Con l’inizio dell’Operazione speciale russa (OSR) in Donbass, Stati Uniti, Regno Unito e Unione Europea, insieme ai loro più stretti alleati promisero di infliggere alla Russia sanzioni “mai viste” in grado di fermare completamente le sue manovre militari. L’intenzione vera era di strangolare l’economia russa per togliere ogni risorsa, finanziaria e non, necessaria per la stabilità il Paese.
Il Global North congela gli asset della Banca centrale russa
Già il 22 febbraio del 2022, ovvero due giorni prima dell’inizio dell’OSR, il Regno Unito congelò i beni di cinque banche russe e gli Stati Uniti misero nella lista degli enti sanzionati le banche statali VEB e Promsvyazbank insieme alle loro controllate. Nei giorni a seguire l’Unione Europea, i Paesi della NATO e del G7 congelarono i beni russi di individui e aziende nei loro territori, misero sotto sanzioni individui, mezzi di informazione, imprese e banche russe, sia private sia statali. L’efficacia di queste sanzioni è stata, tuttavia, sopravvalutata, dal momento che anche le statistiche del Fondo Monetario Internazionale (IMF) dipingono l’economia russa in buona salute. Addirittura ancora nell’estate del 2023, nonostante il primato di nazione più sanzionata al mondo, la Russia ha smentito l’ormai defunto senatore statunitense McCain, che nel 2014 l’aveva definita come “una stazione di benzina mascherata da Paese”: il PIL russo rapportato al potere di acquisto faceva della Russia la quinta economia mondiale e la prima economia europea, avendo sorpassato anche quella tedesca.
La mossa più inaspettata messa in atto dai Paesi del cosiddetto Global North, tuttavia, è stata quella di congelare gli asset della Banca Centrale Russa (CBR) all’estero. Secondo le prime stime ufficiali erano state congelate riserve della CBR tra 300 e 600 miliardi di dollari . Al momento del congelamento la CBR deteneva beni per 67 miliardi di dollari in valuta statunitense, l’equivalente di 207 miliardi di dollari in euro e di 37 miliardi di dollari in sterline, 36 miliardi di dollari in yen, 19 miliardi di dollari in dollari canadesi, 1,8 miliardi di dollari in dollari singaporiani e circa 1 miliardo di dollari in franchi svizzeri. Da parte sua, la CBR aveva confermato che queste somme erano prevalentemente composte da obbligazioni di Paesi esteri, depositi bancari e riserve sui conti di corrispondenza. I Paesi che avrebbero congelato la maggior quantità di beni della CBR sarebbero la Francia, 71 miliardi di dollari, il Giappone, 58 miliardi, e la Germania, 55 miliardi. Gli Stati Uniti avrebbero congelato 38 miliardi di dollari e il Regno Unito 26.
“How much?” I beni congelati russi in cifre
È necessario subito fare una precisazione. Tutte le somme dei beni congelati all’estero si basano sulle statistiche ufficiali che la CBR aveva pubblicato a gennaio del 2022, ma che erano inerenti al suo bilancio consolidato del giugno del 2021. Non è chiaro se e quali operazioni abbia potuto portare a termine la CBR nei mesi precedenti all’inizio dell’OSR e a conferma di tutto questo, è emblematico il caso della Francia. I 70 miliardi di dollari congelati, infatti, sarebbero solo “teorici”, poiché, secondo le informazioni divulgate dallo stesso governo francese, la Francia avrebbe congelato solo circa 19 miliardi di dollari. Questa cifra è anche inferiore ai 25,6 miliardi di dollari, dichiarati nell’aprile del 2022 dal ministero delle finanze francese. Nel febbraio del 2023 c’era ancora molta incertezza su queste cifre, tanto che, per esempio, i Paesi europei stavano valutando di richiedere alle banche di dichiarare tutti gli attivi russi nei loro bilanci, dal momento che erano stati individuati solo 36 miliardi dei circa 258 miliardi di dollari stimati di proprietà della CBR. A febbraio del 2024 è risultato che le riserve totali della banca centrale russa congelate all’estero si aggirerebbero intorno ai 280 miliardi di dollari, di cui due terzi sarebbero in Europa, e più precisamente in Belgio presso Euroclear , società specializzata nella custodia e nel regolamento delle transazioni in titoli. Secondo le stime ufficiali, infatti, Euroclear avrebbe in deposito 180-190 miliardi di dollari di beni della CBR.
I danni del conflitto Russia-Ucraina: chi deve risarcire?
Nel corso di questo ultimo biennio, ancora prima che fosse stato determinato un vincitore sul campo di battaglia o fossero state concordate le condizioni di un armistizio, i Paesi del Global North hanno da subito premuto perché fosse la Russia a doversi fare carico di ripagare i danni del conflitto armato. Più e più volte nel corso è stata lanciata la proposta di confiscare i beni russi in maniera permanente. Già a novembre del 2022 Ursula von der Leyen dichiarò che la Russia si sarebbe dovuta fare carico dei circa 600 miliardi di dollari stimati in danni provocati in Ucraina dal conflitto armato. Questa dichiarazione della Presidente della Commissione Europea seguiva una petizione lanciata dal parlamento inglese per promuovere l’espropriazione degli asset russi nel Regno Unito, ma abortita per mancanza di appoggio. Nell’aprile del 2023 il dipartimento di giustizia statunitense inviò una richiesta al Congresso per allargare le proprie libertà in materia di sanzioni, in modo da poter attuare la confisca dei beni della CBR congelati negli Stati Uniti. La promozione del sequestro dei beni russi all’estero è continuata per tutto il 2023: ad ottobre dello stesso anno Antony Blinken dichiarò che Stati Uniti e Unione Europea dovevano lavorare su una struttura legalmente valida per appropriarsi dei beni congelati così da poterli usare per aiutare a ricostruire l’Ucraina.
Verso la fine del 2023 la retorica è cominciata un po’ a mutare, sia viste le sempre più insistenti voci di disaccordo tra i paesi del Global North su quali formule giuridiche utilizzare per confiscare i beni russi sia visto il crescente timore di questi stessi Paesi di dover pagare a caro prezzo, sia politico sia economico, la decisione di un’azione senza precedenti. Nel novembre del 2023 proprio il Belgio ha dichiarato che ogni azione di espropriazione sarebbe dovuta essere coordinata e approvata dal suo governo. L’Unione Europea ha iniziato, così, a volgere la sua attenzione ai ricavi generati dai beni congelati.
Controverse procedure
Tutti i depositari europei con beni della CBR congelati superiori a 1 milione di euro sono stati istruiti dal Consiglio Europeo ad accreditare su conti separati, a partire dal febbraio del 2024, i ricavi derivanti dai beni russi congelati. Questi ricavi altro non sono che le cedole delle obbligazioni detenute presso i depositari, i quali, alla loro maturazione, avrebbero dovuto trasferirle alla CBR, ma che, vista la mancanza di una direttiva specifica, sono confluite nella voce di liquidità corrente dei depositari stessi. I depositari, non potendo mantenere una liquidità eccessivamente elevata, visti i requisiti di capitale e di gestione del rischio ai quali devono sottostare, hanno reinvestito le cedole maturate in altre obbligazioni o Eurobond, che a loro volta hanno generato ulteriori profitti legati al pagamento delle loro cedole. Euroclear nel 2023 ha registrato profitti netti da interessi di quasi 6 miliardi di dollari, di cui 4,8 miliardi derivanti dai titoli detenuti per conto della CBR. Secondo il parere dell’Unione Europea i proventi generati dai beni congelati della CBR potrebbero generare tra i 16 e i 21,5 miliardi di dollari tra il 2024 e il 2027. Non è chiaro quale somma sarebbe destinata alla ricostruzione dell’Ucraina, dal momento che le dichiarazioni di Borell del marzo 2024 hanno esplicitato come il 90% dei circa 3-5 miliardi di dollari annuali di ricavi sarebbero destinati al Fondo Europeo per la Pace (EPF) e il restante 10% al miglioramento dell’industria bellica ucraina. Questo non è un dettaglio di poco conto, poiché lo scopo e la destinazione finale dei proventi devono essere obbligatoriamente esplicitati, così da fornire la base giuridica per la loro espropriazione.
Strumenti e strumentalizzazioni
Dal punto di vista legale, l’Unione Europea ha due strumenti per appropriarsi di queste risorse finanziarie. Una prima soluzione può essere l’applicazione di una tassa una-tantum (windfall tax), che, sebbene possa essere impugnata e contestata, ha una maggiore solidità giuridica, poiché gli Stati posseggono la massima libertà in materia di tasse e della loro applicazione. Non esistono trattati o leggi intenazionali che possano restringere o limitare il diritto fiscale nazionale. Un qualsiasi investitore non può né pretendere né richiedere che le normative fiscali in materia di investimenti di un Paese non cambino o non possano essere modificate. La seconda possibilità, invece, prevede la confisca, parziale o totale dei proventi generati, che, tuttavia, sarebbe più difficile da difendere davanti ad un tribunale. In questo caso, inoltre, sorge una questione di responsabilità fiscale per il pagamento dei costi legali e di gestione dei beni congelati, che nella fattispecie sono lasciati in carico al depositario. Per citare il caso di Euroclear, nel 2023 il depositario belga ha visto lievitare i costi di gestione dei beni russi congelati, che hanno raggiunto i 62 milioni di dollari. Indipendentemente dallo strumento utilizzato, rimangono altre problematiche. La formulazione di una tassa una-tantum, per poter essere applicabile, dovrebbe essere in linea con le più comuni norme di protezione degli investimenti, altrimenti gli stessi investitori, rilevando un rischio legato alla generazione di profitti, potrebbero richiedere modifiche ai trattati sugli investimenti. L’espropriazione dei profitti generati dai beni congelati, inoltre, presenterebbe le stesse problematiche relative all’espropriazione degli stessi beni congelati. Esistono, poi, determinate barriere tecniche per “reindirizzare” i beni o i flussi finanziari da loro generati. In primo luogo, la proprietà dei beni congelati e dei loro ricavi non è giuridicamente distinta. In secondo luogo, non essendo noti i termini del contratto di gestione tra la CBR e il depositario non è possibile determinare se i ricavi generati possano essere soggetti all’applicazione di una tassa una-tantum o invece debbano essere trattati come i profitti attesi da ogni altro investitore/cliente del depositario. In terzo luogo, l’applicazione di una tassa una-tantum non sarebbe immediata, dal momento che non esiste un regime fiscale europeo unico e non è chiaro quale aliquota dovrebbe essere applicata. Nel caso venisse applicata un’aliquota legata al codice fiscale del Paese nel quale si trovano i beni congelati, la responsabilità cadrebbe solo sul Paese in questione o verrebbe condivisa anche dalle altre nazioni europee? Non bisogna infine dimenticare lo status delle riserve di un Paese: queste non sono paragonabili ad altre proprietà statali e vista la loro strumentalità nello svolgimento delle funzioni di sovranità statale/nazionale, sono generalmente considerate esenti da misure restrittive da parte di altri Stati, così come i ricavi da loro generati.
La parola corretta è espropriazione
Le difficoltà legali e giuridiche non annullano affatto la possibilità di una espropriazione, ma la rendono di alquanto dubbia validità. Sia Stati Uniti sia Regno Unito continuano a perseguire la confisca dei beni congelati, nonostante non siano riusciti ancora a trovare una motivazione giuridica valida. Per ammissione degli stessi politici, poi, una manovra del genere avrebbe ripercussioni sulla legislazione nazionale dei singoli Paesi. Nel 2023 Janet Yellen ha dichiarato, infatti, che per quanto gli Stati Uniti fossero convinti che la confisca dei beni russi fosse l’unica alternativa per finanziare l’Ucraina, questa manovra avrebbe dovuto prevedere un “aggiustamento” e le relative modifiche alle stesse leggi statunitensi. Ciononostante, a gennaio del 2024 il Comitato per le Relazioni Internazionali del Congresso statunitense ha nuovamente avanzato una proposta di legge per le confisca di circa 6 miliardi di dollar in beni della CBR sul territorio USA. A fine del 2023 il ministro anglosassone per gli investimenti era stato costretto a dichiarare che la confisca dei beni russi non avrebbe dovuto lasciare spiragli legali, che potessero essere poi utilizzati nei tribunali, nazionali o internazionali, per impugnare la decisione di espropriazione. La risposta russa a tutte queste azioni prevederà una speculare confisca degli attivi dei Paesi occidentali sul suo territorio.
Al di la degli slogan politici, tuttavia, il disaccordo tra i Paesi del Global North è forte. Gli stessi ministri delle finanze, come è emerso dopo la riunione del G20 in Brasile, mantengono ancora posizioni distanti su come procedere con i beni della CBR congelati. Nel marzo del 2024 il Belgio, appoggiato dagli Stati Uniti, ma bocciato da Francia e Germania, ha proposto di finanziare l’Ucraina attraverso l’emissione di obbligazioni, le cui cedole potrebbero essere garantite e pagate con i ricavi dei beni russi congelati. Ogni soluzione di dirottare risorse finanziare russe congelate verso l’Ucraina, si scontra con un dato inconfutabile: anche qualora si escogitasse un inquadramento legale per la confisca degli attivi russi all’estero, si creerebbe un precedente legale che provocherebbe un terremoto del sistema economico e finanziario mondiale. Emblematiche sono le dichiarazioni delle banche internazionali, che a febbraio del 2024 hanno espresso parere negativo sulle manovre sui beni russi congelati: gli istituti finanziari, infatti, temono di essere ritenute responsabili dalla Russia per il loro coinvolgimento nelle transazioni dei beni. Nel caso, inoltre, che nel futuro le sanzioni contro la Russia vengano allentate o addirittura revocate le stesse banche vedono il rischio di dover affrontare lunghissime battaglie legali vista la mancanza di fondamento giuridico delle azioni dei loro governi. Il rischio maggiore, tuttavia, è legato all’erosione di fiducia dei clienti e degli investitori nel sistema finanziario occidentale. Il diritto internazionale perderebbe di qualsiasi rilevanza e la fiducia degli investitori, erosa completamente, fomenterebbe fughe di capitali legate alla mancanza di un inquadramento giuridico per la protezione dei propri investimenti. Alcuni Paesi hanno già presentato le loro rimostranze all’Unione Europea sottolineando quali possano essere le conseguenze di un utilizzo illegale dei beni russi congelati.
Non bisogna dimenticare, tuttavia, che un primo passo è già stato compiuto: con l’inasprimento della politica sanzionatoria degli Stati Uniti, prima, e in generale di tutto il Global North, poi, la concorrenza e le regole internazionali sul commercio e sugli investimenti sono state falsate. L’applicazione delle sanzioni è diventata indiscriminata e il motivo scatenante per applicare una sanzione può essere giustificato anche solo dalla paura di soccombere alla concorrenza.