L'intelligenza artificiale e smartphone non sono la prima rivoluzione tecnologica. Il frigorifero, l'automobile e il televisore hanno cambiato il mondo negli anni Sessanta, un momento identificato dalla "scomparsa delle lucciole" come spiegava Pier Paolo Pasolini in un celebre articolo per il Corriere della Sera del 1975
Tre oggetti hanno cambiato la storia del Novecento: automobile, televisore e frigorifero
Oggi sembra che il digitale, lo smartphone o l’Intelligenza Artificiale siano cambiamenti senza precedenti. Ma in realtà ci sono stati altri momenti simili, anche recenti. C’è un passaggio nella storia del Novecento che non è identificabile in un fatto politico o istituzionale ma piuttosto in un’evoluzione tecnologica, che però trasforma le abitudini di tutti i giorni. Sono i pochi anni in cui in quasi tutte le famiglie del mondo evoluto tre oggetti irrompono cambiando gli usi e i costumi della popolazione: l’automobile, il televisore e il frigorifero. Se vogliamo mettere una data a questa rivoluzione materiale, potremmo orientarci sul decennio 1954-1964. In Italia le trasmissioni ufficiali della Rai iniziano infatti nel 1954, nei condomini o nei bar si acquistano “in gruppo” i primi televisori, all’inizio troppo costosi per i singoli privati. Il frigorifero, appena arrivato sul mercato italiano, costa sei mesi di uno stipendio medio.
La Fiat 500 nel 1960 vale di più: costa dieci stipendi medi di un impiegato. Ma il boom economico coincide con un aumento dei salari e una caduta dei prezzi, proporzionale alla diffusione dei beni di consumo stessi. In pochi anni il sogno diventa possibile. I televisori diventano abbordabili per quasi tutte le tasche e arredano i salotti. Si costruiscono le autostrade per le macchine (l’inaugurazione dell’Autostrada del Sole fra Milano e Napoli è del 1964) e nelle case arriva “l’amico di famiglia”, come lo ribattezza genialmente Giovanni Borghi, l’imprenditore della Ignis, leader del nuovo mercato italiano e costruttore “Re del bianco”, come si chiama il settore merceologico degli elettrodomestici. È una rivoluzione notevole, che incide nel profondo.
Gli artisti sono i primi a cogliere per primi una trasformazione dei corpi e delle anime
Come sempre, sono gli artisti a cogliere per primi una trasformazione dei corpi e delle anime. Giovanni Arpino, giornalista e scrittore torinese, scrive il romanzo Una nuvola d’ira per la casa editrice Mondadori nel 1962, dieci anni dopo il suo esordio letterario. Il romanzo è ambientato nella Torino operaia ed è scritto come un diario della “donna consapevole”, tale Sperata, protagonista di un triangolo amoroso. Lei ci racconta del marito operaio quarantenne delle concerie, Angelo, e dell’amico venticinquenne Matteo. Il racconto inizia in una corsia d’ospedale dove Angelo è in attesa di un’operazione per curare un’ulcera allo stomaco e gli altri due, probabilmente amanti, sono al suo capezzale. Si capisce, dalle prime battute scherzose contro la suora di corsia, che si tratta di “compagni” iscritti al Pci. Matteo, prima di conciar pelli, ha combattuto in Grecia ed è stato partigiano proprio sulle colline delle Langhe. Il suo credo politico viaggia insieme a manie semplici e solitarie di un modo di vita che sta per essere travolto e stravolto: le carte, il vino, la moto, la caccia… Angelo incarna invece il tipo umano “affluente”. Sebbene sia un operaio intransigente ideologicamente, è sempre un po’ infantilmente eccitato dalle possibili nuove conquiste, sicuro amante della donna nella stessa casa del marito, in qualche modo garantito dalla diversità del Partito, convinto sempre di essere nel giusto. Sperata è una donna forte, che considera superati certi limiti della morale borghese. Semmai la sua contraddizione sta nel farsi tentare dalle sirene di quel mondo consumistico che dice di voler cambiare. Un frigorifero, tanto desiderato dai due amanti come nuovo oggetto della casa alternativa, è il “trigger” della tragedia, con l’epilogo mortale del rapporto a tre. Nel culmine del racconto, Sperata racconta la scena, frutto dell’ira di Matteo: «Il frigorifero giaceva a terra su un fianco, con la porta quasi scardinata. Vetri e reticelle metalliche sfondate dappertutto, e due bottiglie di coca-cola, il fiasco di vino, il fiasco della conserva di pomodoro macchiavano il pavimento. Il televisore, trascinato fin lì dal salotto, era squarciato, come pestato a calci…».
Tredici anni dopo il frigorifero e il televisore distrutti da Una nuvola d’ira sarà Pier Paolo Pasolini a scrivere il famoso articolo sulla scomparsa delle lucciole che segnerà l’avvenuta trasformazione dell’Italia. Le automobili appestano l’aria e quegli insetti notturni, così poetici nell’Italia contadina, non volano più. Pier Paolo Pasolini scrive per il Corriere della Sera un editoriale, il primo febbraio del 1975, che segnerà la svolta profonda di quegli anni e che lui stesso fa risalire a dieci anni prima. Argomenta infatti PPP: «Poiché sono uno scrittore, e scrivo in polemica, o almeno discuto, con altri scrittori, mi si lasci dare una definizione di carattere poetico-letterario di quel fenomeno che è successo in Italia una decina di anni fa. Ciò servirà a semplificare e ad abbreviare il nostro discorso (e probabilmente a capirlo anche meglio). Nei primi anni Sessanta, a causa dell’inquinamento dell’aria, e, soprattutto, in campagna, a causa dell’inquinamento dell’acqua (gli azzurri fiumi e le rogge trasparenti) sono cominciate a scomparire le lucciole. Il fenomeno è stato fulmineo e folgorante. Dopo pochi anni le lucciole non c’erano più. (Sono ora un ricordo, abbastanza straziante, del passato: e un uomo anziano che abbia un tale ricordo, non può riconoscere nei nuovi giovani se stesso giovane, e dunque non può più avere i bei rimpianti di una volta). Quel “qualcosa” che è accaduto una decina di anni fa lo chiamerò dunque “scomparsa delle lucciole”». Per Pasolini l’immagine dell’involuzione faunistica delle campagne italiane è la metafora della trasformazione degli italiani diventato un popolo “degenerato, ridicolo, mostruoso, criminale” sotto quel potere che è il “nuovo fascismo” della civiltà dei consumi. L’intellettuale friulano morirà quello stesso anno, ucciso vicino ad Ostia. E quel suo giudizio resterà come un testamento a futura memoria.
Nel 1961 il giovane regista Ermanno Olmi, un anno prima del romanzo di Arpino, si fa conoscere al mondo (vincendo il Premio della critica alla Mostra del Cinema di Venezia) con un film capolavoro, intitolato “Il Posto”. La storia è ambientata nella Lombardia del boom economico: un ragazzo di Meda paese della Brianza, Domenico, partecipa ad una selezione di lavoro presso una grande azienda di Milano. Lui vive in campagna, in una casa senza frigorifero e col bagno in comune sul balcone. I suoi genitori vivono con ansia l’inurbamento del figlio e la trasformazione che subirà ma allo stesso tempo se la augurano per sistemare la propria condizione economica. Il timido e impacciato Domenico verrà assunto in ufficio, dove avrà un impatto sconvolgente con la nuova vita. Olmi offre con questo film un momento d’incanto e di poesia, descrivendo in modo preciso il momento del passaggio, il momento della scomparsa delle lucciole.
Abbiamo indicato fin qui tre autori italiani. Ma c’è un grande scrittore ebreo-polacco poi naturalizzato americano, premio Nobel della Letteratura nel 1978, Isaac Bashevis Singer, che scrive nel 1957 un bellissimo romanzo intitolato Ombre sull’Hudson, (titolo originale: Shotns baym Hodson). Il libro esce prima a puntate in lingua yiddish su “The Jewish Daily Forward” e poi in inglese con il titolo Shadows on the Hudson. Il romanzo racconta l’impatto di un gruppo di ebrei polacchi, rifugiati a New York per via del nazismo, con la società dei consumi americana. La loro lingua, l’yiddish, la loro religione ebraica, la vita dei loro shtetl, i tipici villaggi del centro Europa, lentamente perdono terreno nella memoria, nell’anima e nei corpi dei protagonisti del romanzo. Le lucciole che scompaiono sull’Hudson, il fiume che bagna New York, sono quelle della Polonia ebraica, che viene spazzata via dal nazismo e dalla Seconda Guerra mondiale. Lucciole che non riescono a sopravvivere a lungo fra i grattacieli di Manhattan. Le famiglie e le tradizioni di questi ebrei polacchi si sfasciano contro il muro delle avenue piene di confortevoli automobili. Le loro vite e coscienze sono come risucchiate nelle case ricche di frigoriferi e televisori. È di nuovo la poesia di una trasformazione silenziosa e violenta quella che impegna Singer.
La trasformazione del digitale sta cambiando anime e corpi dei cittadini del mondo
E la politica? In realtà gli anni di questa trasformazione economico-sociale coincidono con evoluzioni positive dei sistemi politici e delle relazioni internazionali. Sono gli anni di John Fitzgerald Kennedy, di Nikita Krusciov, di Giovanni XXIII: anni di disgelo, di cooperazione, di ottimismo nei confronti delle organizzazioni internazionali. Sarà la crisi degli anni Settanta (in particolare la prima crisi petrolifera) a far ragionare anche le classi dirigenti politiche, ad Est come ad Ovest, sulla trasformazione profonda dei valori delle persone e dei popoli, avvenuta con l’affermazione della società dei consumi. Ma forse quella coscienza arriverà troppo tardi, a disastro avvenuto.
Ecco forse allora la lezione della storia, che è sempre magistra vitae, maestra di vita, che i Grandi della Terra oggi dovrebbero valutare: la trasformazione del digitale sta cambiando anime e corpi dei cittadini del mondo. Capire che cosa implica e come può essere governata è la vera priorità per le classi dirigenti di oggi e del futuro. Non mancano le voci di chi ci racconta la trasformazione di oggi. Ma questo è un altro discorso.