte rilevanza economica, non solo per il loro impatto sulla capacità di un’azienda di realizzare le proprie strategie commerciali, ma anche per l’impatto più allargato sull’economia di un paese, troviamo le obbligazioni.

Obbligazioni e prestiti tra gli strumenti finanziari più comuni

Sia le obbligazioni che i prestiti sono strumenti finanziari che hanno durate prestabilite, maturano interessi e richiedono al mutuatario di rimborsare per intero il capitale preso a prestito. Sebbene obbligazioni e prestiti abbiano caratteristiche in comune in quanto entrambi generano capitale, il loro funzionamento è diverso. Con un’obbligazione, l’emittente riceve denaro e promette di pagare un determinato ammontare di interessi in cambio dell’investimento, gli interessi sono pagati a intervalli regolari stabiliti all’inizio del periodo di investimento e il capitale, solitamente, è ripagato alla scadenza in un’unica soluzione.

Il rimborso del capitale e i pagamenti degli interessi in genere non possono essere rivisti. Con un prestito, invece, il mutuatario si impegna a restituire il capitale, oltre agli interessi, in rate periodiche in un determinato periodo di tempo. Quando si tratta di rimborso, i prestiti possono offrire una maggiore flessibilità intrinseca per quanto riguarda la capacità del mutuatario di negoziare i termini, l’importo del pagamento o la tempistica con il prestatore. I tassi di interesse pagabili ai finanziatori sui prestiti, però, vista la maggiore personalizzazione del prodotto in base alle esigenze del cliente, in alcuni casi possono vedere applicati dei tassi di interesse maggiori rispetto all’emissione di debito obbligazionario. Inoltre le garanzie che il creditore può richiedere nel caso dell’erogazione di un prestito possono essere molto più vincolanti e stringenti di quelle che devono essere presentate per l’emissione delle obbligazioni. D’altra parte, però, un credito bancario può essere erogato in tempi più rapidi, mentre le procedure per l’emissione di obbligazioni sono generalmente più lunghe, poiché le aziende devono prima ottenere un rating creditizio da un’agenzia di rating e trovare un sottoscrittore o un agente in grado di collocare le obbligazioni stesse sul mercato per poterle vendere agli investitori interessati.

Le conseguenze catastrofiche della crisi finanziaria globale del 2007-2009

Le obbligazioni visti i minori costi, gli intervalli di pagamento più lunghi e i minori vincoli sono diventate uno strumento molto appetibile e utilizzato dalle aziende per raccogliere fondi di finanziamento, molto spesso accostandole al credito bancario stesso, così da poter massimizzare la leva finanziaria.

Le disastrose conseguenze della crisi finanziaria globale del 2007-2009 avevano, tuttavia, portato gli operatori del mercato a riconsiderare gli effetti che l’espansione incontrollata della leva finanziaria aveva prodotto: il nuovo imperativo era quello di uscire dal “circolo vizioso di creazione di nuovo debito”. Ciononostante, alle buone intenzioni non sono poi seguiti cambiamenti concreti. Secondo i dati del Fondo Monetario Internazionale (IMF)  il rapporto del debito aziendale globale, esclusi i debiti contratti dagli istituti finanziari, rispetto al PIL mondiale tra la fine del 2008 e quella del 2022 è cresciuto dal 75% al 98%. In termini assoluti, si è passati da 45 trilioni di dollari a 88 trilioni di dollari. Le aziende dei Paesi in via di sviluppo hanno aumentato del 250% le loro esposizioni, passando da 9 trilioni di dollari a quasi 40 trilioni di dollari di debito. Per i Paesi economicamente più sviluppati la crescita media si è attestata intorno al 35%, passando da 36 trilioni a 48 trilioni di dollari. Se volgiamo l’attenzione al debito aziendale dei singoli stati, la Cina è il paese che nel corso di questo periodo ha visto la maggiore espansione del debito delle sue aziende, passando da 4,38 trilioni di dollari nel 2008 ai 27,74 trilioni di fine 2022. Tra le nazioni economicamente più sviluppate gli Stati Uniti rimangono il primo Paese per volumi di debito aziendale con circa 20 trilioni di dollari, seguono Giappone con 5 trilioni e Regno Unito con 2 trilioni di dollari. Le aziende dell’area Euro invece avevano accumulato un debito complessivo di 14,63 trilioni di dollari. Sempre secondo le statistiche fornite alla fine del 2022, la Cina aveva fatto registrare un rapporto tra debito corporate e PIL nazionale del 158%, seguita dal Giappone, 118%, e dall’area Euro, 103%. Stati Uniti e Regno Unito avevano fatto registrare, rispettivamente, un 78% e un 70%, mentre gli altri paesi BRICS, Brasile, India e Russia avevano tutti un rapporto al di sotto del 72%.

Dal punto di vista delle singole aziende, i dati pubblicati a marzo del 2023  indicavano il colosso automobilistico Toyota come la società maggiormente indebitata al mondo, con 217 miliardi di dollari. Tra le società non finanziarie con le maggiori esposizioni nel settore automobilistico si trovavano anche Volkswagen, 166 miliardi, e Ford Motor, 139 miliardi. In questa speciale classifica erano presenti poi le società statunitensi di telecomunicazioni Verizon Communication, 151 miliardi di dollari, At&T, 136 miliardi e la tedesca Deutsche Telecom, 115 miliardi. Nella lista era presente infine la società elettrica Electricité de France con un debito totale accumulato di 108 miliardi di dollari. Tra gli istituti finanziari più indebitati, invece, si trovavano Deutsche Bank, 150 miliardi di dollari e Softbank, 138 miliardi.

La qualità dei debiti corporate suscita grandi preoccupazioni

Nonostante la massa di debito in circolazione sia elevatissima, a destare anche più preoccupazione è la qualità stessa del debito, che nel recente passato è peggiorata drammaticamente. Secondo Bank of America (BofA) solo negli ultimi cinque anni è stato creato un 1 trilione di dollari in debito detenuto da società private. Un 25% di questa somma è costituita da obbligazioni ad alto rendimento emesse da società con rating inferiore a “investment grade”, ovvero con il rischio di default maggiore, mentre un ulteriore 35% è costituito da prestiti bancari sindacati, che prevedono la partecipazione di diversi istituti finanziari, concessi ad aziende sempre con rating inferiore a “investment grade”. Secondo le stime di Standard & Poors, la quota di obbligazioni considerate “investment grade” è scesa al 76% circa da oltre il 90% nel 2010. Le emissioni di obbligazioni definite speculative, ovvero che offrono un rendimento elevato, ma, di contro, presentano un rischio di default altrettanto elevato, nel 2023 sono aumentate del 53% rispetto al 2012 e ad oggi rappresentano il 9% circa di tutto il mercato obbligazionario mondiale . Sempre secondo i dati della banca statunitense 400 miliardi di dollari del debito delle aziende è considerato potenzialmente a rischio di default, dal momento che il suo rifinanziamento sarebbe possibile solo a tassi superiori al 10%. Ulteriori 150 miliardi di dollari invece sono già considerati a grave rischio di default, poiché non è più nemmeno possibile prendere in considerazione il loro rifinanziamento.

Sebbene nel passato sia stato spesso lanciato l’allarme che l’accumulo di ulteriore debito potesse diventare un ostacolo insormontabile per le aziende (così come per i governi e le famiglie), le politiche monetarie di quantative easing e di bassi tassi di interesse hanno spinto tutte le aziende a continuare ad aumentare la propria esposizione finanziaria, visti i relativi contenuti oneri di finanziamento. La situazione, tuttavia, è radicalmente mutata una volta che le banche centrali mondiali hanno cominciato a promuovere politiche monetarie restrittive rivolte a contrastare il rapido aumento dell’inflazione. Così, di pari passo all’aumento dei tassi di interesse, i costi di finanziamento e di gestione dei debiti già contratti sono lievitati e, mentre da una parte hanno parzialmente funzionato come un freno alla creazione di nuovo debito, dall’altra, invece, hanno spinto molte aziende sull’orlo dell’insolvenza. Uno studio della società di consulenza Kearney pubblicato nell’ottobre del 2022 metteva in luce una situazione non proprio incoraggiante: il debito delle società cosiddette “zombie”, ovvero che necessitano di aiuti finanziari esogeni per operare e non sono in grado di far fronte al pagamento del montante del proprio debito, ammontava a 400 miliardi di dollari e il loro numero era arrivato a toccare il 5% del totale delle società al mondo. Il permanere di tassi elevati e la congiuntura economica poco favorevole non hanno permesso un miglioramento delle condizioni economico e finanziarie di queste società, tanto che nell’ottobre del 2023 le statistiche parlavano addirittura di un peggioramento: negli Stati Uniti il totale delle società “zombi” era salito al 10%, mentre in Europa Italia, Grecia, Portogallo e Spagna avevano in media tra il 10% e il 12% di società “zombi”.

Sotto i riflettori il rischio di default di massa delle società private

A causa della difficile congiuntura economica e finanziaria nel 2023 hanno cominciato ad assumere sempre maggiore rilevanza i problemi di default e della capacità di pagamento del debito da parte delle aziende private. Bloomberg nel luglio del 2023 riportava che, nonostante la crisi del credito delle banche regionali statunitensi nel marzo dello stesso anno fosse stata in qualche modo arginata, all’orizzonte vi erano quasi 600 miliardi di dollari di debito, sia sotto forma di prestiti bancari sia di obbligazioni, che presentavano un elevato rischio di default. I settori immobiliare, 168 miliardi di dollari, farmaceutico, 63 miliardi, delle telecomunicazioni, 62 miliardi, dei servizi informatici, 35 miliardi, e delle vendite al dettaglio, 32 miliardi, erano i settori con le maggiori difficoltà.

Secondo un’altra statistica riportata da Reuters a fine del 2023 le società più indebitate di Europa, Medio Oriente e Africa avevano circa 500 miliardi di dollari di debito in scadenza solo nella prima metà del 2024, che sarebbero dovuti essere rifinanziati, date le già note difficoltà di queste stesse società di ripagare i propri crediti e/o obbligazioni. Entro la fine del 2025 vi sarebbe un ulteriore 1,2 trilione di dollari in scadenza. Viste le congiunture economiche e finanziarie non certo favorevoli molti analisti di mercato stimavano un aumento di casi di insolvenza e bancarotta. Già ad agosto del 2023 il Britain’s Office of National Statistics aveva dichiarato di aver registrato un aumento del 19% rispetto al 2022 delle insolvenze da parte delle aziende in Inghilterra e non più tardi di un mese la catena di negozi Wilko, fondata nel 1930, aveva dovuto dichiarare bancarotta con 625 milioni di sterline di debiti insoluti e la conseguente perdita di più di 12.000 posti di lavoro. Anche gli Stati Uniti non potevano stare tranquilli dal momento che Moody’s nell’ottobre del 2023  aveva segnalato che 1,87 trilioni di debito delle società “spazzatura” statunitensi sarebbe in scadenza tra il 2024 e il 2028.

Queste enormi masse di debito in circolazione sono sempre più difficilmente rinegoziabili e/o rifinanziabili tanto che il rischio di default delle aziende private è aumentato considerevolmente nell’ultimo biennio. Standard & Poors Global Ratings a inizio 2024 ha presentato le statistiche sui default registrati nel 2023, 153 casi in tutto il mondo, il numero più alto dal 2020 e con un incremento dell’80% rispetto al 2022. Il numero maggiore di casi era stato registrato negli Stati Uniti, 96 contro i “soli” 37 del 2022, e in Europa, 30 casi contro i 17 del 2022, con i settori di telecomunicazioni, prodotti al consumo, farmaceutica e vendite al dettaglio tra i più interessati. Secondo i dati di Moody’s la percentuale a livello mondiale di default delle aziende con rating speculativo potrebbe salire al 5,6% nel 2024 o addirittura raggiungere il 13,7%, nello scenario più pessimistico. Per quanto riguarda il numero di casi di bancarotta, le cifre sono anche più impietose: secondo i dati del Global Insolvency Index di Allianz nel 2023 vi è stato un aumento del 21% a livello globale di casi di bancarotta e viene stimato un ulteriore aumento del 4% per il 2024.

Mercato obbligazionario: è in stallo l’emissione dei nuovi strumenti finanziari ad elevato tasso di rendimento

Un rallentamento nella creazione di nuovo debito è stato registrato nel mercato obbligazionario, dove la collocazione di obbligazioni con rendimento elevato nel 2023 ha registrato una frenata, visto gli oneri derivanti dai tassi di interesse molto alti. Secondo i dati di Reifinitiv, una società controllata dalla Borsa di Londra (LSEG) che gestisce e fornisce dati finanziari, tra gennaio e maggio del 2023 l’emissione di obbligazioni a rendimenti elevati si attestava intorno ai 90 miliardi di dollari, il minimo degli ultimi 13 anni. La banca di investimento Morgan Stanley, tuttavia, a novembre del 2023 metteva in guardia gli operatori di mercato che, anche se nel 2023 le società detentrici di obbligazioni a rendimento elevato erano riuscite a rispettare i termini dei loro pagamenti, nel corso dei primi sei mesi del 2024 ci sarebbero stati ulteriori 125 miliardi di dollari in obbligazioni in scadenza, e il rischio di mancati pagamenti era aumentato, dato che i tassi di rifinanziamento erano tra i 120 e 250 punti base più alti rispetto al passato.

A partire dal secondo trimestre del 2023, tuttavia, alcune di queste preoccupazioni sono sembrate dissiparsi dal momento che i mercati hanno cominciato a credere, non tanto ad una ripresa economica a livello globale, ma alla possibilità di tagli dei tassi di interesse da parte delle maggiori banche centrali, in prima linea della Federal Reserve statunitense (FED) e la Banca Centrale Europea (ECB). Gli operatori economici e di mercato, sull’entusiasmo di una possibile futura inversione delle politiche monetarie, hanno cominciato a riaffacciarsi sul mercato obbligazionario e, infatti, Reifinitiv ha riportato che a settembre 2023 negli Stati Uniti, il primo mercato obbligazionario al mondo, erano stati emessi circa 60 miliardi di dollari in obbligazioni e le stime parlavano di come il 2023 potesse chiudersi con un totale di circa 1,23 trilioni di dollari di obbligazioni “investment grade” collocate. Nonostante la cifra sia di per sé elevatissima, il volume non raggiungeva, tuttavia, i livelli del 2021 o addirittura del 2020, rispettivamente di 1,45 e 1,85 trilioni di dollari. La conferma di questa nuova impennata nell’emissione di debito corporate è stata confermata anche dagli analisti di BofA agli inizi di febbraio 2024: a gennaio le società statunitensi avevano emesso obbligazioni per 190 miliardi di dollari e si prevedevano ulteriori 160-170 miliardi di dollari per il mese di febbraio.

L’importanza dell’ammodernamento del mercato del debito per la stabilità economica globale

Un mercato del debito liquido può essere un fattore importante per lo sviluppo e la stabilità di un’economia, almeno fino al momento in cui vi sia un equilibrio tra il debito creato e la sottostante capacità di ripagarlo. Queste condizioni permettono una massimizzazione efficiente dell’allocazione delle risorse finanziarie per i creditori e un altrettanto efficiente raccolta per i mutuatari. Tuttavia le politiche di quantative easing e di tassi di interesse bassi hanno portato ad un così alto surplus di offerta di moneta a basso costo, che il meccanismo di offerta del credito si è “incrinato”. In primo luogo, le aziende che già avevano difficoltà economiche e finanziarie sono riuscite a “sopravvivere” rifinanziando i propri debiti, di fatto solo posticipando l’orizzonte temporale delle scadenze. Nel 2010 Moody’s nel report “U.S. Speculative-Grade Bank Credit Facilities Due 2011-2014: Tidal Wave of Refunding is Approaching” paventava lo spauracchio di un’ondata di rifinanziamenti dei debiti che le aziende statunitensi avrebbero dovuto affrontare dopo la crisi finanziaria del 2008, mettendo in guardia che presto o tardi si sarebbero dovuti fare i conti con il cosiddetto “muro delle scadenze del debito”, ovvero il momento nel quale non sarebbe più stato possibile rinegoziare e rifinanziare i debiti in essere. Ne è conseguita un’espansione dei segmenti rischiosi del mercato del credito, che a sua volta ha influito sulla qualità del credito dei mutuatari stessi, sugli standard di sottoscrizione e sulle tutele degli investitori. Nel 2023, l’IMF nel report “Do corporate bond shocks affect commercial bank lending?” ha confermato che “gli eccessivi shock dei premi nel mercato delle obbligazioni societarie possono innescare una riduzione dell’attività di prestito delle banche commerciali in linea con una contrazione dell’offerta di prestiti”.

Lo squilibrio del mercato del debito ha poi esacerbato la cattiva allocazione delle risorse finanziarie, tanto che già in un report del 2020 la Federal Reserve di Boston, dopo aver analizzato la salute finanziaria delle società statunitensi, esclusi gli istituti finanziari, mise in luce come la leva finanziaria accumulata, non solo non fosse servita a generare profitti necessari per ripagare il debito stesso, ma si stesse tramutando in un boomerang contro la stabilità delle aziende stesse in caso di futuri shock economici e finanziari.

Economista

Riccardo Fallico