Un articolo di: Andrea Beltratti

Andrea Beltratti, professore al Dipartimento di Finanza dell’Università Bocconi, traccia un quadro della situazione economica globale. Dalla guerra con la riduzione dell'offerta di gas e petrolio agli errori della Banca Centrale Europea nel contrastare l'inflazione. L'Europa è in crisi e la Cina sembra non riuscire a risollevare la sua economia. Nel frattempo i costi della guerra stanno diventando più alti dei costi della pace.

A che punto siamo nel processo di lotta all’inflazione?

I tanti commenti sull’andamento economico del 2023 sembrano ignorare le aspettative e le speranze del primo gennaio per l’anno in corso relativamente al trend, sintetizzabili nella speranza che bastasse una moderata recessione ad aiutare le banche centrali a contenere all’inflazione. Tali aspettative si basano su due “leggi” economiche, risalenti a quasi 100 anni fa, che ancora oggi determinano la visione delle banche centrali di tutto il mondo: 1) la domanda determina l’offerta (Keynes, 1936) 2) esiste una relazione inversa tra crescita dei salari e disoccupazione (Phillips, 1958). Quando manca ormai solo un quadrimestre alla fine dell’anno, possiamo chiederci a che punto siamo nel processo di lotta l’inflazione, quali costi saranno presumibilmente pagati, e quali errori sono stati commessi. Per farlo, dobbiamo guardare a est e a nord, riflettendo su Russia, Cina, Germania e infine sulla Banca Centrale Europea.

Difficile pensare che la riduzione dell’offerta di gas e petrolio potesse accompagnarsi a un’economia prospera

La Russia è il paese più grande al mondo (circa il doppio degli Stati Uniti): occupa l’11% del pianeta e ospita circa un quarto delle riserve mondiali di gas. Difficile pensare che la riduzione dell’offerta di gas e petrolio potesse essere accompagnata da tempi prosperi dal punto di vista economico, specialmente tenendo conto delle difficoltà di approvvigionamento della supply chain mondiale, messa a dura prova dalla pandemia, e dell’impatto delle sanzioni economiche. Del resto, già nel diciottesimo secolo la guerra commerciale tra gli inglesi e i francesi aveva fatto danni economici a tutte le parti in causa e non solo a una. La maggior parte degli analisti prevedevano che il conflitto si sarebbe protratto, anche perché la continua perdita di vite umane da entrambe le parti rende politicamente più costosa la pace. Rischiamo quindi di essere costretti a convivere ulteriormente con la guerra.

 

Il rallentamento cinese sta assumendo proporzioni superiori alle attese

La Cina: il rallentamento cinese sta assumendo proporzioni superiori alle attese. Le difficoltà del mercato immobiliare sono note da tempo (il caso Evergrande non è certo una novità). Ciò che è nuovo forse è la percezione di relativa impotenza del governo cinese, che pure dispone di strumenti di politica fiscale e industriale molto più potenti dei nostri, sia dal punto di vista delle disponibilità finanziarie sia dal punto di vista della rapidità di esecuzione. Il peggioramento della situazione cinese può rappresentare una buona notizia dal punto di vista del conflitto in Ucraina: la Cina dovrebbe avere maggiori incentivi ad assumere posizioni maggiormente bilanciate nel contesto internazionale, aiutando a trovare un compromesso politico-economico atto a far ripartire il commercio internazionale.

 

La Germania rallenta con tutta l’economia europea

L’economia europea: il rallentamento è ormai evidente e conclamato, anche con i dati mensili di fine agosto, che mostrano il peggioramento della situazione specialmente in Germania, che dopo due trimestri di recessione dovrebbe rimanere al palo nel terzo trimestre. Anche questo è uno sviluppo parzialmente inatteso, dal momento che è nota la sensibilità del ciclo economico tedesco a quello mondiale, ma si poteva presumere che il paese avrebbe adottato, nell’interesse proprio e dell’euro-zona, misure fiscali tali da controbilanciare la riduzione di domanda esterna con un aumento di domanda interna. Ma la nuova leadership tedesca al momento non sta dimostrando le capacità evidenziate dai governi precedenti. Anche questa è una piccola buona notizia, almeno per l’Italia: sarebbe stato molto peggio affrontare una situazione di rallentamento internazionale da soli. Come nel caso della Cina, anche gli incentivi per la Germania diventano a questo punto di maggiore cooperazione dal punto di vista di dossier come il Patto di Stabilità.

 

Gli errori della BCE: cattiva comunicazione e interventi poco tempestivi

La BCE: a inizio gennaio, dopo il più rapido aumento dei tassi di interesse della storia, si sperava che fossero necessari ancora pochi ritocchi da parte delle Banche Centrali per domare l’inflazione, pur sapendo che ci sarebbe voluto tempo per riportare l’inflazione core in prossimità del 2%. Ciò che è successo tra gennaio e agosto è solo parzialmente conforme alle attese: la BCE ha aumentato il tasso di rifinanziamento alla fine di luglio per la nona volta consecutiva al 4,25%, si veda www.tradingeconomics.com, in presenza di un tasso di inflazione che dal valore a due cifre è sceso a 5,3% (minimo da inizio 2022) mentre la core inflation è rimasta a 5,5%. La BCE ha affermato che, per la parte rimanente dell’anno, le nuove decisioni “dipenderanno dai nuovi dati disponibili”. Incolpare ora la BCE è esercizio inutile, ma soprattutto tardivo. Gli errori della BCE sono stati primariamente di comunicazione (peraltro un’attività di grande rilevanza per qualsiasi banca centrale) andando dal “non siamo qui per chiudere gli spread” (affermazione peraltro smentita in poche ore) a “l’inflazione del 2021 è temporanea e non rappresenta un serio problema di lungo periodo” al recente “l’inflazione è colpa delle imprese”. Questa serie di errori, assieme al ritardo accumulato nella reazione ai primi segnali di inflazione nel 2021, ha ridotto la fiducia da parte di alcuni investitori e richiede adesso un atteggiamento più rigido.

 

Una situazione con tassi di interesse reali superiori a zero è un segnale di salute e non di debolezza

Lo scenario: non sappiamo quali dati emergeranno nelle prossime settimane, ma è difficile immaginare che la core inflation nelle prossime settimane possa scendere in maniera più rapida di quanto fatto sino ad ora. La recessione aiuterà, ma in maniera limitata nel breve periodo, anche se il rallentamento cinese peserà sulle esportazioni europee, e la BCE dovrà riconquistare maggior credibilità come guardiano dell’inflazione (tra l’altro, da Statuto suo unico vero obiettivo) tramite un’interpretazione conservativa dei nuovi dati, errando semmai sul versante della precauzione nonostante le rimostranze dei politici. Qualche scossone di assestamento è quindi prevedibile. Ma guardiamo a due aspetti positivi. In primo luogo, la situazione attuale deve essere messa nella prospettiva degli ultimi 15 anni: era dal 2009 che ci si domandava quando l’economia internazionale sarebbe stata in grado di mettere in atto una vera e propria exit strategy dopo la crisi dei subprime statunitensi. Ecco, finalmente ci siamo, e possiamo interpretare in maniera positiva quanto sta accadendo. Una situazione con tassi di interesse reali superiori a zero è un segnale di salute e non di debolezza, con molti benefici per gli asset owner. È vero che per arrivare a un new normal stabile dovremo ancora soffrire un po’, ma chi avrebbe detto un anno fa che il mondo avrebbe affrontato e superato l’aumento più rapido della storia dei tassi di interesse senza gravi problemi di ordine finanziario? In secondo luogo, da mesi tutti adottano una prospettiva razionale in merito alla fine della guerra, sostenendo che finirà quando i costi saranno superiori ai benefici. Da questa prospettiva, la situazione attuale sta fornendo chiari segnali di aumento esponenziale dei costi per la comunità internazionale, almeno a livello di riduzione dell’attività economica; una guerra scatenata quasi due anni fa e che ha occupato lo 0,03% delle terre mondiali rischia di provocare un costo economico globale molto elevato. Del resto, neanche la globalizzazione, come nessun pasto, è gratis.

Economista, Academic Director EMF - Executive Master in Finance

Andrea Beltratti