Un articolo di: Riccardo Fallico

Nell’aprile del 2024 il report “Trade and Development 2023” pubblicato dalle Nazioni Unite (ONU) ha avuto una vasta risonanza derivante dalla rivelazione riguardo al monopolio vigente nel settore agroalimentare, nel quale quattro società, dette ABCD (Archer-Daniels-Midland Company, Bunge, Cargill e Louis Dreyfus), detengono oltre il 70% del mercato mondiale della produzione agricola. Questa situazione non è nuova, dato che un articolo dell’Independent, pubblicato nel 2013, aveva già indicato queste stesse società come le “società che controllano il commercio di cereali”. Nello stesso report dell’ONU viene anche messo in risalto l’aumento esponenziale degli utili netti realizzati da queste società, che sono triplicati rispetto al 2020, raggiungendo alla fine del 2022 i 17 miliardi di dollari.

Questa impennata è stata possibile soprattutto grazie all’aumento dei prezzi, che già a seguito della pandemia avevano subito un forte rialzo. In seguito, le tensioni geopolitiche, acuitesi dopo l’inizio dell’operazione speciale russa nel Donbass, hanno esercitato una nuova pressione sui prezzi del settore cerealicolo. Il prezzo del grano, per esempio, nonostante la flessione registrata nel 2023, continua ad essere del 70% circa maggiore rispetto ai livelli del 2020.

Le sanzioni contro la Russia hanno provocato un’impennata dei prezzi dei cereali

Le sanzioni del Global North contro il settore energetico russo e contro l’industria dei fertilizzanti russa e bielorussa hanno provocato, infatti, un aumento non solo dei costi legati alla produzione, ma anche ai trasporti e alla commercializzazione dei cereali per tutti i Paesi esportatori. Più volte, però, è stato dichiarato che la destabilizzazione del mercato mondiale dei cereali e il repentino aumento dei prezzi fossero stati causati dal blocco da parte delle forze armate russe di tonnellate di cereali stivate in numerose navi in tre porti ucraini (Odessa, Chornomorsk e Yuzhny).

È necessario, tuttavia, tenere in considerazione alcuni dati. la FAO e la Banca Mondiale (WB) hanno indicato come la Russia, con 153 milioni di tonnellate a fine del 2022, fosse diventata il quarto produttore mondiale di cereali, dietro a Cina, 633 milioni, Stati Uniti, 410, e India, 355 milioni di tonnellate. L’Ucraina, nello stesso anno, aveva registrato una produzione totale di circa 53 milioni di tonnellate, addirittura inferiore a quella della Francia di quasi 60 milioni di tonnellate. In termini di export, nell’anno fiscale 2022/23 la Russia ha esportato 54 milioni di tonnellate di cerali, mentre l’Ucraina ha esportato circa 49 milioni.

Durante il primo anno del conflitto, con la mediazione della Turchia e sotto il controllo dell’ONU, nel luglio del 2022 si raggiunse l’accordo per aprire un corridoio navale nel Mar Nero al fine di sbloccare le tonnellate di cereali ferme nei porti ucraini. La cosiddetta “iniziativa del Mar Nero” (Black Sea Grain Initiative – BSGI) è stata però interrotta unilateralmente dalla Russia un anno più tardi avendo effettuato solo l’export di 33 milioni di tonnellate di cereali, per la maggior parte granoturco e grano. Il ritiro della Russia dalla BSGI era stato immediatamente definito dal Global North come un gravissimo fattore di rischio per la sicurezza mondiale delle forniture di cibo.

L’allarmismo, tuttavia, sembra essersi rivelato alquanto ingiustificato. Nel contesto della produzione mondiale di 3 miliardi di tonnellate di cereali il peso dell’Ucraina non è sembrato essere così “determinante” come spesso invece è stato fatto passare dai media. Nonostante le previsioni di nuove impennate dei prezzi a seguito della interruzione della BSGI nel 2023 il prezzo medio dei cereali è continuato a diminuire. Secondo gli ultimi dati pubblicati dalla FAO il prezzo dei cereali ad aprile del 2024 è del 18,3% inferiore a quello dell’aprile del 2023.

Zelensky abolisce della moratoria, in vigore dal 2001, sulla vendita di terreni agricoli in Ucraina

Le motivazioni di questo panico indotto a mezzo stampa può essere legato agli interessi dei produttori e a degli acquirenti di questi stessi cereali. Incidentalmente, le maggiori società esportatrici di cereali ucraini per l’anno fiscale 2022/23 sono state Kernel, Louis Dreyfus Company and Cargill. Le società straniere, inoltre, sono state le beneficiarie della legge firmata nell’aprile del 2020 dal presidente Zelensky, il quale, cedendo alle pressioni del Fondo Monetario Internazionale (IMF), ha approvato l’annullamento della moratoria, in vigore dal 2001, sulla vendita di terreni agricoli in Ucraina. Con questa riforma, che era una delle condizioni imposte dall’IMF per l’approvazione di un prestito di 8 miliardi di dollari allo stesso governo ucraino, è stata permessa e liberalizzata la vendita di 32 milioni di ettari di terra coltivabile, equivalente ad un quinto della terra coltivabile in Europa, il cui totale è di 157 milioni di ettari. Il BSGI era innanzitutto uno strumento per permettere di alleviare le perdite, stimate a 3,2 miliardi di dollari per il 2023, delle società agricole e soprattutto delle multinazionali occidentali, ristabilendo il maggior canale ucraino per l’export dei cereali, che aveva subito una contrazione del circa 30% nell’anno fiscale 2022/23.

Gli interessi del Global North non erano legati solo alla monetizzazione dell’export della produzione cerealicola ucraina, ma erano anche connessi al loro acquisto a prezzi “di favore”, che proprio l’Unione Europea aveva concordato con il governo ucraino prima dell’inizio del conflitto armato. Il settore cerealicolo europeo a partire dal 2014 ha iniziato a soffrire un lieve, ma continuo declino, registrando addirittura un -9% nel 2022: i Paesi che hanno sofferto le contrazioni maggiori sono stati l’Ungheria, -35%, Romania, -32%, Spagna, -24%, e Francia, -10%. Nonostante la maggior parte della domanda sia soddisfatta dalla produzione interna, il mercato europeo rimane un target attraente per i fornitori dei Paesi in via di sviluppo. Sebbene una produzione aggregata di circa 271 milioni di tonnellate di cereali nel 2022, l’Europa ha una costante necessità di importare quantità aggiuntive, dal momento che la destinazione primaria è destinata al settore della pastorizia, 61%, e circa un quarto, 24%, è destinato al consumo alimentare degli individui. L’Europa nel suo insieme, infatti, pesa per il 22% delle importazioni mondiali di cereali e tra i maggiori Paesi importatori al mondo vi sono Spagna, Italia, Germania e Paesi Bassi.

Non sembra poi così casuale, quindi, che il mix di acquirenti di cereali prodotti in Ucraina sia radicalmente cambiato tra il 2021 e il 2023. Proprio l’Ucraina è diventata dall’inizio del 2022 uno dei maggiori partner commerciali dell’Europa, che ha portato il suo import di cereali da un milione di tonnellate nel gennaio del 2021 a 1,7 milioni nel gennaio del 2022, per raggiungere poi i 2,7 milioni nel novembre dello stesso anno. All’inizio del 2024 l’import mensile è rimasto sopra i 2 milioni di tonnellate. Questo è stato soprattutto possibile grazie all’annullamento dei dazi di importazione per i prodotti provenienti dall’Ucraina, che ancora oggi sono in vigore.

Commissione europea: nel breve termine il settore agricolo vivrà ancora forte incertezza e rimarrà turbolento visto il protrarsi dei conflitti geopolitici

Nonostante si sia registrato nel 2023 un calo dell’import europeo nel settore agro-alimentare del 7%, attestatosi intorno ai 172 miliardi di dollari, l’Ucraina ha consolidato il terzo posto nella lista dei partner commerciali agricoli dell’Unione Europea (EU), con 13 miliardi di dollari, ovvero circa il 7% del totale. Non è quindi una sorpresa che l’Unione Europea si fosse lanciata a definire il blocco dei porti ucraini legato alle operazioni militari della Russia come un “crimine di guerra”, quando i Paesi europei, Spagna, Italia e Olanda su tutti, si sono rivelati essere i principali destinatari dei cereali ucraini esportati proprio attraverso il BSGI.

L’import di cereali a prezzi di favore, tuttavia, non è stato “digerito” bene da tutti i membri dell’EU. Gli stessi Paesi, Romania, Polonia, Ungheria e Slovacchia, che hanno registrato un impennata dell’import di cereali dall’Ucraina, passato da 24 milioni di dollari nel 2021 a 2,4 miliardi di dollari nel 2022, sono stati, nella primavera del 2023, i promotori del blocco di ulteriori import di cereali ucraini. Questa manovra era diretta a salvare il settore agricolo nazionale, che stava sofferendo la concorrenza dei prodotti ucraini.

Il tema dell’import è di assoluta centralità visti i rischi di sicurezza alimentare che ne conseguono. Secondo le ultime previsione della Commissione Europea (EC) nel breve termine il settore vivrà ancora forte incertezza e rimarrà turbolento visto il protrarsi dei conflitti geopolitici. Questi influenzeranno negativamente il lato dell’offerta, dal momento che i prezzi di produzione rimangono ancora di gran lunga superiori ai prezzi del 2019. Nonostante la prospettiva di un aumento della produzione di cerali, che potrebbe toccare i 279 milioni di tonnellate per il 2024/25, il mercato cerealicolo europeo rimane appetibile e interessante per i Paesi produttori extra-EU, considerato anche un livello prospettato di produzione inferiore di un 1% rispetto alle media degli ultimi 5 anni. La EC, tuttavia, rimane ottimista riguardo alla possibilità di diminuire la propria dipendenza dall’import di cereali, fatta eccezione per quelli di grano duro, che nel 2022/23 sarebbero aumentati del 37%.

La situazione del mercato cerealicolo a medio termine di tempo

Per quello che riguarda le previsioni a medio termine, con orizzonte fino al 2035, l’analisi diventa più difficoltosa, non solo per l’impossibilità di prevedere l’impatto degli agenti meteorologici e della possibile scarsità di acqua sui raccolti, ma anche a causa delle regolamentazioni e delle leggi europee in materia agricola. Nel 1962 la Comunità Economica Europea approvò la Politica Agricola Comune (CAP), che mirava a sviluppare la produttività, garantire un equo tenore di vita alla popolazione agricola, stabilizzare i mercati, garantire la sicurezza dell’approvvigionamento e prezzi ragionevoli per i consumatori. Negli anni il CAP è stato modificato per rispondere ai cambiamenti strutturali del settore e per adeguarlo al quadro politico generale della EU. Tra il 2021 e 2023 sono state apportate sostanziali modifiche, che, di fatto, hanno introdotto non solo una maggiore libertà dei singoli Stati nella gestione delle politiche agricole nazionali, ma hanno anche recepito le nuove disposizioni in materia ambientale determinate nel Green Deal Europeo. In linea con i target di emissioni nette zero entro il 2050, entro il 2030 la EU dovrà destinare il 25% delle terre coltivabili all’agricoltura biologica, ridurre del 20% l’uso di fertilizzanti chimici e del 50% l’uso di prodotti fitosanitari e antibiotici per l’allevamento del bestiame, “dismettendo” al contempo il 10 % della superficie agricola della EU.

La EC nelle sue previsioni a medio termine stima che l’estensione coltivabile per il settore cerealicolo tra il 2023 e il 2035 rimarrà invariata a 51,2 milioni di ettari. Anche la produzione sembra dover rimanere stabile, raggiungendo i 281 milioni di tonnellate nel 2035. Questi dati non tengono conto di una potenziale entrata nell’Unione Europea da parte dell’Ucraina. Se i piani politici di adesione andassero a buon fine, quali sarebbero gli effetti sul mercato cerealicolo europeo? Quale sarebbe la reazione degli agricoltori europei? Ci saranno conseguenze sulla sicurezza alimentare nel lungo periodo relative all’aumento delle tariffe sull’import dei cereali dalla Russia e dalla Bielorussia? Come per altre commodities, quale sarà il livello di concorrenza nell’assicurare la sicurezza alimentare nazionale dei propri cittadini?

Economista

Riccardo Fallico