Un articolo di: Paolo Deganutti

Abbiamo chiesto a Paolo Deganutti, autore del libro distopico 2027 - LA GUERRA PER IL PORTO FRANCO DI TRIESTE - La “Guerra Mondiale a Pezzi” da Odessa al Mar Rosso fino a Trieste di introdurre i lettori di Pluralia a questo suo lavoro. L’espediente narrativo del libro è quello di un racconto storico scritto in un ipotetico futuro per descrivere gli avvenimenti del 2027, le loro origini geopolitiche, storiche e culturali.

Winston Churchill scriveva “Prima di iniziare un combattimento, assicurati di avere la lingua ben affilata” alludendo alla potenza della retorica nel preparare e indirizzare gli eventi. Infatti, il suo discorso del 5 marzo 1946 “Da Stettino nel Baltico a Trieste nell’Adriatico una Cortina di Ferro è scesa attraverso il continente” ha segnato indelebilmente l’epoca della Guerra Fredda. Sembrerebbe ora che i leader politici europei, sostenuti da gran parte dei media, indulgano in irresponsabili preparativi parlando ormai apertamente e insistentemente di una guerra sul suolo europeo e della necessità di una corsa agli armamenti. Discorsi impronunciabili fino a poco tempo fa investono adesso una pubblica opinione che ne sottovaluta la pericolosità, non rendendosi ben conto di dove possa portare questa deriva e quanto possa influire sulla vita quotidiana di tutti.

È interessante notare che Churchill citava Trieste, come linea di confine fra Ovest ed Est.
Trieste, con la sua storia complessa, ha un porto internazionale che movimenta merci per il 90% destinate in Europa e solo per il 10% in Italia, è posta su una faglia geopolitica attiva all’incrocio tra i mondi latino, slavo e tedesco e diventa periodicamente un microcosmo delle tensioni che dilaniano il globo. Da un lato gli Stati Uniti che vorrebbero il suo porto come un avamposto esclusivo della NATO, dall’altro chi ne difende lo status di porto franco civile aperto a tutti. L’ Europa centro orientale inserita nella “catena del valore” tedesca, entroterra naturale dello scalo giuliano, si trova stretta tra le pressioni americane e il desiderio di ripristinare i proficui rapporti commerciali con la Russia e la Cina. La città, nata come Porto Franco dell’Impero Asburgico, era legata da intensi rapporti con il Porto Franco “gemello” di Odessa fondata dalla zarina Caterina II. Ne scriveva perfino Karl Marx in due articoli del 1857 sul New York Tribune: “Trieste allacciava il suo destino con la stella sorgente di Odessa…”.
Le grandi tragedie del Novecento l’ hanno investita in pieno: qui iniziarono i funerali di Francesco Ferdinando assassinato a Sarajevo, la cui salma arrivò sulla corazzata Viribus Unitis, “casus belli” della Grande Guerra; fu capoluogo della Adriatisches Küstenland, territorio annesso al Terzo Reich, con tanto di lager (Risiera) con forni crematori gestiti dalle SS soprattutto ucraine; divenne Territorio Libero di Trieste “indipendente” fino al 1954; fu a pochi chilometri dalle sanguinose “guerre jugoslave” degli anni ‘90. Ognuna di queste crisi belliche aveva colto di sorpresa la gente comune che, come avviene ora, non si aspettava un tale tragico precipitare degli eventi.

 

Trieste è dunque un sismografo delle tensioni internazionali, da qui si possono precocemente scorgere i segni premonitori delle tempeste geopolitiche

Trieste è dunque un sensibile sismografo delle tensioni internazionali e da qui si possono precocemente scorgere i segni premonitori delle tempeste geopolitiche. Ad esempio, l’attuale crisi del Mar Rosso (e del Canale di Suez, alla cui costruzione Trieste aveva contribuito in modo determinante) caratterizzata delle azioni belliche degli Houthi in solidarietà con i palestinesi di Gaza, ha immediatamente causato un calo di ben il 27% del traffico container nel porto giuliano. Lo strategico Oleodotto Transalpino che da Trieste trasporta petrolio fino alla Baviera provvedendo a gran parte del fabbisogno della Germania del Sud, dell’Austria e della Repubblica Ceca (e che nel 1972 subì un gigantesco attentato ad opera dei palestinesi di Settembre Nero) era fino a poco fa alimentato da petroliere cariche di greggio russo proveniente dal Mar Nero. Un efficiente corridoio ferroviario Adriatico-Baltico ormai collega i porti di Trieste, Kiel e Rostock. Recentemente gli Stati Uniti si sono posti di traverso alla possibilità che il porto triestino, collegato all’Europa da una ramificata rete ferroviaria eredità dell’Impero, diventasse il terminal europeo della “Nuova Via della Seta” marittima proposta da Pechino, paventando un “dual use” civile/militare dei traffici commerciali cinesi. E non hanno visto di buon occhio nemmeno i recenti investimenti della tedesca HHLA, la società pubblica che controlla il porto di Amburgo dove collabora da decenni con la cinese Cosco, che ha acquisito la concessione di un importante terminal nel porto giuliano. Un articolo sulla rivista di geopolitica Limes 3/24 sull’ esistenza di trattati segreti tra Italia e USA ha fatto sorgere la preoccupazione che il Porto di Trieste vi fosse coinvolto: il che spiegherebbe i 70 anni di riluttanza dei governi italiani ad attuare pienamente il regime di Porto Franco previsto dal tratto di pace del 1947 e ribadito dal Memorandum di Londra del 1954 (l’accordo tra USA, UK, Italia e l’allora Jugoslavia che trasferiva al governo italiano l’ Amministrazione Civile della zona A del territorio Libero di Trieste). Nonostante le unanimi e reiterate richieste delle istituzioni locali, degli operatori economici e perfino dalla svizzera MSC, la più grande compagnia di shipping del mondo, ancora non è stata inviata a Bruxelles la semplice comunicazione ufficiale che il porto è zona extradoganale rispetto alla UE come previsto dal Trattato di Pace recepito dalla legislazione europea.
 Come scrive Limes ,nello stesso 1954 del Memorandum di Londra l’Italia firmava un accordo segreto con gli Stati Uniti, denominato Bia (Bilateral Infrastructural Agreement). Il testo è ancora classificato (cioè segreto) ma, a quanto si apprende da diverse fughe di notizie, disciplina le «procedure organizzative per l’applicazione pratica dei programmi infrastrutturali bilaterali» con riferimento alle basi militari USA e alla «presenza militare americana nelle infrastrutture italiane»: il porto triestino è indiscutibilmente un’infrastruttura strategica. 
Sempre nel 1954, il governo statunitense e quello italiano firmarono un accordo (Status of Forces Agreement) per l’utilizzo congiunto della base nella vicinissima Aviano che divenne così una base NATO. Il quartier generale della United States Air Forces in Europa ufficialmente attivava il campo aeronautico americano il 15 febbraio del 1955. Nel 2008 gli Stati Uniti si opposero alla pubblicazione di quei trattati segreti perché temevano che la loro notorietà potesse generare rigurgiti anti-americani costituendo una limitazione troppo evidente della sovranità nazionale italiana (Limes 3/24). Ovviamente un tale stato di cose sarebbe in palese contrasto con lo status di Porto Franco Internazionale aperto a tutti i paesi in ugual misura e senza discriminazione alcuna come sancito dal Trattato di Pace firmato da 21 potenze belligeranti e tuttora vigente. Status però violato alla chetichella con il divieto di approdo per le navi russe in conseguenza del quinto pacchetto di sanzioni della UE dell’aprile ’22.

Tende così a realizzarsi il principale incubo per la potenza americana: il “triangolo eurasiatico” Pechino, Mosca e Berlino

La “Questione di Trieste” e del suo porto, che negli anni ‘50 del secolo scorso era dibattuta sui media di tutto il mondo, è tornata sotto i riflettori internazionali in un quadro che vede l’Europa, e la sua economia a guida tedesca, diventata il principale perdente nello scontro tra Stati Uniti e Oriente emergente. L’ inizio del 2024 è segnato drammaticamente dalla crisi dell’ordine mondiale e la situazione evolve allargando l’ area del mondo investita dal caos. Nel Mar Rosso le forze navali occidentali si dimostrano inefficaci nel contrasto alla guerra asimmetrica degli Houthi. Intanto il conflitto in Medio Oriente si allarga a partire dal sud del Libano e a sua volta innesca gravi tensioni nei Balcani, mai veramente pacificati, con ripetuti scontri tra Kosovari musulmani e Serbi cristiano ortodossi, storici alleati della Russia, mentre in Bosnia si accentua la tendenza secessionista della Repubblica Serba.
Intanto in Ucraina, sia per la carenza di munizioni conseguente all’ incapacità del sistema industriale occidentale di reggere a lungo una guerra di logoramento di tale intensità sia per la carenza di uomini, la crisi si manifesta anche con divisioni interne ai vertici di Kiev e apre la strada ad un’avanzata russa fino ad Odessa e alla Transnistria. Si realizzerebbe così la storica aspirazione russa all’ accesso ai “mari caldi” e alla presenza securitaria sull’ “Istmo d’ Europa”, linea ideale da Kaliningrad a Odessa che rappresenta il fronte più corto sulle pianure sarmatiche da cui sono storicamente passate le invasioni occidentali al territorio russo.
 La tensione aumenta anche nell’area del mar Baltico, ormai un lago controllato dai paesi Nato rivieraschi dove operano scopertamente sabotatori antirussi, e particolarmente intorno al Corridoio di Suwalki attraverso cui transitano gli approvvigionamenti all’exclave russa di Kaliningrad, che Polacchi e Lituani intendono bloccare in seguito al precipitare degli eventi in Ucraina.
Nel crescente disordine mondiale emerge inevitabilmente la convergenza degli interessi dei paesi eurasiatici, in particolare della Russia, detentrice di enormi fonti energetiche e di materie prime, e delle principali potenze industriali che le utilizzano: Cina e Germania. Tende così a realizzarsi il principale incubo per la potenza americana: il “triangolo eurasiatico” Pechino, Mosca e Berlino. 
 La Germania, insieme alla sua estesa area di influenza economica che comprende il nord-est italiano, è infatti entrata in profonda recessione ed ha la necessità di ripristinare il naturale modello economico basato sull’ importazione di energia a basso costo dalla Russia. Le forniture energetiche furono compromesse anche dal sabotaggio al gasdotto Nord Stream nel mar Baltico: un “decoupling” forzato militarmente. 
 Inizia così la gestazione di una “coalizione eurasiatica multipolare”, inizialmente informale, con l’ intento di riportare un maggior ordine che l’egemone americano, in declino e grave crisi interna, non è più in grado di assicurare nel caos crescente.
 Si sviluppa una nuova concezione dell’ ordine mondiale basata sul multipolarismo che già si era manifestata con l’ allargamento dei BRICS.
 Il comune intento eurasiatico di riprendere la normale circolazione delle merci, russe e cinesi comprese, dopo un lungo periodo di sanzioni e blocchi che hanno provocato in Europa una grave crisi economica, si concretizza in un convoglio commerciale, molto simbolico e scortato militarmente, diretto allo strategico Porto di Trieste, “gate” naturale per l’Europa centro orientale e l’unico in Europa dotato dello status giuridico di Porto Franco Internazionale e quindi aperto a tutti i paesi compresi quelli sanzionati dall’ una o dall’ altra parte.
Il convoglio viene considerato dagli Stati Uniti, e dai loro satelliti, come una provocatoria violazione alle unilaterali sanzioni occidentali, fatte assurgere al rango di leggi internazionali “erga omnes”, nonostante il nuovo governo tedesco approvi l’ iniziativa. Il conseguente tentativo di bloccarlo degenera, per un incidente, in uno scontro navale in cui emerge il forte ritardo degli USA riguardo alla tecnologia delle armi ipersoniche.
Anche la città di Trieste viene coinvolta con azioni di spionaggio e sabotaggio, come già negli anni ’50, e da un’azione bellica “ibrida” di taglio terrorista che provoca numerose vittime civili. Cui, poco dopo, si sovrappone il precipitare degli eventi intorno a Taiwan in seguito ad altri prevedibili incidenti, legati alle armi autonome dotate di AI, nel corso delle sempre più frequenti esercitazioni militari nello stretto che la separa dalla Cina.
 L’evoluzione dello scenario geopolitico e bellico, arricchito con numerosi riferimenti storici e culturali poco noti al pubblico italiano, s’intreccia con le storie personali di un gruppetto di giovani tra paura, amore e speranza. E con la volontà di pace, neutralità, libertà di commercio e civile convivenza delle popolazioni coinvolte loro malgrado.
 Alle speranze dei giovani però si contrappongono i fantasmi sinistri degli inizi delle precedenti Guerre Mondiali che sono presenti nella coscienza collettiva di quest’area del mondo che lì ha vissuti in prima persona poche generazioni prima.

Giornalista, scrittore

Paolo Deganutti