USA: l’insicurezza che favorisce Trump

I sondaggi continuano a dare in vantaggio l'ex presidente sull'attuale inquilino della Casa Bianca. Pesano i problemi sociali: inflazione, insicurezza, immigrazione. Per gli elettori le responsabilità sono soprattutto di Biden

A sei mesi dal voto presidenziale del prossimo novembre, Donald Trump mantiene un certo vantaggio nei sondaggi rispetto a Joe Biden. Ci sono fattori importanti che possono ancora danneggiare entrambi i candidati: dal processo penale contro il tycoon in corso a New York, all’età e alla percezione di fragilità del presidente uscente. Fondamentale, però, sarà il senso di incertezza dovuto a fattori come l’immigrazione, il costo della vita e l’insicurezza sociale, quest’ultima legata alla criminalità ma anche ai disordini nelle università innescati dalla guerra in Medio Oriente. L’amministrazione attuale ha responsabilità dirette per alcuni di questi temi, e per altri no. In ogni caso, il clima sociale potrà avere un impatto importante sulla campagna elettorale, offrendo a Trump una sponda su cui costruire la sua critica allo status quo.

Il tema dominante per il Partito Repubblicano in questo periodo – senza grandi differenze tra trumpiani e tradizionalisti – è l’immigrazione. Non si perde occasione per incolpare il presidente per il numero record di arrivi al confine sud del paese. Con una media di 2 milioni di immigrati illegali all’anno, senza un sistema efficiente per determinare chi ha diritto all’asilo e chi va respinto, si è creata la percezione di una situazione fuori controllo. Perfino i sindaci democratici di grandi città come New York, Chicago e Los Angeles criticano il governo federale e invocano aiuti per affrontare il grande numero di disperati in arrivo.

È indubbio che l’arrivo di Biden alla Casa Bianca abbia segnato un cambiamento di fase per chi aspira ad entrare negli Stati Uniti, una speranza di maggiore apertura dopo la linea dura seguita dal suo predecessore. Inoltre, l’amministrazione democratica ha posto fine alla politica “Remain in Mexico“, il contestato programma che teneva i migranti fuori dagli USA mentre aspettavano l’udienza per valutare la richiesta di asilo.

Dopo l’esplosione degli arrivi, Biden e i democratici al Congresso sono corsi ai ripari, cercando un compromesso legislativo sul tema. La proposta era di aumentare i fondi necessari per presidiare il confine e potenziare il sistema giudiziario, ma Trump stesso ha incoraggiato il suo partito a non collaborare con il presidente. La soluzione al problema passa per il rafforzamento e l’efficientamento delle procedure, e anche per la concessione di permessi di lavoro a molti immigrati illegali, date le necessità impellenti in alcuni settori dell’economia. Nei mesi caldi della campagna elettorale, però, è certo che l’immigrazione sarà utilizzata principalmente come arma politica per vincere le elezioni.

L’altro grande tema che favorisce la candidatura di Trump è l’economia. Nel 1980, pochi giorni prima del voto, Ronald Reagan pose una domanda all’elettorato: “state meglio ora rispetto a quattro anni fa?”. Questo momento chiave contribuì alla sua vittoria contro Jimmy Carter. Oggi il candidato Trump continua a ripetere la stessa domanda. Ragionando in termini oggettivi, come ci ricordano spesso i media, la risposta dovrebbe essere “sì”. Nella primavera del 2020 c’era il disastro, con il tracollo economico e le divisioni sociali sulla risposta al Covid. Non a caso, spesso Trump modifica la domanda in “cinque anni fa“, per richiamare un periodo più sereno.

In realtà, potrebbe anche vantarsi della risposta governativa data alla pandemia ai suoi tempi, tra l’Operation Warp Speed che sviluppò i vaccini prima di ogni attesa, e le azioni governative che permisero di salvare famiglie dalla povertà e imprese dalla bancarotta. Non lo fa, però, poiché questo interventismo del governo non quadra con l’ampia corrente anti-lockdown e no-vax, da una parte, e con la storica linea repubblicana liberomercatista dall’altra.

Sul ruolo pubblico in economia, Trump ha apportato grandi cambiamenti, e Biden ha proseguito nella stessa vena, con ulteriori misure di protezionismo e politica industriale. Nonostante il consolidamento di questa svolta, rivendicare apertamente la trasformazione anti-liberista sembra ancora troppo se Trump vuole parlare non solo alla base repubblicana, ma anche all’establishment.

In ogni caso, il richiamo al periodo pre-pandemico sta funzionando. I sondaggi mostrano che la maggioranza degli americani ricorda la presidenza Trump come un periodo migliore in termini economici. La colpa principale è dell’inflazione, con il forte aumento dei prezzi iniziato nel 2021. In questo caso, le responsabilità della politica sono limitate: le interruzioni al commercio mondiale, con il fermo della produzione e dei trasporti, sono state il fattore principale.

Paradossalmente, l’efficacia della politica governativa di sostenere i redditi ha contribuito al fenomeno, poiché avere i soldi non significa poter acquistare i beni se non si producono nel proprio paese e arrivano invece dall’altra parte del mondo. Il conseguente aumento del costo delle merci e dei beni finiti ha colpito molto la popolazione. Nonostante i salari abbiano tenuto il passo dell’inflazione, a livello aggregato, l’impennata dei prezzi in settori come gli alimenti e le abitazioni produce difficoltà importanti per alcune fasce di cittadini americani.

Infine, c’è l’insicurezza sociale. Durante la pandemia, è cresciuto il numero di crimini violenti, dall’omicidio all’aggressione al furto delle auto. L’aumento è stato limitato nel tempo, e in termini assoluti i livelli erano nettamente inferiori a quelli degli anni Settanta e Ottanta. Ma la tendenza conta. Ha preso piede la percezione di un paese allo sbando, senza rispetto per la legge. A contribuire sono state le proteste del Black Lives Matter, che hanno alimentato le paure della “maggioranza silenziosa”, sensibile agli appelli a mantenere l’ordine.

Nel 2024, si ripresenta una situazione simile in merito alle proteste. Le agitazioni nelle università prestigiose, dove i giovani si scagliano contro la guerra di Israele a Gaza, vengono utilizzate in chiave politica per due scopi: rafforzare il sostegno per Tel Aviv bollando le critiche come antisemite; dipingere un quadro di disordine provocato da giovani “woke” e privilegiati che minacciano la pace sociale. È un copione già visto, per esempio nel 1968, quando la radicalizzazione delle proteste contro il razzismo e la guerra in Vietnam provocò una reazione conservatrice nell’elettorato.

I politici sono esperti nell’alimentare la polarizzazione. Nel contesto attuale, in cui i cittadini hanno ben presenti le difficoltà dell’ultimo periodo, dall’inflazione all’immigrazione alla criminalità, Donald Trump ha gioco facile ad assegnare la colpa a Joe Biden. Questo gli offre la possibilità di sfruttare il senso di incertezza, sperando che gli elettori ricordino gli anni della sua presidenza come più tranquilli rispetto al momento di incertezza che vive il paese oggi.

 

Analista politico americano, Università Cattolica di Milano. Autore di Perché vince Trump (2016).

Andrew Spannaus