Un articolo di: Alessandro Banfi

La prima visita di un Pontefice romano alla Mostra d'Arte di Venezia: i perché di una scelta. Il padiglione della Santa Sede allestito in un carcere femminile e l'attenzione ad un'ottica rovesciata dagli artisti di 88 nazioni

Papa Francesco, primo nella storia, visita la Biennale di Venezia dedicata al tema: Stranieri ovunque. Il curatore della Mostra è il brasiliano Antonio Pedrosa

È la prima volta nella storia che un Papa visita fisicamente un’edizione della Biennale d’Arte di Venezia. È toccato a Francesco: un pontefice che non è mai stato un intellettuale di mestiere, come lo era invece l’accademico Joseph Ratzinger e neanche un appassionato di poesia e teatro come era Karol Wojtyla o un grande conoscitore delle arti come è stato Giovanbattista Montini, cui si deve l’ala dedicata all’Arte contemporanea dei Musei Vaticani. Ma Jorge Mario Bergoglio è un successore di Pietro “venuto da molto lontano”. È un argentino, figlio di migranti dall’Italia: i suoi parenti solo per un caso non sono morti nel naufragio della Principessa Mafalda, per cui avevano già acquistato i biglietti. A quel viaggio dovettero all’ultimo rinunciare, altrimenti avremmo un altro Papa. E quest’anno latino-americano è anche il principale curatore della Mostra, chiamato dal presidente Pietrangelo Buttafuoco: il brasiliano Adriano Pedrosa. Poi il tema della Biennale d’Arte di Venezia (istituita nel 1895, grazie ai “piemontesi” della neo unita Italia), dettato da un’opera del gruppo artistico Claire Fontaine, ha un messaggio molto chiaro quest’anno: Stranieri ovunque. Titolo che non lascia dubbi, che schiera la Biennale dalla parte dei profughi, dei migranti, dei nativi.

Il Padiglione della Santa Sede è allestito nel carcere femminile della Giudecca

Altro motivo della visita: un europeo sull’orlo del Sud del Mondo, Josè Tolentino de Mendonca, poeta portoghese diventato Cardinale e per così dire Ministro della Cultura in Vaticano (successore di Gianfranco Ravasi) ha fatto allestire un padiglione della Santa Sede del tutto sui generis. Perché è un padiglione dentro ad un carcere, quello femminile della Giudecca. Luogo di dolore e di espiazione, luogo off limits per telefonini, instagram, dirette… Il titolo è bellissimo: Con i miei occhi. È affidato alla curatela di Chiara Parisi e Bruno Racine. Art in America lo ha definito «la mostra più esclusiva ed elusiva» di questa Biennale, visto che occorre una prenotazione per accedervi e che le procedure per l’ingresso sono inevitabilmente molto rigide.

Lo slogan che campeggia nel cortile dell’ora d’aria del carcere femminile dice: “Siamo con voi nella notte”

Chi visita la Mostra viene accompagnato dalle guardie carcerarie e guidato da tre detenute che introducono i lavori di Maurizio Cattelan, Bintou Dembélé, Simone Fattal, Claire Fontaine, Sonia Gomes, Corita Kent, Marco Perego & Zoe Saldana, Claire Tabouret. Bella la scritta di neon blu ideata da Claire Fontaine che campeggia dentro il cortile dell’ora d’aria: “Siamo con voi nella notte”. È la citazione di uno slogan circolato negli anni Settanta, quando i brigatisti rossi in carcere agitarono l’universo dei penitenziari italiani. La notte della detenzione non è solo quella delle donne recluse alla Giudecca: la notte è la nostra di umani immersi in una Terra senza pace e senza luce. Densa e triste di rancore. Ha scritto padre Antonio Spadaro, ex direttore della Civiltà Cattolica, in una intera pagina del Fatto quotidiano dedicata a questo padiglione: «Francesco incontrerà le detenute perché saranno proprio loro a far da guida ai visitatori del Padiglione. La proposta artistica prende alla lettera le parole di Francesco, quando chiede di aprire gli occhi sugli ultimi e gli “scarti” della società. Gli occhi della cura richiedono una visione “aumentata” –  e per nulla virtuale – non da dispositivi artificiali, ma dall’attenzione e dal cuore. Infatti, già da arcivescovo di Buenos Aires, Bergoglio disse che “la maggiore esclusione consiste nel nemmeno vedere l’escluso”. Chi dorme per strada, ad esempio, “non viene visto come persona, ma come parte della sporcizia e dell ’abbandono del paesaggio urbano, della spazzatura”. La città umana invece “cresce con lo sguardo che ‘vede’ l’altro”. Per Francesco l’artista vede “con i suoi occhi guarda e insieme sogna, vede più in profondità, profetizza, annuncia un modo diverso di vedere e di capire le cose”».

Ma quello della Santa Sede non è un episodio a parte. Tutti gli artisti della Biennale raccontano la Terra dal Sud del Mondo. Rovesciano il paradigma del potere geopolitico costituito e fanno viaggiare lo sguardo in una prospettiva diversa. Prendete il padiglione dell’Australia ai Giardini: è il progetto per un memoriale, che dovrebbe avere un destino stabile. L’artista Ardile Moore, di origini aborigene, ha disegnato con un gesso bianco sulle pareti di lavagna che ricoprono l’intero spazio un enorme albero genealogico che contiene i nomi dei suoi antenati. L’enorme disegno ha l’ambizione di risalire agli avi di 65 mila anni fa, finendo per coinvolgere tutti gli esseri umani. Sotto i segni bianchi sul nero c’è una raccolta di dossier di medici legali che documentano la morte di centinaia di indigeni australiani durante la detenzione nelle carceri australiane. Tra loro, anche il cugino dell’artista. La propria famiglia e lo sterminio dei nativi: una storia che si fa arte e visione. Qui le cancellazioni (senza nulla togliere alle cancellature intelligenti del grande Emilio Isgrò) sono simboliche: un tratto di penna equivale ad una soppressione.  

Il padiglione della Germania ricorda agli italiani il dramma di Casale Monferrato, dove ci furono molti casi di tumori per amianto. Il regista d’opera e di teatro Ersan Mondtag evoca qui infatti le vicende del nonno immigrato dalla Turchia, diventato operaio in Germania in una fabbrica di Eternit e morto per l’esposizione all’amianto. Mondtag ricrea una casa della Berlino degli anni Settanta, dove dei performer (attori quasi manichini viventi) interpretano la vita di una famiglia che compie gesti quotidiani in uno spazio coperto da una coltre di polvere grigia. È la luce polverosa della morte che copre suppellettili e arredi. Gli esseri umani diventano “stranieri ovunque” in una Terra malata e inospitale. 

Vitale e coloratissimo ma tutto dedicato alla storia vista dai nativi il padiglione degli Stati Uniti. L’artista Jeffrey Gibson attinge alla storia americana, indigena e queer, con riferimenti alle sottoculture popolari, alla letteratura e alle tradizioni artistiche globali. Membro della Mississippi Band of Choctaw Indians e di discendenza Cherokee, Gibson ripropone, e non solo in senso metaforico, i totem del suo mondo. Qui l’estetica intertribale, la tecnica delle perline, i tessuti e i ready-made degli ultimi due secoli si mescolano con i linguaggi visivi dell’arte contemporanea. La sua pratica artistica riflette le realtà pulsanti delle comunità indigene Usa in una forma di critica culturale che si rapporta a storie complesse piuttosto che a cancellarle. Ecco reinterpretati i motti della Costituzione americana, i templi della Washington politica, la natura e l’essere femminile.

All’ingresso principale che accoglie il pubblico nel Padiglione Centrale gli artisti indigeni hanno una presenza emblematica e coloratissima. C’ è infatti un murale monumentale realizzato dal collettivo brasiliano Mahku sulla facciata dell’edificio, e nelle Corderie, dove il collettivo Maataho di Aotearoa che viene dalla Nuova Zelanda presenta una grande installazione nella prima sala. L’esplosione di una coloritura diversa.

Papa Francesco ha scelto la Biennale di quest’anno per una presenza “politica” nella manifestazione artistica e culturale del Sud del mondo

“L’etica è un’ottica” diceva il grande filosofo Emmanuel Levinas. Per significare che lo sguardo sulla realtà diventa un modo di vivere, di relazionarsi, di fare le proprie scelte. Dunque, se Papa Francesco ha scelto la Biennale d’Arte di quest’anno è per un interesse, per così dire, più “politico” che artistico o prettamente religioso. Quella di Venezia è una manifestazione culturale d’avanguardia che fa esprimere, e con una notevole potenza estetica, il Sud del Mondo e pone lo stesso Occidente di fronte alle sue responsabilità storiche di colonialismo e di oppressione dei popoli. È come se il Papa dicesse ai fratelli tutti dell’America Latina, dell’Africa, dell’Asia, dell’Oceania e anche dell’Europa: “Siamo con voi nella notte”. In quella notte dove il buio vi nasconde a tutti gli altri e dove invece noi vi vogliamo vedere e incontrare.

Giornalista, Autore tv

Alessandro Banfi